Milano, Festival dei Diritti Umani alla Triennale

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Una settimana dedicata ai diritti umani. Giunto alla seconda edizione, il Festival dei Diritti Umani punta a sensibilizzare la società civile sul tema della libertà d’espressione, proponendo – dal 2 al 7 maggio alla Triennale di Milano – mostre, convegni, dibattiti, proiezioni, con intellettuali e studiosi italiani ed internazionali.

LOGO FESTIVAL DIRITTI UMANIOgni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche, diceva Jean Paul Sartre. È questo il titolo scelto per la seconda edizione del Festival dei Diritti Umani in corso a Milano. La frase, spiegano gli organizzatori, “non è un bianco/nero netto, ma una gradazione di grigi. Lottare per la libertà d’espressione non è quindi solo combattere la censura, ma anche comprenderne le mille forme che può prendere, a volte intrecciate e conflittuali”. La scelta di dare spazio a un tema universale ancora troppo spesso negato è al centro dell’iniziativa, ospitata nella prestigiosa cornice del Palazzo della Triennale.

Il Festival dei Diritti Umani è organizzato dall’associazione non profit Reset-Diritti Umani, con il patrocinio della Presidenza della Camera dei deputati, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Città metropolitana di Milano, del Comune di Milano – Palazzo Marino, dell’Ordine degli Avvocati di Milano e di Amnesty International – Italia.  Ad attendere i visitatori un programma ricco di iniziative: 19 documentari in concorso, 70 ospiti, 5 film in anteprima, incontri con 2500 studenti. Ogni giorno cinque formati diversi (Edu, Talk, Doc, Book, Film) con un unico obiettivo: alzare lo sguardo, come l’hashtag scelto per animare il dibattito sui social media. L’ingresso al Festival è libero, fino ad esaurimento posti. Tutti gli incontri della sezione “Talk” saranno trasmessi anche in streaming.

Il convegno pomeridiano del 3 maggio, che si è tenuto nel Salone d’Onore della Triennale in occasione della Giornata mondiale della Libertà di stampa, “Il pericolo non dovrebbe essere il mio mestiere. Il giornalismo tra censure, minacce e guerre”, è stato il filo conduttore di tutta la giornata del Festival. L’incontro, in collaborazione con FNSI e Articolo21, ha acceso i riflettori su uno dei diritti umani più importanti, sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il condizionale, usato nel titolo del convegno, è d’obbligo. Basta ascoltare le testimonianze dei presenti. La precarietà è una forma di pericolo, “un dramma”, più psicologico che fisico, concordano in apertura Gabriele Dossena e Paolo Perucchini, rispettivamente Presidente dell’ODG Lombardia e dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. “Chi è sottopagato è meno libero”, ha affermato Dossena, evidenziando che il 65% dei giornalisti italiani sono freelance, pagati pochi euro al pezzo a discapito della loro dignità.

Sono ancora tantissimi, in Italia e all’estero, i giornalisti ai quali viene negata protezione e sicurezza nello svolgimento del loro lavoro. I numeri e le testimonianze parlano chiaro. Informare può voler dire: compiacere, tacere e persino morire. A raccontare per primo ai presenti cosa significhi “mettere il bavaglio” alla stampa è il giornalista turco Ahmet Insel. “Essere giornalisti in Turchia significa essere muti due volte: davanti allo Stato di diritto e alle redazione di giornali”, ha dichiarato Insel, delineando l’attuale scenario dell’informazione turca. In uno “Stato arbitrario” che utilizza l’accusa di “propaganda al terrorismo” contro i giornalisti, 150 sono finiti in prigione, 1500 sono disoccupati, sostiene l’editorialista del quotidiano Cumhuriyet. “Oggi la nostra giustizia è completamente asservita al potere”, denuncia Insel, che parla della necessità di fare “giornalismo militante” – anche se non un buon giornalismo, ci tiene a precisare – di fronte all’alto tasso di violenza che caratterizza la società turca.

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I giornalisti Amalia De Simone e Paolo Borrometi dialogano con il Direttore del Festival, Danilo De Biasio. Illustrazioni a cura di Gianluca Costantini.

A minare la libertà di espressione ci sono poi le “minacce”, verbali e fisiche, e le “querele temerarie”, come hanno raccontato due giornalisti minacciati dalla mafia, Amalia De Simone e Paolo Borrometi, nominati Cavalieri dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Sergio Mattarella. “Il giornalista che vede e si volta dall’altra parte non sta facendo il suo lavoro”, ha esordito Borrometi, raccontando l’aggressione subita nel 2014 e la sua vita da allora sotto scorta, con la tenacia di continuare ad informare i cittadini, compresi quelli della sua terra, Ragusa, dove 9 giornalisti sono stati uccisi dalla mafia. De Simone ha condiviso appieno le esternazioni del collega, parlando delle intimidazioni e della vicenda giudiziaria che l’ha vista protagonista contro Il Mattino di Napoli. Il suo intervento è un invito a contrastare le  querele temerariee a reagire di fronte alle forme di “sfruttamento” subite quotidianamente da tanti giornalisti.

Quel “fare squadra” di cui ha parlato il giornalista siciliano non esiste in Russia, stando al racconto di Nadia Azhghikina, vice presidente della Federazione Europea dei Giornalisti. “In Russia non c’è solidarietà tra colleghi. I media sono servi delle oligarchie”, ha dichiarato la giornalista russa. Dal 2009 in Russia sono morti più di 350 giornalisti, uccisi o deceduti per cause sconosciute. E dopo più di dieci anni, il mandante dell’omicidio di Anna Politoskaja non ha ancora un nome.

Fatti preoccupanti, forti negazioni della libertà di espressione, che si aggiungono a quelli di altri Paesi, dove la sicurezza degli operatori dell’ informazione è costantemente minacciata. Il Presidente della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), Giuseppe Giulietti, è tornato sul caso della Turchia. La recente liberazione del giornalista italiano Gabriele Del Grande non deve fare abbassare la guardia, ha detto Giulietti ribadendo il “No” dei giornalisti italiani al bavaglio turco e invocando, ancora una volta, verità e giustizia per Giulio Regeni, Andy Rocchelli e Andrej Mironov.

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Un momento della mostra “Dall’ultimo fronte. L’Ucraina di Andy Rocchelli e Andrej Mironov”

Se la vicenda di Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto, è più nota rispetto a quella di Rocchelli Mironov, il fotografo italiano e il suo traduttore uccisi in Ucraina nel 2014, l’esigenza di avere giustizia, per loro e gli altri giornalisti uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro, rimane la stessa. “La solidarietà è per tutti. Si difende l’idea di libertà”, senza confini, ha sostenuto Giulietti dando la parola di genitori di Rocchelli e al legale della famiglia. I genitori hanno ripercorso i tragici momenti della sparatoria del 24 maggio 2014, nella quale persero la vita i due giovani reporter, in Ucraina per “comprendere” e “documentare” quanto stava accadendo.

Il racconto per immagini dei conflitti di quella guerra civile, ancora in corso e di cui si parla poco, sono l’eredità preziosa lasciata dai due fotogiornalisti a tutti i visitatori, raccolta nella mostraDall’ultimo fronte. L’Ucraina di Andy Rocchelli e Andrej Mironov”. C’è la determinazione di conoscere la verità nelle parole dei genitori del giovane giornalista di Pavia. Nelle sue foto c’è la storia dell’insurrezione di Maidan nel febbraio 2014 e poi della guerra nel Donbass, passando per i bombardamenti a Sloviansk e le foto scattate sotto attacco, poco prima di morire. Ci sono anche le voci dei fotoreporter. Ma ciò che ancora manca è la ricostruzione della dinamica e delle responsabilità dell’accaduto. “I diritti sono universali”, ha ricordato Alessandra Ballerini, avvocato della famiglia Rocchelli, chiedendo una nuova rogatoria per fare luce su quel tragico pomeriggio di tre anni fa.

L’impegno per la difesa dei diritti umani continua anche dopo il Festival, che ha aderito alla manifestazione del 20 maggio ‘Insieme senza muri’ per chiedere a Milano di rimanere “aperta” dopo il blitz dei giorni scorsi nella Stazione Centrale. Il messaggio di questa seconda edizione è quello di non darsi per vinti e ricercare la verità. Come facevano in vita i giornalisti uccisi, e come devono fare i cittadini e i colleghi per onorarne la memoria, diffondendo le loro testimonianze e l’esempio imperituro di passione e coraggio.

(di Elena Angiargiu)

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