Cuba: Miguel Díaz-Canel eletto nuovo Presidente. Dopo sessant’anni finisce l’era dei Castro?

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Nell’isola caraibica è stato eletto il 57enne Miguel Diaz-Canel, nato dopo la Rivoluzione castrista del 1959. Diaz-Canel ha annunciato timidi cambiamenti politici ed economici pur assicurando che “la Rivoluzione è viva e va avanti”e si sviluppa “senza timori e senza passi indietro”

Il Consiglio di Stato di Cuba ha eletto il nuovo presidente dell’isola, Miguel Díaz-Canel.
Per molti l’inizio di una nuova era per altri, solo un presidente di rappresentanza.
Leggendo la Costituzione cubana (“la forza dirigente della società e dello Stato è il partito comunista”) si intuisce come il ruolo guida del paese resti a Raúl Castro che conserva sia l’incarico di segretario del partito comunista (e tale rimarrà per altri tre anni) sia di comandante delle forze armate cubane.

E di fatti appena eletto, Díaz-Canel ha assicurato che Raul Castro resterà “a capo della avanguardia rivoluzionaria” in quanto segretario del Pcc e “prenderà le principali decisioni per il presente e il futuro” dell’isola.
Mentre sulle questioni economico-sociali ha precisato che sarà necessario “perfezionarne l’applicazione e correggerne gli errori, che spesso irritano la popolazione e seminano cinismo ed insoddisfazione”.

Sulla politica estera, il nuovo leader cubano ha mostrato un atteggiamento “conservatorista” in un “contesto internazionale segnato da un ordine mondiale ingiusto” perché “Cuba non fa concessioni: mai cederemo i nostri principi in base a pressioni o minacce. Siamo sempre disposti a dialogare con tutti, a partire dal rispetto, dall’essere trattati come uguali“.

Dopo anni, Cuba torna quindi al centro dell’attenzione internazionale. Divenuta isola strategica per l’espansione spagnola nel continente americano, subisce la guerra tra Spagna e Stati Uniti del 1898 e assiste al declino del colonialismo spagnolo, alla perdita della sua centralità e al definitivo passaggio dei Caraibi sotto l’ombrello degli Stati Uniti. Nel 1959 la Rivoluzione castrista e Cuba diventa l’unico paese filo-sovietico nel blocco occidentale. Ma il timore che la rivoluzione castrista potesse rappresentare un esempio riproducibile (siamo in piena guerra fredda) approfondisce l’isolamento diplomatico ed economico dell’isola. Quindi, il tentativo di invasione degli americani (lo sbarco della baia dei porci nel 1960), l’embargo statunitense deciso nel 1961 e la dipendenza economica dall’Urss (un blocco commerciale che ha colpito in primis gli interessi statunitensi poichè Cuba ha sempre trovato altri partner economici e commerciali), la “crisi dei missili” dell’ottobre del 1962, l’espulsione dall’Organizzazione degli Stati Americani, il sostegno cubano alla causa della liberazione di tutti i popoli oppressi, il “terzomondismo”.

Ma Cuba non è vissuta solo in funzione degli equilibri tra Usa e Urss. Negli anni ha saputo tracciare una propria autonomia politica e diplomatica soprattutto con i paesi dell’America Latina: nel 2004 insieme a Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua e altri stati dei Caraibi, fonda l’Alba (Alleanza Bolivariana per le Americhe) grazie alla quale si garantisce greggio venezuelano a prezzo vantaggioso in cambio di assistenza militare, sanitaria e scolastica. Nel 2010 è tra i fondatori della Celac, la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi, un’alternativa all’Osa,alla quale hanno aderito tutti gli stati del continente americano tranne Usa e Canada. E poi, le relazioni strategiche con la Cina popolare, primo partner commerciale dell’isola (nichel in cambio di veicoli, treni, petrolio ed elettrodomestici di ogni genere) e ovviamente con la Russia.

Nel 2014, la parziale distensione diplomatica voluta da Obama. Ma nonostante lo storico riavvicinamento, la fine dell’isolamento economico e politico dell’isola, le deboli riforme realizzate da Raúl Castro negli ultimi dieci anni per la creazione di micro e piccole imprese, l’isola non è cambiata molto. I problemi dell’economia dell’isola non sono dovuti solo all’embargo statunitense ma anche ai difetti e ai limiti dell’economia pianificata cubana, scarsamente produttiva a fronte di un settore turistico vitale. Scrive Antonella Mori su Ispi: “I privati, per esempio, possono affittare ai turisti una camera nella loro casa per 20-30 dollari americani al giorno, mentre un dipendente pubblico guadagna circa 35 dollari al mese”. Ancora: i sistemi scolastico e sanitario sono in cattive condizioni e viene praticata una discriminazione di prezzi dei beni e dei servizi: prezzi diversi per i cubani e per gli stranieri, con due monete e numerosi tassi di cambio.
La transizione verso un diverso modello economico rappresenta una sfida molto impegnativa. Lo è stata per Raoul lo sarà per Díaz-Canel. Unificare i tassi di cambio e attrarre nuovi investimenti per attività produttive e infrastrutture, garantire uno sviluppo sostenibile sia economico sia sociale sono solo alcune delle priorità che si dovrebbe dare il nuovo presidente cubano.

Con la presidenza di Donald Trump ,i rapporti tra Cuba e Usa sono nuovamente precari. Cambiare la politica di Obama su Cuba era già nelle intenzioni di Trump poco dopo la morte di Fidel Castro (novembre 2016), quando twittò: “I will terminate the deal” per poi firmare nel giugno 2017 un Memorandum su Cuba che pur non eliminando tutte le concessioni di Obama in termini di viaggi e rimesse dirette ha ridotto gli scambi culturali e i viaggi di cittadini americani sull’isola.
Poi nell’agosto successivo, il punto di maggior frizione, la crisi dell’Ambasciata statunitense a L’Avana (aperta ufficialmente solo durante la presidenza Obama): alcuni diplomatici statunitensi manifestarono strani malesseri (perdita di conoscenza, vuoti temporanei di memoria, nausea e vomito), alimentando voci che si trattasse di un attacco con ultrasuoni. La crisi perse di consistenza visto che non furono trovati riscontri scientifici alle accuse. Tuttavia il personale dell’Ambasciata è stato ridotto anche se l’Ambasciata statunitense de L’Avana resta operativa.

Certo, non è verosimile parlare di un peggioramento delle relazioni tra i due paesi quanto di un’evoluzione “from closest enemies to distant friends” come ha scritto Francisco López Segrera (The United States and Cuba: From Closest Enemies to Distant Friends, Rowman&Littlefield, Laham, 2017). E in quest’ottica il nuovo presidente cubano, già Vicepresidente dal 2013, si è mostrato possibilista circa il dialogo con gli Stati Uniti, senza però rinunciare alle rivendicazioni cubane.

(di Alessandra Esposito)

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