Amarcord: Jorge Campos, il portiere-attaccante che disegnava le sue divise
“Io gioco in attacco”. “Si ma se giocano tutti in attacco, in porta chi ci mettiamo?”. Un ritornello che chiunque ha ascoltato o recitato da bambino, quando si organizzavano le partitelle al parco, davanti la scuola, o in spiaggia. In porta non voleva mai starci nessuno, lì fermo impalato a guardare gli altri giocare, col rischio di prendersi pure qualche pallonata in faccia. Eppure c’è qualcuno che nella sua vita sapeva e voleva fare sia il portiere che l’attaccante, uno che non si stupiva di chi si stupiva, uno a cui solo un assurdo regolamento ha tolto il record di giocare i mondiali in due ruoli: un uomo di nome Jorge Campos.
Jorge Campos nasce in Messico, ad Acapulco, il 15 ottobre del 1966 e, a differenza di molti altri ragazzini, non comincia subito a giocare a calcio, ma pratica svariati sport, il surf in particolare. Sulle splendide spiagge messicane, il piccolo Campos (piccolo in tutti i sensi, alto 1 metro e 67 cm) sfreccia col suo surf variopinto e le sue mute ugualmente colorate, una passione che lo segnerà per tutta la vita, l’amore per i colori e per le tenute sgargianti. Surf sì, ma il richiamo del pallone è troppo forte, in Messico il calcio è popolarissimo e per il ventenne Campos vedere i mondiali casalinghi del 1986 è una spinta troppo forte per non tentare il salto nel professionismo; il dilemma è però il ruolo: Campos sa giocare benissimo in porta, ma preferisce fare l’attaccante perchè è più nel vivo del gioco e può correre, inoltre ad inizio carriera, quando lo tessera la squadra del Pumas, è chiuso da Adolfo Rios, un’icona messicana fra i pali, con cui darà vita ad una leale ma dura rivalità in nazionale. Così Campos si sposta in avanti e si mette a fare il centravanti: fra il 1988 e il 1990 segna 14 reti, mentre intanto Rios è il portiere titolare anche della nazionale che manca però l’accesso ai mondiali italiani a causa di una squalifica inflitta dalla FIFA per non aver rispettato l’età media dei calciatori da schierare. Il Messico, per puntare alla qualificazione ad Usa ’94, attua una rivoluzione che promuove molti giovani e taglia molte teste eccellenti, prima fra tutte quella di Adolfo Rios che il nuovo commissario tecnico Lapuente sceglie di lasciar fuori a beneficio di Campos che lascia dunque il ruolo di punta e si impegna a tempo pieno a fare il portiere.
A saltare subito all’occhio sono due aspetti: il primo è che Campos è bassino, il suo metro e 67 centimetri è tutt’altra cosa rispetto ai mastodontici portieri mondiali che solo in uscita imprimono timore con la loro mole; il secondo fatto curioso sono le divise: Campos infatti non indossa la canoniche tenute che gli sponsor tecnici forniscono alle squadre, bensì scende in campo con maglie e pantaloncini variopinti che lui stesso disegna, in ricordo e con lo stesso stile delle tavole e delle mute da surf. Talvolta gialle e viola, altre volte celeste e marrone, altre volte bianche con enormi fiori rossi, le divise di Jorge Campos fanno il giro del mondo durante la Gold Cup del 1993 che il Messico vince con lui titolare in porta e vengono notate soprattutto ai mondiali statunitensi del 1994 quando un giovane Messico riesce a far bella figura mettendo anche in mostra un portierino niente male. Già, perchè Jorge Campos non è solo un ventottenne eccentrico, ma è anche un ottimo portiere, svelto fra i pali, dotato di istantanea reattività, bravo nelle prese alte nonostante i centimetri mancanti. Il commissario tecnico messicano Manuel Lapuente sceglie Campos come portiere, ma chiede che il ragazzo indossi la maglia numero 9 perchè vuole eventualmente utilizzarlo anche come attaccante; ma nonostante nel calcio non esista una regola che vieti di utilizzare un calciatore sia in porta che come atleta di movimento, il presidente della FIFA Blatter rigetta la richiesta ed impone al Messico e a tutte e 24 le nazionali qualificate alla Coppa del Mondo di decidere i tre portieri dell’organico e schierarli esclusivamente fra i pali. Una regola nata e morta in quella cricostanza, ma che ha impedito a Campos di stabilire un bel record. Il Messico passa comunque il girone di qualificazione da prima classificata, nonostante la sconfitta iniziale contro la Norvegia e grazie al successo sull’Eire e al pareggio contro l’Italia; gli ottavi di finale sono un bel traguardo per la nazionale centroamericana che si trova di fronte la Bulgaria, avversario ostico e in forma smagliante in quel 1994 grazie all’attaccante Hristo Stoichkov che vincerà quell’anno anche il Pallone d’Oro: il 5 luglio 1994 si gioca Messico-Bulgaria a New York, sole, afa ed un tasso di umidità che sfiora il 90%. La gara termina 1-1, Campos tiene in piedi i suoi con un paio di parate determinanti nei tempi supplementari; si va ai rigori e il Messico paga la gioventù, i tiratori in maglia verde sono troppo emozionati, troppo tesi, sbagliano 4 tiri su 5, mentre i bulgari fanno centro tre volte su quattro, abbastanza per non calciare il quinto rigore e ritrovarsi ai quarti di finale. L’immagine ultima del Messico ai mondiali americani è la faccia spaesata di Campos, sdraiato a terra ancora proteso in tuffo nel tentativo di sventare il decisivo rigore di Lechkov, ancora più piccolo nell’enorme ed ampia divisa gialloviola da lui stesso ideata.
Nel frattempo, il portiere della nazionale si è traferito a giocare proprio negli Stati Uniti, a Los Angeles, dove sta ottenendo discreti successi ed una buona popolarità. Prosegue anche l’alternanza con Rios fra i pali della nazionale messicana: Campos gioca e vince la Gold Cup del 1996, Rios gioca la Coppa America del 1997 in Bolivia dove i biancorossoverdi si classificano al terzo posto, mentre Campos disputa la fase finali dei mondiali di Francia del 1998 a cui il Messico si qualifica con l’obiettivo di arrivare ai quarti di finale, ovvero un passettino più avanti rispetto ad Usa ’94. In Francia, però, Campos subisce un’altra beffa, proprio come quattro anni prima: lo sponsor tecnico del Messico, infatti, impone al portiere di non scendere in campo con le divise di sua invenzione, bensì adattarsi al materiale da loro fornito; così le sgargianti tenute ammirate in America vengono sostituite da quella che con gli anni diventerà purtroppo una tristissima moda: quando il Messico gioca con la maglia verde, il portiere indossa la tenuta bianca da trasferta e viceversa. La nazionale messicana passa la fase a gironi con 5 punti e si qualifica seconda dietro l’Olanda, grazie al successo sulla Corea del Sud e ai pareggi contro il Belgio e contro gli olandesi, entrambi per 2-2 ed entrambi in rimonta da 0-2; Campos è ancora uno dei migliori portieri della rassegna, nonostante le sue 32 primavere e nonostante la difesa messicana sia un po’ allegrotta. Il sorteggio non è fortunato, il Messico agli ottavi di finale pesca la Germania e il 29 giugno a Montpellier cerca il colpaccio contro i campioni tedeschi; Luis Hernandez, idolo delle ragazzine coi suoi capelli lunghi e biondi e la faccia da indio, porta avanti i centroamericani, Campos ribatte colpo su colpo ogni azione della Germania e l’impresa sembra vicina. Sembra, perchè nell’ultimo quarto d’ora Klinsmann e Bierhoff ribaltano la situazione, portano i tedeschi ai quarti e lasciano Campos disteso a terra incredulo esattamente come quattro anni prima; un epilogo beffardo ancora una volta, seppur con costruzione differente.
Campos è intanto tornato a giocare in Messico, nel Pumas, la squadra che lo ha lanciato ad inizio carriera. In nazionale si alterna con Oscar Perez che gioca benissimo nel biennio 2000-2001, tanto da guadagnarsi i gradi di titolare ai mondiali asiatici del 2002; sarà lui il portiere della nazionale messicana, ma Campos, nonostante i suoi 36 anni, è comunque convocato dal tecnico Aguirre che gli affida lo spogliatoio facendone il leader del gruppo nonostante sia il terzo portiere e non scenda mai in campo; l’avventura del Messico ai mondiali del 2002 si chiude ancora una volta agli ottavi di finale, stavolta per mano dei cugini degli Stati Uniti che vincono per 2-0. L’avventura di Jorge Campos con la nazionale del suo paese si chiude invece due anni dopo con all’attivo 130 presenze che ne fanno ancora oggi il quinto calciatore della nazionale messicana di tutti i tempi, oltre a tre partecipazioni ai campionati del mondo. Campos chiude la carriera di calciatore nel Puebla, formazione messicana non particolarmente blasonata, nel 2003: in carriera annovera anche 35 reti totali realizzate. Campos inizia a studiare da allenatore collaborando dal 2004 al 2006 con l’allora commissario tecnico del Messico Ricardo Lavolpe di cui diventa collaboratore. Piccolo e agile, di Campos si ricorderanno sempre le parate, le movenze talvolta portate all’eccesso e quelle divise sgargianti, troppo grandi per la sua piccola statura, ma così accattivanti da regalare colore e vivacità alla sobrietà di un calcio spesso relegato a viaggiare sempre sui soliti binari.
di Marco Milan