Cambogia: la tecnologia contro gli Stupri di gruppo

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cambogia“La Cambogia ha due volti: uno luminoso e felice, l’altro cupo e complesso”. Questa definizione, contenuta nella guida di Ray, Bloom e Robinson, raccoglie con immediatezza ed efficacia l’immagine di un paese dalla mille sfaccettature. Racchiusa nel cuore del sud-est asiatico, questa terra è un bacino di contraddizioni: offre paesaggi mozzafiato, ma la violenza dei tifoni può uccidere; il tempio di Angkor Wat è meta prediletta di molti turisti, mentre resta sconosciuta e dimenticata la parte più profonda della Cambogia, quella infestata dalle piaghe della povertà, dell’analfabetismo, della malnutrizione e della violenza. Violenza indirizzata verso bambini e donne e consumata, soprattutto, in gruppo.

I dati emersi da un sondaggio delle Nazioni Unite del 2013 affermano che oltre il 5 % di 1.800 cambogiani intervistati ha ammesso di aver partecipato a uno stupro di gruppo. E lo ammettono senza alcuna reticenza, o vergogna, perché in Cambogia il rispetto per le donne è un valore inesistente. A ben poco è servito il percorso legislativo degli anni ’90: l’approvazione di leggi contro la violenza domestica e la tratta hanno certamente migliorato la situazione dal punto di vista giuridico, lasciando, tuttavia, invariata la realtà quotidiana di un paese in cui l’indice di disuguaglianza di genere è pari allo 0,505 (l’1 indica la totale disuguaglianza) e il 50% delle ragazze tra i 18 e i 24 anni è stata vittima di violenza almeno una volta nella vita. Con questi numeri, la Cambogia risulta essere lo stato con il maggior numero di stupri di gruppo, dopo la Papua Nuova Guinea. La realtà illustrata mette a tacere qualsiasi forma di adulazione verso l’intelligenza superiore dell’essere umano, creatura subdola e controversa, capace di compiere magnifici slanci evolutivi e di ricadere, allo stesso tempo, nella più meschina bestialità.

Per reagire alla drammaticità che le circonda, un gruppo di donne cambogiane ha sfruttato il lato positivo dell’uomo, utilizzando a proprio favore le potenzialità della tecnologia moderna. Dany Sun, un’attivista di 23 anni, ha deciso di sfidare il malcostume radicato nella sua terra ideando, aiutata da altre tre ragazze, Krousar Koumrou (famiglia moderna, in lingua khmer), un’applicazione per smartphone educativa, perché insegna alle donne cambogiane a riconoscere, innanzitutto, i casi di violenza domestica, aiutandole a prendere consapevolezza dei propri diritti. Perché, secondo i racconti di Sun, molte donne non percepiscono la gravità di ciò che stanno subendo: in altre parole, non si rendono conto delle violenze.
Alla base di questo sentimento di incoscienza c’è, secondo la giovane attivista, un problema di educazione e istruzione. L’alto tasso di analfabetismo diffuso nel paese non permette alle donne di acquisire consapevolezza del proprio valore e il risultato che ne deriva è la tendenza a restare intrappolate in una condizione gretta e sessista, tuttora dominante, poiché riconosciuta da norme culturali obsolete (come il Chbap Srey, il codice di condotta femminile), dalle quali derivano disparità evidenti e consolidate. Proverbi come “gli uomini sono oro, le donne stracci”, confermano la gravità del fenomeno e la difficoltà ad estirparlo, perché radicato nella società.
D’altra parte, la Cambogia “ha due volti” e mille contraddizioni: a fronte degli elevati indici di povertà, il 94% dei cambogiani possiede un telefono cellulare, il 39% della popolazione urbana e il 21% di quella rurale hanno uno smartphone. Duny Sun, come anche Rachana Bunn e Sreytouch Phat (ideatori di altre due applicazioni simili a quella di Duny), hanno avvertito il consumo di tecnologico della popolazione cambogiana, intrecciandolo con le esigenze del loro progetto: creare un sistema a larga diffusione e accessibile a tutti, per iniziare la lotta contro la piaga della violenza e per diffondere la prospettiva di una realtà diversa. Sarà necessario del tempo per valutare l’efficacia delle applicazioni ma il dato da rivelare al momento è la frenesia della giovani donne di Phnom Penh, desiderose di testare i download ed entusiaste dei progetti.
A testimoniare che, nonostante l’appartenenza culturale, tutte le donne, in cuor loro, credono che possa esistere un futuro diverso.

(di Giulia Cara)

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