Docufilm sull’identità di Shakespeare: intervista a Alicia Maksimova

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“Was Shakespeare English?” (Shakespeare era inglese?) è il titolo dell’affascinante documentario-viaggio di Alicia Maksimova, presentato in anteprima all’Istituto Italiano di Cultura di Londra il 19 luglio e proiettato a Salina, nell’arcipelago delle isole Eolie, il 22 luglio durante la V edizione di MareFestival – Premio Troisi 2016. 

ShakespeareLa regista britannica di origine russa, Alicia Maksimova, ci guida in un affascinante viaggio dallo Stretto di Messina a Venezia e Verona, con tappa in Inghilterra, per poi approdare in Sicilia e nelle Isole Eolie, mantenendo gli spettatori in suspense dalla prima all’ultima scena. Attraverso una raccolta puntuale di testimonianze e documenti, il docufilm cerca di rispondere al quesito, controverso e misterioso, sulle origini del grande drammaturgo di cui nel 2016 ricorre il quattrocentesimo anniversario della morte.

Was Shakespeare English?” (Shakespeare era inglese?), ideato, scritto e diretto da Alicia Maksimova per la casa di produzione cinematografica Sirena Global Productions, conduce lo spettatore alla scoperta della bellezza intima dei paesaggi e delle città italiane raccontando il legame profondo tra i luoghi e le opere del drammaturgo.

Commentando il lavoro di Alicia Maksimova, l’architetto e storico Nino Principato, tra le voci “esperte” che compaiono nel docufilm, ha dichiarato: «Geniale la scelta dell’autrice e regista, Alicia Maksimova, di apparire nel film. Ma non è, questa, una semplice presenza fine a se stessa dal significato egocentrico come faceva Alfred Hitchcock in almeno una scena dei suoi film: Alicia, infatti, segue la trama per tutta la sua durata vestita di nero e ripresa sempre di spalle e mai di fronte. La sua presenza, a mio avviso, assume così un significato simbolico e rappresenta il “fil rouge” del film, il suo “trait d’union”… Ma soprattutto rappresenta la ricerca della verità, quella verità che per sua natura è assoluta e quindi non può essere falsa (non ha colore, non ha odore, non ha sapore, non ha un volto)».

Mediapolitika ha intervistato a Londra la regista, che ci ha raccontato qualcosa di più del suo lavoro, svelando anche qualche curiosità sulle riprese e i suoi nuovi progetti.

Come è nata l’idea del tuo docufilm?

Qualche anno fa ho finito di girare un cortometraggio in Sicilia. Prima di ripartire per Londra, ho fatto visita alla galleria di uno scultore siciliano, Nino Ucchino, e mentre conversavamo, mi ha riferito che Shakespeare potrebbe essere nato a Messina. Inizialmente ho riso. “Va bene – gli ho detto – la Sicilia è il Paradiso. Avete tutto, volete avere anche Shakespeare?”. Poi sono tornata a Londra e non ho più ripensato a quel discorso per sei mesi. Stavo lavorando a un lungometraggio ambientato in Sicilia e il giorno in cui ho finito la sceneggiatura ho intervistato un conte siciliano che abita a Londra. Facevo spesso “le interviste siciliane” – la Sicilia è la madre della retorica: le signore del villaggio e gli uomini che lavorano la terra possono parlare di mitologia, storia, arte, filosofia ed esistenza in un modo talmente bello che i presentatori della tv inglese non riuscirebbero mai a raccontare così. Il conte parlava della Sicilia e al termine dell’intervista ha messo un piccolo busto di Shakespeare sul tavolo, dicendo: “Gli inglesi non me ne vogliano, ma lui è uno dei nostri”.

Come e quando hai cominciato le tue ricerche per il docufilm?

Ho iniziato subito dopo l’incontro con il conte. Lui racconta sempre tante storie quindi all’inizio non ho creduto troppo alle sue parole. Quando sono tornata a casa, a mezzanotte, ho fatto una ricerca su Google scrivendo alcune parole che aveva menzionato. Con enorme sorpresa sono venuta a conoscenza della vasta ricerca degli accademici e dei giornalisti investigativi italiani che sostengono che Shakespeare potrebbe essere italiano di nascita. Ho seguito quei filoni di ricerca, cominciando a viaggiare e ho condotto una ricerca indipendente in Sicilia e in Veneto, durata due anni e mezzo prima dell’inizio delle riprese e proseguita anche successivamente.

Dopo il primo anno, avevo già capito che non era possibile, a quel punto, provare scientificamente che Shakespeare fosse la stessa persona di cui parlavano i ricercatori italiani. Ho deciso di allargare il campo di osservazione e dimostrare solo che per avere la conoscenza dell’Italia che aveva il drammaturgo – della topografia di tante città, della storia, della letteratura rinascimentale, medioevale e classica, della navigazione, la conoscenza giuridica di diverse parti d’Italia, delle tradizioni del Ghetto di Venezia e di altri aspetti – era necessario passare degli anni in Sicilia, in Veneto, in Lombardia e in altre parti della penisola. Tutto ciò rende probabile che nel Cinquecento il drammaturgo sia nato in Italia, sia poi emigrato in Inghilterra per ragioni religiose e politiche dove ha dovuto nascondere i suoi trascorsi perché in pericolo.

Quali sono gli aspetti più sorprendenti della tua ricerca?

Sono tanti, ma uno dei più significativi è la lingua di Shakespeare. Nella lingua inglese del Cinquecento c’erano soltanto 6000 parole e gli inglesi hanno avuto difficoltà nel tradurre i termini della diplomazia, della navigazione, del commercio e nella traduzione delle opere letterarie, mentre Shakespeare ha usato 29000 parole nelle sue opere. Le parole non inglesi non sono state inventate dal drammaturgo, come dicono di solito gli accademici inglesi, ma sono parole italiane, greche, latine, francesi, siciliane, veneziane, toscane ecc. Ci sono espressioni messinesi che non hanno senso compiuto nella traduzione inglese, come, ad esempio, “la seppelliranno con il viso all’insù” (she will be buried with her face upwards), tipico modo di dire messinese indice di superbia, pronunciata da Don Pedro d’Aragona e riferita a Beatrice nell’opera “Tanto rumore per nulla” (“Much Ado About Nothing”).

C’è un passaggio del tuo docufilm a cui tieni particolarmente?

Ce ne sono tanti. Questo viaggio è stato affascinante anche per me, con tanti ostacoli da superare e tante cose da scoprire. É stata divertente la ripresa dell’ultimo episodio ambientato a Vulcano, isole Eolie, che corrisponde per le sue caratteristiche a un’isola senza nome descritta in “La Tempesta”. Ci siamo bruciati i piedi sul cratere di Vulcano, ma le riprese sono state davvero spassose. I giochi della gente nella piscina puzzolente dei fanghi ci hanno fatto sorridere. Ancora, quando abbiamo finito il montaggio dell’episodio nel Ghetto di Venezia, mi scorrevano delle lacrime sul viso, nell’ultimo intermezzo poetico con la musica di Chopin e le immagini evocative ho fatto un tributo agli ebrei uccisi nel campo di concentramento.

Durante il lavoro del film cosa ti è rimasto impresso e ti va di condividere?

Al tempo della ricerca a Venezia ho incontrato al club di bocce un macellaio, Mario De Vettor detto “Bistecca”. Quando ho menzionato il tema del mio film lui mi ha detto subito che da sempre – sin da quando aveva letto le opere di Shakespeare al Liceo – pensava che il drammaturgo fosse vissuto a Venezia perché racconta dettagli della vita veneziana che solo i veneziani conoscevano. Potete vedere Mario nella scena del film al mercato di Rialto dove lavora: un macellaio più in gamba di tanti accademici!

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Un progetto – forse meglio chiamarlo un sogno che ho da almeno tre anni – è concedermi una vacanza di 5-6 giorni. Un altro è fare il sequel su Shakespeare con riprese a Milano, fuori Mantova e in altri posti. Ho già abbastanza materiali che forse per gli inglesi saranno un po’ scioccanti…

 

(di Elena Angiargiu)

 

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