Amarcord: Hugo Gatti, l’irriverente portiere che insultò Maradona

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Si dice che per antonomasia il ruolo del portiere sia alquanto particolare nel gioco calcio: solitario, vestito diversamente dal resto dei calciatori, unico baluardo a difendere la porta e a poter utilizzare indistintamente mani e piedi. Leggenda vuole che per fare il portiere si debba possedere anche un briciolo di follia; leggenda confermata ed amplificata dalla storia di Hugo Gatti, uno che di mestiere faceva appunto il portiere e che di follia ne aveva assai più di un briciolo.

Hugo Orlando Gatti nasce a Buenos Aires il 19 agosto 1944, alto e magro, da subito sfrontato ed irriverente anche in famiglia. Decide di giocare a calcio, ma non gli piacciono le cose semplici e convenzionali: no, non si può vestire come gli altri e far decidere ad altri cosa, come e quando indossarlo. Vuole giocare in porta, così può fare come vuole, oltre al fatto che può correre poco, anzi niente, e può godersi le partite nel loro svolgimento; una visione particolare ed eccentrica, come particolare ed eccentrico appare ben presto questo ragazzo che ha però anche la testa sulle spalle, lavora, si allena ed in partita è una rivelazione: para e para bene, seppur sia un elemento bizzarro, esce a valanga dall’area di rigore, si esibisce in capriole e piroette con la palla in mano dopo una presa, insomma il suo desiderio non è solo quello di emergere, bensì anche quello di farsi notare. A notarlo sono in primis i dirigenti dell’Atlanta, piccolo club di Buenos Aires, ma poco dopo è il più noto e ricco River Plate ad interessarsi a quel ragazzo curioso ma dalle spiccate doti atletiche, fisiche e tecniche. I Millonarios se lo aggiudicano sborsando anche una discreta cifra e lo piazzano come secondo della leggenda Amadeo Carrizo.

Gatti studia, impara, fa esperienza all’ombra del mitico numero uno argentino, consapevole di dover fare ancora molta strada, ma abbastanza arrogante dal ritenersi potenzialmente bravo quanto il suo predecessore, convinto anzi che grazie anche alla sua eccentricità diverrà più famoso del connazionale. Nei 4 anni trascorsi al River Plate, Gatti emerge davvero come promessa del calcio argentino: è un portiere moderno, nelle uscite lo chiamano “gatto” per come riesce a saltare abbrancando la palla in presa, ma anche fra i pali risulta preparato e tecnicamente assai valido. Scende in campo con tenute sgargianti, dal rosa al ciclamino, dal giallo brillante al viola acceso, indossa una fascia sulla fronte e porta i calzettoni abbassati fino alle caviglie, un po’ alla Omar Sivori, alla Gigi Meroni, altri esuberanti fuoriclasse del calcio. Durante un Boca Juniors-River Plate, ovvero il derby di Buenos Aires, definita come la partita più sentita del mondo, i tifosi del Boca investono Gatti di insulti, lattine, bottiglie spaccate, biglie e monetine, ma il portiere resta impassibile, saltella, si riscalda, ogni tanto palleggia con qualche lattina e delicatamente la appoggia a bordocampo. Poi raccatta una scopa che qualche sostenitore aveva lanciato assieme al resto e la usa per pulire l’area di rigore, mentre intanto la partita prosegue regolarmente; Gatti lascia quasi la porta sguarnita continuando a spazzare come una casalinga al sabato mattina. I tifosi del Boca Juniors, increduli e divertiti, applaudono il rivale con sentita spontaneità, senza sapere che quegli applausi diventeranno presto consuetudine verso quel bizzarro portiere.

Nel 1969 Gatti passa al Gymnasia La Plata dove fino al 1974 gioca oltre 200 partite guadagnandosi la nazionale di cui diventa titolare indiscusso. In Argentina, Hugo Gatti è ormai famosissimo: lo chiamano “El Loco“, il matto, perchè è stravagante, sfrontato, ma è anche apprezzato dalla gente perchè spontaneo e soprattutto perchè bravo; il portiere sa farlo davvero bene, non è un pagliaccio prestato al calcio, è un portiere vero, dotato, capace e serio quando si tratta di scendere in campo. Che sia eccentrico diventa così un dettaglio che aggiunge pepe alla mera cronaca, mentre gli osservatori badano più alla sostanza: dietro a quella fascia che gli copre i capelli c’è un portiere di talento, sotto a quei maglioni variopinti c’è un calciatore carismatico che i compagni seguono e a cui si affidano in campo e nello spogliatoio. Nel 1975, dopo un breve passaggio all’Union Santa Fe, voluto ad ogni costo dall’allenatore Juan Carlos Lorenzo, Gatti si trasferisce al Boca Juniors, diventando così l’idolo di quei tifosi che qualche anno prima lo avevano bersagliato e contestato per essere il simbolo degli acerrimi nemici del River Plate. A lui piace di più il Boca, la squadra operaia di Buenos Aires, sente i gialloblu più vicini al suo modo libero ed informale di vedere il mondo, meno borghese degli aristocratici del River. Ci mette un attimo, Gatti, a diventare l’idolo della folla alla Bombonera, il mitico stadio del Boca Juniors, al suo ingresso in campo per il riscaldamento pre partita i tifosi applaudono e cantano senza sosta, lui sorride, li saluta, li omaggia con danze e parate spericolate anche nel semplice allenamento, in barba alla tensione di gare magari importantissime.

Nel 1976 la nazionale argentina va a giocare un’amichevole a Kiev contro l’Unione Sovietica: la temperatura è abbondantemente sotto lo zero, il vento soffia raffiche gelide ma Gatti sembra non accorgersene; il portiere para, sprona i compagni, si riscalda quando l’azione è lontana, ma lo fa senza particolari fastidi che un simile freddo invece consiglierebbe. Ogni tanto si avvicina al palo e beve dalla sua borraccia, una scena quasi comica se si considera il gelo polare e le bocche congelate dei presenti allo stadio Olimpico di Kiev. A fine partita, la televisione argentina intervista il portiere che svela con noncuranza l’arcano: “Se ho sentito freddo? Non direi. Vedete, nella borraccia non ho versato acqua, ma vodka, così bevendo mi riscaldavo e non ho rischiato di patire il gelo”. Gatti è così, sembra un pazzo, forse lo è, ma è anche un calcolatore, un personaggio strambo ma estremamente intelligente. Nel 1977 e nel 1978 il Boca Juniors vince la Copa Libertadores, Gatti è un grandissimo protagonista, così come lo è della vittoria nella Coppa Intercontinentale contro il Borussia Monchengladbach in una doppia sfida che lui stesso definirà come la migliore prestazione della sua carriera. Proprio nel 1978, mentre l’Argentina si appresta ad ospitare i mondiali, Gatti perde il posto da titolare in nazionale a beneficio del giovane e rampante Ubaldo Fillol; il commissario tecnico Menotti, però, vuole convocare ugualmente Gatti come secondo, ma lui dice no: “E’ giusto che giochi Fillol – dice – è più giovane di me che ormai ho quasi 35 anni, è forte e con lui l’Argentina vincerà i mondiali”. Sarà così, perchè la nazionale argentina vincerà davvero la coppa con Fillol in porta, mentre Gatti seguirà i mondiali da casa sua, forse per orgoglio, forse per non partecipare (come il capitano della squadra, Jorge Carrascosa) ad una manifestazione lorda di sangue per via della dittatura in paese.

A quasi 40 anni, Gatti è comunque ancora sulla breccia, il Boca Juniors lo adora, lui in campo fa ammattire gli avversari perchè dà spesso l’idea di essere un giullare, di addormentarsi durante la partita, ma è un modo per distrarre gli altri che lo guardano quasi attonito, increduli che quello possa essere il calciatore destinato a detenere il record di presenze nella serie A argentina. Particolarmente abile a neutralizzare i calci di rigore (ne parerà complessivamente 26 in carriera), Gatti a volte si mette in ginocchio con le braccia lungo i fianchi mentre gli avversari attaccano, poi improvvisamente con la sua reattività balza in piedi e sventa le avanzate degli attaccanti. Anche in allenamento è originale: non lavora col preparatore dei portieri, bensì fa il centravanti. Perchè? “Perchè è il modo migliore per capire e studiare i movimenti che fa un attaccante”, risponde Gatti che quando non è impiegato nelle esercitazioni guarda l’allenamento seduto sulla traversa con le gambe che ballonzolano come sull’altalena. Altre volte durante la partita subisce gol senza neanche tentare di tuffarsi, poi in sala stampa si giustifica dicendo: “I portieri fanno tante sceneggiate in tuffo, ma spesso è solo per i fotografi, sappiamo bene quando su un tiro non possiamo intervenire, per cui in quei casi io neanche ci provo”. Un giorno, sotto un sole cocente, Gatti si appoggia al palo per qualche minuto con la testa rivolta al cielo, incurante delle azioni di gioco; a fine partita dirà: “Volevo prendere un po’ di tintarella”.

Nel 1980 il Boca Juniors è impiegato in una gara di campionato contro l’Argentinos Juniors, la squadra in cui milita un giovane e talentuoso attaccante sul quale tutta l’Argentina è pronta a scommettere: un certo Diego Armando Maradona. Gatti non si lascia impressionare dal gioiello nazionale, anzi, prima lo insulta pubblicamente definendolo un barilotto cicciottello che non potrà fare strada nello sport, poi gliene dice quattro anche in campo: “Ma dove pensi di andare? Non mi segnerai mai, grassone”. Maradona, però, coi piedi ha sempre fatto ciò che voleva, non si fa intimidire e prepara una vendetta che serve immediata a quel portiere così sbruffone: prima gli risponde per le rime: “Adesso ti faccio 4 gol”, poi passa ai fatti e rifila proprio una quaterna a Gatti e al Boca Juniors che perde 5-3 ma che proprio grazie a quella scoppola si innamora di Maradona e lo ingaggia. I due diventeranno amici e compagni, saranno i burloni e l’anima dello spogliatoio del Boca. Hugo Gatti si ritira nel 1988 dopo qualche errore di troppo e a 44 anni di età, lasciando dietro di sè 26 anni di carriera e 755 presenze nella serie A argentina, record assoluto nella Primera Division. Dopo qualche divergenza politica si è riappacificato con il popolo del Boca, da sempre storicamente di fede peronista e che non aveva gradito alcune dichiarazioni di Gatti, favorevole a Raul Ricardo Alfonsin, presidente argentino di stampo socialista.

A Hugo Gatti sono legati i ricordi di un portiere eccentrico ed anticonvenzionale, di uno che durante le partite scambiava opinioni tecniche coi tifosi dietro la sua porta, o che rilasciava interviste mentre faceva gli addominali in palestra perchè così “riusciva a concentrarsi meglio sulle cazzate che doveva dire“. Ha vissuto così il calcio e la sua professione, divertendosi e prendendo tutti (compreso se stesso) poco sul serio, arrivando senza stress a giocare fino alla soglia dei 45 anni. Non ha giocato e vinto i mondiali, pur avendone teoricamente la possibilità, e a chi gli chiede se di ciò abbia rimpianti risponde che della coppa del mondo non gliene fregava niente. Del resto, se avesse risposto diversamente non sarebbe stato Hugo Gatti “El Loco“. Per fortuna, invece, lo è stato.

di Marco Milan

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