25 anni dopo, il ricordo di Libero Grassi che sfidò Cosa Nostra

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In occasione dei 25 anni dal suo assassinio, la Rai ricorda il coraggio di chi si è opposto a Cosa Nostra con la docufiction “Io sono Libero”

“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”.

Palermo. 29 agosto 1991. Sono le 7.30 del mattino quando, in quella che sembra essere una normale giornata di lavoro, il rombo di quattro colpi di pistola sveglia tutta la Sicilia, e non solo. Libero Grassi, l’imprenditore che aveva osato opporsi ai suoi estortori che gli avevano imposto di pagare il pizzo, viene ucciso in modo spietato. I mandanti erano mafiosi del clan di Cosa Nostra, Salvino Madonia e Marco Favaloro, arrestati qualche anno più tardi.

Erano trascorsi solo pochi mesi da quelle parole che abbiamo riportato in apertura, tratte da una lettera scritta dallo stesso Grassi il 10 gennaio 1991 e pubblicata sul “Giornale di Sicilia”. La lettera era intitolata “Caro estortore”, lo stesso che non gli aveva dato pace né in vita e neppure dopo la morte. In una terra che non può e non vuole dimenticare. Ma facciamo un passo indietro. Classe 1924, Libero Grassi nasce a Catania per poi trasferirsi a Palermo dove ha trascorso gran parte della vita e dell’attività imprenditoriale. Dopo la seconda guerra mondiale milita nel partito d’azione; dalla facoltà di giurisprudenza al sogno di essere un diplomatico, Libero finirà per diventare commerciante come suo padre. Fonda una società in provincia di Milano ma è a Palermo che ritorna mettendo in piedi MIMA, una piccola azienda che produce biancheria e che presto arriva ad avere circa 250 operai. Nel 1955, con la moglie, partecipa alla fondazione del Partito Radicale di Marco Pennella, inizia a scrivere articoli politici per vari giornali, per poi dedicarsi alla politica attiva con il Partito Repubblicano Italiano. 

La vita dell’imprenditore è stata stroncata da uno dei mali più profondi che assediano ancora oggi la piccola isola, nonostante l’esposizione mediatica di Libero Grassi, nonostante le ripetute denunce che se ascoltate avrebbero potuto evitare il peggio. L’11 aprile 1991, infatti, Libero Grassi fu ospite di Samarcanda, la trasmissione che conduceva allora Michele Santoro su Rai Tre, dove affermò: “Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore”. Pazzia e dignità. Due concetti che convivevano nel sogno di Grassi e di tanti imprenditori e commercianti. Il sogno di vedere nella Sicilia non un fazzoletto di terra assediato dal racket della criminalità organizzata, ma una terra libera.

Il cancro mafioso è qualcosa che riguarda e coinvolge tutti, dalle più alte istituzione fino all’educazione insegnata nelle aule scolastiche. Dalla Sicilia alla Lombardia, dalla Puglia all’Emilia Romagna. Perché quando anche solo un piccolo arto è infetto, l’intero organismo ne risente.

Qualche mese dopo la morte di Grassi, è stato varato il decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione. Mentre la vedova Pina Maisano Grassi tra minacce e intimidazioni, prosegue la lotta per la legalità in nome del marito, all’interno delle istituzioni e al fianco della società civile in sostegno delle tante associazioni anti-racket sorte dal 1991 in Sicilia e nel resto d’Italia.

In occasione del 25esimo anniversario dell’omicidio di Grassi, Rai1 lo ha ricordato lo scorso lunedì con la docufiction che ha visto tra i protagonisti Alessio Vassallo, Pietro Chiaramida, Stella Egitto e Alessandra Costanzo. La docufiction ripercorre gli ultimi otto mesi della vita di Libero Grassi, in un arco narrativo che va dal giorno della lettera pubblica al “Caro estortore” fino al giorno del suo omicidio. Un uomo, un comune cittadino che ha fatto della lotta alla mafia la propria professione in un periodo storico in cui esisteva una logica di potere e di controllo della città di Palermo totalmente mafiosa. Un imprenditore che a questa logica perversa e spietata si è ribellato con la logica delle parole, con i ragionamenti, con la forza di una vita sempre vissuta con la moglie (scomparsa da poco) e i figli, nei principi della giustizia, della libertà individuale e della crescita collettiva.

“Io Sono Libero”, un titolo che gioca con le parole, vuole ricordare il grido soffocato di chi ha cercato di spezzare il silenzio e l’omertà rimanendo isolato, fino a diventare il facile bersaglio di un clan mafioso. Nella stessa terra in cui un anno dopo, nel 1992, a distanza di pochi mesi vengono assassinati i magistrati Falcone e Borsellino. Proprio quando in altre regioni italiane dilagava il fenomeno mafioso, negato, sottovalutato, minimizzato da certe istituzioni.

Libero Grassi rimane l’esempio di un uomo che ha avuto il coraggio di lottare, la forza di amare la propria terra tanto da non riuscire a lasciarla. Un Sud che accoglie e condanna. Un Sud dal quale non volersi sradicare può equivalere a una maledizione. Perché, diciamolo, sarebbe stato molto più semplice lasciare tutto e ricominciare altrove. Libero Grassi e la sua famiglia non lo hanno fatto e hanno pagato a caro prezzo la dura scelta. Tuttavia ieri non è poi così diverso da oggi. Dopo 25 anni e altri morti sulla coscienza del nostro Paese, c’è ancora chi lotta e chi cerca di resistere, come Ignazio Cutrò, già intervistato da Mediapolitika. La battaglia di Cutrò contro il racket è sempre attiva sui social e nella realtà, con la quale il testimone di giustizia ed ex imprenditore si incontra e scontra ormai ogni giorno oltre le sterili denunce che spesso lasciano il tempo che trovano.

(di Anna Piscopo)

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