GB e guerra in Iraq: nel rapporto Chilcot le colpe di Blair
Pubblicato il rapporto Chilcot sulla partecipazione britannica al conflitto del 2003. La guerra a Saddam fu ingiustificata e non era l’ultima opzione
Il 6 luglio scorso è stato pubblicato il rapporto Chilcot sulla partecipazione del Regno Unito alla guerra in Iraq nel 2003. Il rapporto è l’esito finale di una inchiesta voluta nel 2009 dall’allora governo guidato da Gordon Brown.
I lavori della commissione, affidata a sir John Chilcot sono durati sette anni e i risultati sono raccolti in dodici volumi (2,6 milioni di parole, tre volte più della Bibbia). L’inchiesta è costata dieci milioni di sterline e ha avuto lo scopo di ricostruire i fatti e l’origine del coinvolgimento britannico in Iraq. Nel rapporto si mettono in luce gli errori dell’intelligence e del governo britannico prima, durante e dopo l’occupazione del paese (in un periodo di tempo che va dal 2003 al 2009): in quegli anni morirono migliaia di persone tra le quali 179 soldati britannici.
Il Rapporto Chilcot conferma che la pianificazione dell’intervento fu inadeguata, che le basi giuridiche sulle quali si cercò di giustificarlo erano “lontane dall’essere soddisfacenti” e che la principale giustificazione all’intervento – ossia il possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein – era inconsistente e non supportata da prove e dati empirici. In questo modo, Washington e Londra avrebbero minato il ruolo e l’autorevolezza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu gettando il paese nel caos.
Il rapporto ha cercato di chiarire quali informazioni abbiano portato l’allora Primo Ministro britannico Tony Blair a decidere di entrare in guerra affianco degli Stati Uniti, contro il regime di Saddam; quale grado di preparazione avessero le truppe britanniche; come è stato condotto e gestito il conflitto e quale pianificazione è stata individuata per la fase successiva a quella meramente operativa: dal ritiro delle truppe alle operazioni di peace building e peace keeping.
Le informazioni sulle quali si è deciso l’intervento in Iraq
La scelta del Regno Unito di andare in guerra in Iraq nel marzo 2003 fu precipitosa e non tenne conto di possibili soluzioni alternative diplomatiche: “L’azione militare contro Saddam Hussein non era l’ultima opzione” ha spiegato Chilcot. Inoltre, le circostanze che hanno portato a individuare una base legale per la guerra contro Saddam Hussein erano “lungi dall’essere soddisfacenti e gli Usa e la Gran Bretagna minarono l’autorità dell’Onu“.
I servizi segreti non avevano prove circa il possesso, da parte di Saddam Hussein, di armi di distruzioni di massa, armi WMD che non furono mai trovate. Ciò nonostante, Tony Blair deliberatamente ingigantì il potenziale di pericolosità delle minacce provenienti dall’Iraq e questo perché Blair aveva promesso al presidente statunitense George W. Bush pieno sostegno in qualsiasi modo (“I will be with you, whatever”).
La preparazione delle truppe britanniche. Le truppe britanniche schierate in Iraq erano impreparate alle sfide che hanno dovuto affrontare. Mancanza di equipaggiamenti e addestramento inappropriato: questi i limiti principali del contingente britannico.
La gestione del conflitto. Le conseguenze della guerra sono state sottovalutate. In particolare, George W. Bush ignorò i consigli del Regno Unito sulla gestione del ritiro delle truppe e il dopo Saddam. Londra aveva consigliato di coinvolgere le Nazioni Unite e di collaborare per il controllo del petrolio e la gestione della sicurezza interna del paese. Invece, come evidenziato da sir. Chilcot nel suo dossier, la strategia di smantellare l’esercito iracheno fu fallimentare.
Il dopo guerra. Il rapporto Chilcot conclude che il governo di Blair ha fallito nel raggiungere gli obiettivi che si era prefissato: l’instaurazione della pace e la riduzione della minaccia di attacchi terroristici. La guerra ha causato migliaia di morti e feriti (tra le vittime, anche 179 soldati britannici) e l’intera regione è diventata più instabile, tanto da favorire la nascita dello Stato islamico.
Il rapporto ha suscitato clamore, indignazione e sollevato un polverone che ha letteralmente travolto l’ex premier Tony Blair. In un’intervista alla Cnn rilasciata lo scorso ottobre, Blair ha ammesso la correlazione tra la guerra in Iraq e l’ascesa dell’Isis a causa di “alcuni errori di pianificazione oltre che per i nostri errori di valutazione su cosa sarebbe successo una volta rimosso il regime”.
Blair ha accennato a delle scuse anche se “E’ difficile chiedere scusa per aver eliminato Saddam Hussein”
Blair ha poi ammesso delle corresponsabilità puntualizzando però come sia difficile sapere quale impatto sull’Iraq avrebbe avuto “la Primavera Araba cominciata nel 2011″ se la guerra del 2003 non ci fosse stata, aggiungendo che “l’Isis di fatto ha acquistato importanza da una base più siriana che irachena”.
Dopo la pubblicazione del rapporto, Blair ha parlato di decisioni prese “in buona fede e in quelli che ritenevo fossero i migliori interessi del Paese”. L’ex premier ha proseguito: “Non credo che la rimozione di Saddam Hussein sia la causa del terrorismo che vediamo oggi in Medio Oriente o altrove”. Detto questo, Blair si è assunto “piena responsabilità” per ogni errore commesso nella guerra in Iraq “senza eccezioni o scuse”. In un comunicato diffuso dal suo ufficio, l’ex premier ha aggiunto: “Io non credo che la rimozione di Saddam Hussein sia la causa del terrorismo a cui assistiamo in Medio Oriente e altrove. Il mondo era ed è un posto migliore senza Saddam Hussein”. E ancora: “Non ci furono menzogne, il Parlamento e il governo non furono ingannati, non ci fu un impegno segreto per la guerra”.
L’opinione pubblica britannica si dichiara indignata. Chiede l’incriminazione di Blair per crimini di guerra e le famiglie dei militari morti potrebbero pensare a una richiesta di maxi-risarcimento. La rabbia è il sentimento che prevale. Prima di tutto, perché durante i sei anni di conflitto sono morti 179 soldati britannici. Inoltre, secondo il rapporto, Blair si era impegnato con George W. Bush almeno otto mesi prima di aver ricevuto il sostegno parlamentare necessario per le operazioni militari. Secondo Chilcot, Blair il 28 luglio 2002 prometteva a Bush di seguirlo sull’Iraq “a ogni costo”.
I principali media britannici, dalla Bbc al Guardian, hanno prontamente criticato le scelte dell’ex premier Blair, dimostrando tuttavia di avere una memoria corta laddove omettono l’ampio appoggio mediatico che essi stessi diedero nel 2003 a supporto dell’intervento militare.
Il Parlamento britannico dibatterà sul rapporto di Sir John Chilcot questa settimana. Il premier David Cameron: “Chiaramente il Parlamento avrà la possibilità di studiare e discutere a fondo e sto prevedendo due giorni di dibattito la prossima settimana”.
(di Alessandra Esposito)