Amarcord: Roberto Antonio Rojas e la truffa cilena ai mondiali

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Il racconto dello scandalo durante le qualificazioni sudamericane per Italia ‘90

amarcord cileCosa raccontare di significativo e rilevante dei mondiali italiani del 1990? Certamente la vittoria della Germania nella finale di Roma contro l’Argentina e le lacrime di Diego Armando Maradona, certamente la delusione dell’Italia di Vicini, i gol di Schillaci, ma anche lo spumeggiante Camerun di Milla, le belle e sfortunate Inghilterra e Jugoslavia, le deludenti Olanda e Unione Sovietica. In pochi, però, ricordano quanto accaduto un anno prima durante le qualificazioni del gruppo sudamericano nella gara fra Brasile e Cile, decisiva per il passaggio del turno e condizionata dall’incredibile tentativo di inganno del portiere cileno Rojas.

Fra il 1988 e il 1989 il Sudamerica viene diviso in tre gruppi da altrettante squadre per stabilire le tre nazionali qualificate per Italia ’90 e che andranno ad aggiungersi all’Argentina, già promossa ai mondiali come campione in carica. Il girone C è formato dal favorito Brasile, dall’ambizioso Cile e dal Venezuela, la nazionale più debole della cerchia; brasiliani e cileni vincono le due gare contro i venezuelani e pareggiano per 1-1 lo scontro diretto a Santiago del Cile, così la sfida di Rio de Janeiro del 3 settembre 1989 diventa decisiva per la qualificazione: entrambe le formazioni hanno 5 punti in classifica, chi vince vola in Italia, chi perde resta a casa, con un pareggio passano i brasiliani per la miglior differenza reti generali. Un’eliminazione del Brasile sarebbe clamorosa, tutto il mondo attende il verdetto del mitico stadio Maracanà chiedendosi come sarebbe un mondiale senza Brasile; il Cile inizia così a lagnarsi, mette le mani avanti e protesta preventivamente temendo un sabotaggio a suo sfavore per avvantaggiare i verdeoro che a loro volta si lamentano della designazione arbitrale del fischietto argentino Juan Carlos Loustau, perché, si sa, fra argentini e brasiliani non corre buon sangue e quale occasione migliore per un argentino avere il potere di estromettere il Brasile dalla coppa del mondo? La gara, insomma, si presenta infuocata già dalla vigilia, in più al Maracanà si attendono oltre 130 mila spettatori con anche ottima rappresentanza cilena.

3 settembre 1989, Brasile e Cile scendono in campo in un frastuono assordante ma anche in un clima di forte tensione; non è una bella partita, del resto in palio c’è la qualificazione ai mondiali, in più il Brasile non è il migliore della storia, la punta di diamante è Antonio Careca, centravanti del Napoli, mentre la nazionale cilena è una buona squadra, molto rocciosa e di gran temperamento, guidata in porta da Roberto Antonio Rojas che, fatalità, gioca proprio in Brasile nel San Paolo e conosce molto bene parecchi degli avversari, oltre all’ambiente del Maracanà. All’inizio del secondo tempo il Brasile va in vantaggio proprio con Careca nel tripudio di uno stadio che ora si è tolto un macigno dallo stomaco: l’Italia è per il popolo carioca sempre più vicina, mentre i cileni sprofondano nel dramma, consapevoli che per passare il turno serviranno due reti. Il Maracanà impazzisce, i tifosi ballano, cantano e sparano pure fumogeni, tanti, forse troppi; fumogeni e petardi, nuvole di fumo e rumori fragorosi. Al 69’ un fortissimo bengala esplode dalla curva posizionata dietro la porta cilena, scoppiando a pochi metri dal portiere Rojas e creando un’intensissima coltre di fumo dalla quale dopo qualche istante l’estremo difensore della nazionale cilena riemerge col volto coperto di sangue; i membri della panchina del Cile schizzano in campo come molle, i calciatori in maglia rossa si agitano e si riuniscono a capannello attorno al portiere, nel frattempo stramazzato al suolo con le mani sul viso ancora insanguinato. Il momento è agghiacciante: gli spettatori urlano e fischiano, i calciatori brasiliani sono attoniti, quelli cileni sono furie, protestano isterici, agitano le braccia indicando la curva dalla quale è partito il bengala che ha ferito il portiere. Dopo qualche attimo di sbandamento, anche la terna arbitrale si fa largo in campo prendendo la più ovvia delle decisioni in casi simili: sospende la gara e manda tutti negli spogliatoi, anche perché i cileni non vogliono per niente al mondo tornare a giocare e si rifiutano di rimettere piede in campo, mentre Rojas viene portato via a braccia dal terreno di gioco e condotto in infermeria prima di essere riportato in Cile in tutta fretta con un volo privato.

La Federcalcio del Cile è furibonda e chiede la vittoria a tavolino, la qualificazione ai mondiali e l’estromissione del Brasile, nonché l’apertura di un’inchiesta penale per i fatti del Maracanà. Ma fin dai primi giorni successivi alla gara, qualcosa inizia a non tornare: vengono infatti visti e rivisti i filmati della vicenda e qualche gesto dei calciatori cileni risulta sospetto, in particolar modo quelli di Astengo, che sembrano confabulare tra di loro ed urlare qualcosa a Rojas. Quindi ecco la scoperta che nessuno si aspetta: il reporter Ricardo Alfieri rende pubblica una sua foto che mostra in più sequenze la caduta del bengala, piovuto a debita distanza da Rojas che, oltretutto, fa di tutto per avvicinarsi al luogo dell’esplosione anziché allontanarsene. E’ la Federazione brasiliana, stavolta, ad andare su tutte le furie chiedendo una controinchiesta: il Cile inizialmente tentenna, ma la Fifa pretende chiarezza, il risultato di Brasile-Cile è ancora sub judice e una decisione va presa in fretta. Rojas viene messo sotto torchio, gli vengono mostrate le immagini e le foto, lui nega, poi cade in contraddizione e alla fine confessa l’incredibile messinscena: ammette che il petardo è scoppiato a molti metri di distanza da lui che, colta la palla al balzo, si è nascosto in mezzo al fumo, ha tirato fuori da un guanto un piccolissimo bisturi che si era appositamente portato da casa e col quale si è inciso il volto allo scopo di far vincere alla sua nazionale la partita a tavolino. Rojas, in pratica, sapeva che sugli spalti ci sarebbe stato tumulto e che con ogni probabilità i tifosi avrebbero acceso torce, fumogeni e lanciato bengala; l’idea era semplice e diabolica: qualora le cose si fossero messe male, approfittare del primo momento di confusione per tirar fuori il piccolo bisturi e tentare la truffa mondiale. Un’idea, peraltro, quasi riuscita in pieno, perché non fosse stato per un zelante reporter e per l’incaponirsi della federazione brasiliana, forse nulla sarebbe venuto a galla.

La mano della giustizia sportiva è pesantissima coi cileni: il Brasile vince 2-0 a tavolino la gara e si qualifica per i mondiali con tanto di scuse della Fifa, il Cile viene squalificato da Italia ’90 (anche se la qualificazione era comunque già sfumata) ed anche dalle eliminatorie per il successivo campionato del mondo del 1994, mentre Roberto Antonio Rojas viene squalificato a vita per condotta estremamente antisportiva. Lo scandalo è inoltre ingigantito dal sospetto che altri calciatori della nazionale cilena fossero a conoscenza del perfido piano del portiere, ipotesi rafforzata dal contraddittorio comportamento del già citato Astengo che sarà squalificato per 5 anni non avendo permesso alla sua squadra di rientrare in campo, ma anche del commissario tecnico Aravena, accusato di aver imposto ai suoi calciatori di urlare a Rojas di rimanere a terra come svenuto, mentre forti sospetti cadranno anche sulla federazione cilena, forse la mente dell’intera vicenda, così solerte a riportare in Cile Rojas dopo la partita ed altrettanto restia a commentare gli eventi una volta uscito lo scandalo. Qualcuno sostiene che a Rojas fossero stati assicurati risarcimenti in caso di insuccesso, nonché gloria da martire qualora la truffa fosse andata in porto e la nazionale cilena qualificata per Italia ’90, altri si sono invece limitati a credere ad un’iniziativa personale del portiere sudamericano, coadiuvato al massimo da un paio di compagni.

Verità nascoste ed omesse a parte, lo scandalo del Cile esce alla ribalta con gravi conseguenze anche sportive perché i cileni torneranno in auge solamente ai mondiali del 1998 quando arrivano a raggiungere anche gli ottavi di finale grazie alla coppia gol Salas-Zamorano, eliminati, ironia della sorte, proprio dal Brasile quando però della vicenda di 9 anni prima nessuno ricorda più quasi nulla. Roberto Antonio Rojas viene invece amnistiato dalla Fifa nel 2001 e dopo varie richieste di perdono, quando ha già 44 anni e nessuna possibilità di tornare a calcare i campi di calcio; nel 2015 è sottoposto ad un delicato trapianto di fegato, mentre della vicenda di Rio de Janeiro non parla più volentieri, anche se ha più volte ripetuto di esserne uscito con le ossa rotte non solo per la carriera stroncata, ma anche perché famiglia ed amici non lo hanno perdonato del tutto, perfino la moglie ne ha avuto poca pietà. “Fossi stato argentino o brasiliano non mi avrebbero squalificato”, ha provato inoltre a giustificarsi Rojas, parlando di ostracismi politici e favoritismi calcistici. Una storia intricata, da romanzo giallo e non da campo di calcio, una storia ancora oggi con lati oscuri, ma che sia in Brasile che in Cile tutti hanno voluto dimenticare; qualcuno ha scritto: “Rojas ha dato un taglio alla sua carriera”. Ecco, forse è meglio chiuderla con un sorriso.

di Marco Milan

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