“Not in my name”. Musulmani d’Italia contro il terrorismo

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mussulmaniA otto giorni dagli attentati che hanno sconvolto la Francia e fatto crescere lo stato di allarme in molti paesi europei in seguito alla furia cieca e violenta dell’Isis, le comunità islamiche d’Italia sabato 21 novembre sono scese in piazza per gridare il loro no al terrorismo e all’islamofobia. Un segnale deciso, reso necessario dagli avvenimenti che stanno turbando gli equilibri mondiali. Da Roma a Palermo passando per Milano, Lecco, Genova, Reggio Emilia,  sabato ha risuonato un muezzin insolito che ha richiamato i musulmani italiani e in particolare il cosiddetto “islam moderato” a dare una risposta concreta alle accuse di passività e di ambiguità, nonché di eccessiva tolleranza. E le comunità islamiche hanno risposto: “Not In My Name”, non nel mio nome.

“Not In My Name” è proprio il titolo della manifestazione promossa dall’Unione delle comunità islamiche Italiane (Ucoii) per prendere le distanze da quanto sta accadendo e da una guerra condotta in nome di un Dio nel quale gran parte delle persone di fede musulmana non si riconoscono. Il messaggio è chiaro: l’Islam non è violenza. Alla manifestazione in piazza Santi Apostoli a Roma si sono radunati centinaia di musulmani tra cui molti giovani. Giovani, che a differenza dei coetanei kamikaze, non hanno scelto il terrorismo come estrema forma di ribellione, ma hanno deciso di far fronte comune, insieme ai concittadini italiani, contro ogni forma di terrorismo, sventolando bandiere della pace e mostrando cartelli con scritte “No all’Isis”, “No al terrorismo, noi ci siamo”.

Dopo il minuto iniziale di silenzio per le vittime degli attentati, sul palco della manifestazione romana si sono avvicendati politici e esponenti del mondo civile. Il fil rouge degli interventi è stato l’invito a non avere paura.

I musulmani onesti denunciano l’abuso della nostro religione per la violenza”, ha affermato l’Imam Pallavicini, vicepresidente del Coreis, Comunità religiosa islamica italiana, tra i promotori della manifestazione. Mentre il segretario del Centro islamico della Grande Moschea della capitale Abdellah Redouane ha così sintetizzato il senso di “Not In My Name”: “Il terrorismo non può continuare a colpire ovunque in nome dei musulmani. Da Roma vogliamo che tutto il mondo ci ascolti”.

Tra gli interventi politici, quello del deputato pd Khalid Chaouki, anche lui tra i principali promotori della manifestazione: “Per l’Italia, per Roma, è una giornata storica. Tutti insieme, senza distinzioni abbiamo gridato che nessuno può uccidere in nome di un dio”. E poi ha aggiunto: “Ora restiamo uniti per difendere il nostro diritto alla pace e alla convivenza”.

E dal palco di piazza Santi Apostoli sono stati letti anche i messaggi della presidente della Camera, Laura Boldrini e del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Infine, il Presidente Ucoii e imam di Firenze, Izzedin Elzir ha affermato: “Stiamo dimostrando che abbiamo superato la paura e lo choc degli attentati, perché l’obiettivo dei terroristi è farci vivere nella paura. Assieme possiamo battere questo cancro dell’umanità”.

Ma come si sia arrivati a questo “cancro dell’umanità”, è un interrogativo che ancora una volta evidenzia una  spaccatura, un’ulteriore divisone “noi-loro”. Questa volta la frattura è all’interno dello stesso mondo musulmano. Una disputa storica che affonda le radici fin dalla separazione tra sciiti e sunniti e che si inserisce nella realtà odierna più complessa e frammentata, difficile da leggere in maniera lineare se non si tengono in conto gli interessi che spesso muovono i singoli ad agire. Interessi che poco o nulla hanno a che vedere con la religione.

Un messaggio chiaro, dunque, quello di sabato in un Paese che oggi più che mai necessita di messaggi forti e in controtendenza. Ma la risposta più concreta che ci si aspetta dai musulmani che intendono vivere pacificamente in Italia e in Europa risiede nell’allontanamento dal pensiero diffuso da alcuni imam: “Entreremo grazie alle vostre leggi, vi domineremo grazie alla nostra religione”. Se quella di sabato è stata una manifestazione a favore della libertà dell’individuo -fondamento dei paesi democratici- e a favore del Culto della vita, dovremmo riflettere e ripartire proprio da quest’ultimo punto.

(di Anna Piscopo)

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