Francesco Panzera, il professore ucciso dalle cosche per aver protetto i suoi alunni

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di Marta Silvestre

Per educare non basta istruire.

E Francesco Panzera lo sa, al punto di riuscire a trovare un giusto equilibrio nel dilemma della complessa dialettica fra istruire ed educare.

E’ un giovane professore di matematica, da poco anche vicepreside del liceo scientifico Zaleuco di Locri, è un uomo dinamico che sa stare per la strada e passa molto tempo a parlare con le persone, specie con i giovani; è un eccellente educatore, sempre disponibile al dialogo e pronto a spendersi senza lesinare il proprio impegno.

Per molti alunni, il professor Panzera diventa un punto di riferimento e di orientamento nei momenti in cui si è smarrita la bussola, un adulto al quale confidare un segreto o chiedere un consiglio. Negli anni, giorno per giorno, impara a conoscere le dinamiche di gruppo e a comprendere, con vigile attenzione, il percorso di ogni singolo ragazzo. Parla con ciascuno di loro, li ascolta, li osserva e coglie in ognuno le sfaccettature di una amara tristezza, le tracce di molte umiliazioni quotidiane, il barlume della ricerca della speranza, la paura di fallire.

E’ il periodo a cavallo fra gli anni ’70 e gli anni ’80, la droga sta diventando un business delle cosche calabresi e una perversa abitudine dei giovani. Inizia a circolare anche nelle scuole, anche nella ‘sua’ scuola, fra i ‘suoi’ ragazzi.

Francesco inizia la sua battaglia: la scuola non può sottrarsi alle proprie responsabilità e, così, lui per primo, senza delegare, decide di farsi carico delle vite dei suoi alunni e di prendersi cura di loro amorevolmente e ostinatamente. Non si limita più a parlare privatamente con gli studenti e non perde nessuna occasione per scagliarsi pubblicamente contro i padroni della droga e i piccoli e grandi spacciatori.

Al di là del suo ruolo, il professor Panzera è una persona stimata in tutto il paese, molto influente e soprattutto capace di intessere sani legami ed esemplari relazioni anche con il mondo della politica, dei sindacati e delle istituzioni.

Quando parla, le sue parole hanno un rilevante peso specifico.

Evidentemente, anche per le cosche. La sera del 10 dicembre del 1982, di fronte all’uscio della propria abitazione, viene assassinato da ‘ignoti’ per la sua intenzione di denunciare chi introduceva la droga nella scuola – i “venditori di morte” li chiamava lui – minando l’integrità dei suoi ragazzi.

Vivere l’ordinario in modo straordinario non è cosa da tutti eppure non è nemmeno cosa da grandi eroi epici, è piuttosto un progetto che si costruisce all’interno delle coscienze che scelgono di essere sentinelle e di rischiare per gli altri e per la collettività, di piantare un seme piccolo e discreto, di non arrendersi al presente e di osare mettere in cantiere idee e azioni fruttuose.

Il professor Francesco Panzera ha fatto del suo quotidiano lavoro di insegnante una vocazione di  formazione permanente con una dedizione caparbia e premurosa, che è la linfa vitale anche dell’antimafia sociale. Non basta istruire le menti, occorre anche aprirle alla curiosità, formarle a comportamenti che coniughino la ricerca del bene per sé con l’impegno per il bene di tutti e che sappiano investire sulla costruzione di un futuro comune.

La cultura è lo strumento per riuscire a leggere il mondo con occhi nuovi e il sapere deve poter mandare in frantumi il muro dell’ingiustizia e dell’illegalità. Educare è un progetto di speranza che richiede grande coraggio, ferma determinazione e profonda fiducia e che appartiene a tutte le persone che credono in un altro mondo possibile, necessario e urgente tenendo presente che molte delle cose che oggi sono semplicemente ‘realtà’ sono state, un tempo, ‘speranze’.

 

 

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