Cronisti minacciati e comuni sciolti per mafia. Raccontare l’informazione libera e lo Stato che non vacilla

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Incontro il vice prefetto di Cosenza Vito Turco in occasione della presentazione del mio libro “L’informazione è Cosa Nostra” a Lecce, l’11 aprile scorso. Ci ospita la Feltrinelli di Via dei Templari, in un incontro organizzato dagli amici dell’Associazione Idee a Sud Est. Resto subito travolto dal suo eloquio, dalla determinazione e dalla decisione delle sue parole. Prima della presentazione, ci scambiamo opinioni e riflessioni sul fenomeno delle infiltrazioni mafiose nei comuni del sud Italia. Fenomeno che il dott. Turco conosce bene, perchè è stato ed è commissario in Calabria di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Gli faccio notare – riscontrando la sua condivisione –  come su questo fenomeno s’accendano troppo poco e in modo poco approfondito le luci del giornalismo d’inchiesta nazionale. Eppure il fenomeno delle infiltrazioni delle mafie nei nostri comuni rappresenta la manifestazione più evidente dell’influenza, a volte del controllo, delle mafie sulle nostre Istitituzioni, sui politici locali, sugli appalti. La mafia sotto casa, la mafia nei palazzi di città trova spazio in modo dettagliato solo in alcune cronache locali. E il dott. Turco si dice estremamente colpito dalle storie che racconto nel mio libro, dei dati che fornisco sui giornalisti minacciati dalle consorterie criminali. E durante il suo intervento legge questi appunti che vi riporto di seguito. Una splendida rencensione per “L’informazione è Cosa Nostra” che si mescola all’autoritratto senza fronzoli della professione del dott. Turco: uomo dello Stato che tenta giorno dopo giorno di riportare lo Stato negli impervi comuni della Calabria, in mano allle ‘ndrine. Ringrazio pubblicamente Vito Turco per il suo splendido intervento e ai miei lettori faccio una promessa: accenderemo più possibile le luci sulle storie dei comuni sciolti per mafie e su quegli uomini delle Istituzioni in prima linea contro il dilagare delle metastasi mafiose. (Vincenzo Arena)

Voglio ringraziare l’autore del testo, che ho avuto stasera il piacere di conoscere e di incontrare, per aver voluto condividere con me un momento così significativo quale quello della presentazione del proprio libro.

E il motivo di gratitudine è dovuto soprattutto al fatto che la interessante lettura del testo è stata per me occasione di un approfondimento organico e sistematico di una realtà (l’informazione giornalistica minacciata e condizionata dalla malavita organizzata nelle sue molteplici forme) di cui si sente spesso parlare ma, certamente, in maniera un po’ vaga e generica.

Leggere e ripetere i nomi dei giornalisti siciliani uccisi dalla mafia negli ultimi 50 anni,  ripercorrere le loro storie, di uomini e di professionisti dell’informazione (Cosimo Cristina, Mauro de Mauro, Giovanni Spampinato, Giuseppe Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano) ricordare come fossero giovani e quanto furono coraggiosi; tutto ciò ha immediatamente trasformato in me la percezione del fenomeno dell’informazione “assediata” dalla criminalità organizzata da fenomeno puramente sociologico in quella che è una realtà fatta di uomini, di donne e, ahimè, spesso di sangue, di lutti e di esistenze disperse.

Una realtà che non riguarda solo giornalisti siciliani, ma che ha visto protagonisti anche giornalisti campani in casi particolarmente gravi e recenti (penso alle note intimidazioni subite da Saviano) e penso a casi avvenuti nella nostra stessa Puglia. Per non parlare della Calabria dove, recentemente, il conflitto tra non meglio precisate pressioni esterne e la libera informazione giornalistica, ha portato per un verso alla mancata uscita di un giornale – fatto di inaudita gravità – e dall’altro alle clamorose dimissioni del sottosegretario, del governo appena formato, Antonio Gentile.

Una realtà, quella della malavita organizzata, che mi trovo, mio malgrado, a dover conoscere e frequentare abbastanza da vicino, svolgendo da più tempo le funzioni di commissario in paesi le cui amministrazioni comunali elettive sono state sciolte dallo Stato a causa di comprovate infiltrazioni mafiose. Dal 2010 al 2012 sono stato commissario del comune di Roccaforte del Greco, paese situato nel cuore dell’Aspromonte calabrese, un paese sciolto per infiltrazioni mafiose per ben tre volte in 10 anni. Il che è davvero sconfortante se si pensa che la durata di un mandato commissariale dura almeno un paio d’anni. Da un anno circa, invece, svolgo le funzioni di commissario del famigerato e tristemente noto Comune di San Luca, sempre alle pendici dell’Aspromonte nel reggino.

Quello che posso raccontarvi della mia esperienza (e che coincide profondamente con l’impostazione e la “lettura” di questo fenomeno fatta dall’autore) è che la malavita organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta nel mio caso) non è, o meglio, non è più quel fenomeno pittoresco spesso raccontato ed enfatizzato nei suoi aspetti più esteriori e poco realistici in certi film di bassissimo livello che si vedono spesso in televisione. La malavita organizzata, oggi e sempre di più, si concretizza e si esplicita piuttosto in quella sottile ed opaca linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, all’interno e nell’ambito del quotidiano svolgimento della vita civile.

Ad esempio nel quotidiano svolgimento dei compiti amministrativi e burocratici di un comune: non vi è nulla di intrigante in una determina di affidamento di un lavoro o di un appalto, o in una autorizzazione edilizia. Ma ė proprio all’interno di quelle carte, così poco accattivanti per il grande pubblico, che per lo più si annida e si nasconde l’intervento asfissiante e mortifero della malavita. Una malavita che magari uccide meno persone che in passato ma che, in compenso, pervade i gangli dell’organizzazione sociale, li corrode dall’interno e li annienta. Una malavita che, come giustamente ricorda l’autore, spesso veste i panni di sindaci, di consiglieri regionali, di insospettabili imprenditori della cosiddetta “società bene”: Insomma di gente comune, di tranquilli padri di famiglia che, in quella sottile linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non è lecito ma “che porta un vantaggio” sceglie invariabilmente la strada della illiceità.

In questo senso è del tutto evidente come, in queste realtà sociali, quali quelle che mi trovo a gestire, si avverta profondamente, perfino nei bambini, la mancanza di una efficace e pervasiva educazione culturale al rispetto… non tanto al rispetto della legalità che è una parola oramai abusata e quasi svuotata di un significato reale, ma piuttosto si avverta la mancanza di una educazione culturale al rispetto della giustizia, al rispetto della bellezza della propria terra, al rispetto della equità nei rapporti personali, al rispetto delle opinioni altrui anche se diverse dalle proprie, al rispetto della verità.

È profondamente vero, in questo senso, quanto dice Vincenzo Arena, a proposito di una certa latitanza della “intellighenzia” meridionale rispetto ai celeberrimi esempi del passato (Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Verga, Quasimodo). A questo elenco vorrei aggiungere il nome di Corrado Alvaro, giornalista e scrittore del secolo scorso nato proprio a San Luca e che così efficacemente ha descritto la desolazione di certa realtà meridionale e, soprattutto, la povertà culturale di quegli ambienti. Non a caso scriveva in un suo articolo come:
“Nessuna libertà esiste quando non esiste una libertà interiore dell’individuo” ponendo in luce, così, lo stretto legame tra libertà e coscienza individuale.

L’imprenditore che non paga il pizzo, l’amministratore locale che non si collude, il giornalista che, tra il tenere celata una notizia ed il divulgarla sceglie, comunque, di fare informazione, fa una scelta di profonda libertà, libertà che nasce da una coscienza individuale formata. E, come ribadisce più volte l’autore, “l’informazione è la leva fondamentale per distruggere i meccanismi della mafia. È la strada da battere per insegnare ai giovani l’emancipazione civile”.

Certo, perché questa libertà non sfiorisca, perché non si disperda nei rivoli della paura e dell’intimidazione, la coscienza individuale non deve essere lasciata sola ed in balia delle pressioni esterne. Come dice l’autore, questa libera volontà di informazione, questo desiderio di raccontare la verità “non deve essere isolata”.

In questa prospettiva sono di fondamentale importanza le iniziative, segnalate nel testo, come quella voluta da Alberto Spampinato, fratello di Giovanni Spampinato, giornalista ragusano ucciso dalla mafia a soli 25 anni; iniziativa per la creazione di un Osservatorio  per i cronisti minacciati e sottoscorta denominata “Ossigeno per l’informazione”, che ha il pregevole intento di informare l’opinione pubblica sulle molteplici forme di indebite pressioni subite dai giornalisti oggi in Italia, contribuendo, in tal modo, alla creazione di una coscienza collettiva.

A questo proposito, sono fermamente convinto che Ciascuno, nel proprio ambito debba contribuire a questa presa di coscienza collettiva. Ciascuno nel proprio ambito e con i propri mezzi. Nel mio caso, “semplicemente” applicando la legge. Applicandola così come il legislatore l’ha voluta e concepita: imparziale e uguale per tutti. Favorendo al massimo grado la trasparenza delle scelte politiche e incoraggiando il più possibile la libera partecipazione dei cittadini alla vita civile.

Vito Turco
(Vice prefetto di Cosenza e commissario nei comuni sciolti per infiltrazioni mafiose)

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