Amarcord: Miguel Angel Montuori, il centravanti sfortunato

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Un sacerdote. Forse l’unico caso al mondo in cui una squadra è consigliata da un uomo di chiesa per l’acquisto di un calciatore. E’ andata così alla Fiorentina e a Miguel Angel Montuori, protagonista di una storia unica e sfortunata, attaccante amato e vittima di un destino crudele che ne ha pregiudicato vita e carriera.

E’ l’estate del 1955 quando in un informale incontro, il presidente della Fiorentina, Enrico Befani, scopre da padre Volpi, prete italiano emigrato in Cile e con la passione per il calcio dopo aver avuto anche qualche trascorso agonistico in gioventù, dell’esistenza di un attaccante argentino che gioca e molto bene nel campionato cileno e per la precisione nell’Universidad Catolica; si chiama Miguel Angel Montuori, ha 23 anni ed è argentino. Padre Volpi rassicura il patron fiorentino: “Questo ragazzo ha i numeri per sfondare anche in Italia”. Il presidente viola è scettico, in fondo il campionato cileno vale un’onesta serie B italiana e lui vuole costruire una Fiorentina vincente, non può affidarsi a scommesse. “Mi creda, presidente – continua il prete-ex calciatore – se prende questo attaccante fa un affare”. Il primo caso di un procuratore sarcedote? Sembrerebbe, anche se padre Volpi non intasca una lire per l’ingaggio di Montuori che, dopo qualche tentennamento, la Fiorentina ratifica per 18 milioni portando in Italia il promettente centravanti che, a prima vista, non dà l’impressione del fuoriclasse: alto poco più di un metro e settanta, la faccia triste e le pochissime parole spiccicate al suo arrivo a Firenze. Bastano pochi allenamenti, però, per far capire a presidente, allenatore e tifosi di esser di fronte ad un gran giocatore: le giocate di Montuori, infatti, sono eccezionali, tocco di palla elegante, tecnica e senso del gol. Fulvio Bernardini, chiamato ad allenare una Fiorentina finalmente competitiva per il vertice, si gode un attaccante di enorme valore e con l’unica incognita dell’adattamento al campionato italiano.

Nulla di più semplice: la Fiorentina 1955-56 è una squadra compatta, guidata da un tecnico esperto e carismatico. Il pubblico viola è in estasi, Montuori incarna perfettamente lo spirito affamato dei toscani che giocano un calcio pulito e redditizio, arrivando nel maggio del 1956 a festeggiare il loro primo storico scudetto; la festa a Firenze è indescrivibile, Bernardini è riuscito in un’impresa che pareva impossibile, Befani si gode lo spettacolo e i ringraziamenti, oltre a ringraziare lui stesso quel sacerdote che gli aveva consigliato l’argentino triste, capace invece di far tornare il sorriso ad una città intera che celebra un titolo leggendario. Montuori è grande protagonista con 13 reti in 32 partite e la palma di migliore in campo spesso assegnatagli all’unanimità da pubblico e critica. Altro che triste, l’attaccante sudamericano è una forza della natura, è un calciatore completo, adattissimo ai ritmi e ai tempi del calcio italiano, tanto che, sfruttando la “moda” del momento, la Nazionale azzurra riesce a convocarlo e a farne uno dei tanti oriundi che vestiranno la maglia dell’Italia negli anni.

La stagione 1956-57 vede la Fiorentina ancora protagonista: secondo posto in campionato e vittoria della Coppa dei Campioni sfiorata con la finale persa a Madrid contro il Real di Puskas e Di Stefano al termine di un cammino epocale per i viola che toccano il punto più alto della loro storia europea. Montuori è nuovamente fra i migliori con 14 reti in campionato e una in Coppa Campioni, mentre l’anno successivo ne realizzerà 12 con la Fiorentina ancora seconda; i secondi posti dei gigliati saranno in totale 4 di fila con due finali di Coppa Italia perse, Montuori diventerà l’idolo dei tifosi col picco toccato nel campionato 1958-59 con 22 reti in 27 partite. Tutta Firenze ama quell’attaccante dal volto malinconico ma dall’immensa classe, anche grazie a lui la Fiorentina è allo stesso livello delle grandi del calcio italiano, rispettata e temuta come la rivale Juventus, come le milanesi; sembra in discesa il cammino dei viola e quello di Montuori, candidato a diventare uno degli assi del calcio internazionale, uno dei calciatori che possono entrare nel mito di uno sport che si sta lentamente facendo largo nel panorama mondiale. Ma c’è un destino che Montuori, Firenze e nessuno ancora conosce, un destino beffardo che si abbatterà sul calciatore, spezzandone sogni, velleità e salute; la storia di Miguel Angel Montuori sta per vivere il suo tramonto e la sua lenta fine, proprio all’apice di un successo che resterà per sempre incompleto.

E’ il 19 aprile 1961 quando Montuori, infortunato, sta recuperando la forma migliore giocando a metà settimana un’amichevole a Perugia con la squadra riserve della Fiorentina. La partita vale per il campionato De Martino, una sorta di antenato dell’attuale campionato Primavera, sugli spalti ci saranno una decina di spettatori, nonostante la presenza di un campione come l’argentino. La gara si trascina stancamente fra tatticismi ed involontari errori, quando un rinvio lungo del portiere viola scavalca Montuori che si getta all’inseguimento della palla; un difensore perugino vede arrivare l’argentino e scaglia la sfera più lontano che può colpendola con estrema forza: il pallone incoccia il volto di Montuori che stramazza al suolo privo di sensi. Gli attimi che susseguono sono concitati perchè Montuori non si riprende e perchè il medico non riesce a rianimarlo. Negli spogliatoi la situazione torna sotto controllo, il calciatore si sveglia e sta bene, avverte solamente stordimento e nausea, causati dal violento impatto col pallone che l’ha colpito fra tempia ed orecchio. Lo staff sanitario della Fiorentina non ritiene necessario il ricovero in ospedale, forse questo si rivelerà un errore, forse no, fatto sta che Montuori torna a casa mezzo rimbambito ma tutto sommato in buona salute. Durante la notte, però, l’attaccante si sveglia in preda ad un forte mal di testa e non riesce a riaddormentarsi; la mattina dopo le cose vanno anche peggio perchè il ragazzo inizia a vederci doppio e a barcollare, si spaventa e chiama i medici: stavolta sì che il trasporto in clinca è d’obbligo.

La diagnosi è impietosa: diplopia. Montuori viene fatto mettere a letto, dovrà riposarsi senza uscire e ovviamente senza praticare sport per 3 mesi, il tempo della giusta preparazione all’operazione. In un curioso ma triste controsenso, il calciatore può pensare alla differenza di una preparazione atletica (attiva e stancante) in vista di un impegno agonistico importante e a quella pre intervento chirurgico, statica e in fondo deprimente perchè Montuori non sa ancora cosa gli riserva il futuro. Nulla di buono, perchè il suo calvario sta solo per iniziare: l’operazione riesce, ma nelle 48 ore successive la parte sinistra del corpo del centravanti si paralizza completamente e i medici lo riportano d’urgenza in sala operatoria, gli salvano la vita ma non la carriera. Glielo dicono chiaramente, infatti: vita normale ma divieto di giocare a calcio, troppo pericoloso e probabilmente anche impossibile per un uomo con la vista annebbiata. Per Miguel Angel Montuori comincia una nuova vita che assomiglia ad una corsa ad ostacoli: l’ormai ex calciatore riacquista la vista ma ad annebbiarsi è ora il cervello e anche i gesti più semplici appaiono insormontabili. L’argentino racconterà in seguito di come si decise a chiudersi in casa dopo aver constatato la difficoltà nel fare anche le cose più banali, come comperare il giornale: “Andavo in edicola – svelerà molti anni dopo – chiedevo un quotidiano, ma non riuscivo ad afferrarlo, spesso sbagliavo e ne prendevo un altro; il giornalaio mi chiedeva: scusi, non ha mica chiesto quel giornale lei. Quale vuole?”. Imbarazzo e depressione sovrastano la mente di Montuori, passato dall’essere idolo delle folle calcistiche a essere compatito dagli edicolanti.

Montuori chiede conforto ai medici, uno di essi gli consiglia di non abbattersi e di far lavorare il cervello il più possibile, in qualsiasi modo. L’ex attaccante si iscrive ad un corso di scacchi per corrispondenza e per quasi un anno resta segregato in casa a giocare a scacchi, poi inizia per diletto a scrivere articoli di giornale, risvegliando la sua attività e ritrovando fiducia ed entusiasmo. Ad un anno esatto dal giornale non afferrato, Montuori guarisce e riprende in mano la sua vita: il calcio giocato gli è stato tolto, ma il trentenne sudamericano si ricicla come cronista, scoprendosi un’ottima penna, dotata di stile e fantasia. Tutto superato, dunque? La luce in fondo al tunnel? Il destino per Montuori ha riservato ancora trappole, invece: nel pieno della sua attività giornalistica, infatti, l’ex centravanti della Fiorentina deve ricoverarsi ancora perchè quelli che sembravano dei banali mal di testa si sono ormai trasformati in un martellamento continuo. Altra drammatica scoperta: Montuori ha un aneurisma e va operato al più presto; è il 1963, altra degenza, altre sale operatorie, altro odore di disinfettante. Si chiede perchè, Montuori, mentre l’effetto dell’anestesia lo conduce in un sonno indotto dal quale si risveglia guarito ma inevitabilmente indebolito.

Il calcio è una passione ed un richiamo fortissimo: a 31 anni Montuori sfida ancora il fato avverso e si mette a fare l’allenatore. Guida in Toscana formazioni di provincia come l’Aglianese o il Pontassieve, poi si arrende ed ammette a sè stesso e agli altri di conoscere sì il calcio e la tattica, di voler sì vincere ma di non possedere quella leadership tale da trasmettere le sue conoscenze e le sue ambizioni ai calciatori che allena. In più, tanto per cambiare, la salute non lo assiste e lo costringe ad altre operazioni, la più pesante delle quali a causa di un’ulcera. Montuori se ne torna in Cile assieme alla moglie, è il 1971 e di lui si saprà poco o nulla fino al 1988 quando la Fiorentina organizza una sorta di rimpatriata: i migliori calciatori della storia gigliata riuniti a Firenze in una calda serata di giugno. Montuori e signora vengono accolti da un boato al loro ritorno in Italia dopo quasi vent’anni. Ma c’è di più: il calore di Firenze, l’affetto della gente, la stima degli ex compagni di squadra che lo acclamano, convincono l’argentino a stabilirsi nuovamente in Italia, aiutato anche da qualcuno dei suoi vecchi amici che lo supporta nell’acquisto di una casa nel capoluogo toscano e gliela arreda anche, comprando mobilio e suppellettili. Grazie al comune, Montuori trova pure lavoro in biblioteca, oltre ad aiutare piccole società calcistiche nella selezione di talenti e promesse da far sbocciare nel grande calcio. E’ il caso di Francesco Flachi che a neanche 14 anni, segnalato da Montuori, viene acquistato dalla Fiorentina con cui giocherà per diversi anni prima di proseguire la sua carriera alla Sampdoria.

Miguel Angel Montuori si stabilizza a Firenze, coccolato dalla città che lo ha amato da calciatore e sostenuto nei momenti più difficili della sua vita. L’argentino vive in Toscana gli ultimi dieci anni di un’esistenza inizialmente fortunata e dorata, trasformatasi poi in un dramma continuo, costellato da malanni ed avversità, il tutto nato da una fortuita pallonata in un’amichevole con le riserve della Fiorentina a metà settimana. Miguel Angel Montuori muore a Firenze il 4 giugno 1998  a 56 anni dopo aver perso la battaglia contro un male più forte di lui, più forte anche di quella voglia di vivere che mai lo aveva abbandonato in quasi trent’anni di continua sfortuna, una malasorte che sembra essersi volutamente accanita con un uomo che voleva fare solamente il calciatore ma che ha dovuto dribblare avversari assai più cattivi dei semplici difensori rivali.

di Marco Milan

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