L’esorcismo della fiction moderna, tra Hannibal e Bates Motel

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di Beatrice De Caro Carella

La TV in chiaro dell’autunno 2013 scommette ancora sul mystery-thriller. La rinnovata offerta di qualità proveniente dagli USA, infatti, tra Hannibal, accolto da Italia 1 e Bates Motel in onda da Rai 2, promette ottimi ascolti, ancora una volta.

Da sempre fan del crime-fiction, la nostra “tele”, si sa, ne segue con passione gli sviluppi sin dai tempi de la signora Fletcher (non importa in quale salsa ne si rivisitino i gialli). Eppure stavolta il condimento di stagione è peculiare, e ci dice qualcosa anche su chi siamo e cosa temiamo, o forse meglio su quel che vorremmo controllare. La narrativa di genere, d’altronde, funziona sempre un po’ come un esorcismo: un talismano magico che virtualmente brandiamo di fronte alle nostre paure sociali più profonde, metallizzando e sconfiggendo così le nostre ansie (almeno sullo schermo, in questo caso).

Se da un lato resistono al tempo serie divenute oramai dei classici intramontabili del “law and order”, come Criminal Minds, NCIS e The Mentalist, dall’altro la nuova vera ossessione del decennio si conferma la seduzione del male, e una percezione mobile del suo grado di repulsione. The Killing, The Following, The Fall, The Bridge, Hannibal, Bates Motel e ancora le inedite The Cult e dall’Inghilterra Ripper Street. Una sfilza di nuovi e semi-nuovi tutti pazzi, nessuno escluso, per i serial killer di professione.

Al principio, nel 2006, c’era solo Dexter. Dexter Morgan: solitario eroe negativo della HBO. Giustiziere rituale e compulsivo della scientifica di LA, che metodicamente individua la sua preda per poi intrappolarla, pugnalarla e farla a tocchetti da gettare nell’oceano. Un serial killer, sì. Il primo della serie TV, ma con una morale. Anzi, un codice. Narrativamente la sola cosa che rende il suo modus operandi accettabile; l’unica che lo rende virtualmente “positivo” in un contesto moralmente discutibile, ma comprensibile. Dexter uccide i cattivi, sfogando la sua sociopatia sul male che non merita appello: perché se uccidi, soprattutto se sei uno stupratore o un sadico, meriti d’essere ucciso. Una logica che gioca sul retaggio culturale d’una società che conosce la pena di morte, ma che nella dimensione della fiction si presta ad essere vagliata anche da realtà che non la condividono. È così che la TV esorcizza per noi il male che la società teme di non riuscire a combattere, e ci fornisce la sua scappatoia fantastica, facendo di Dexter per noi una sorta di novello Batman degenerato, abile punitore del sottobosco malavitoso di LA.

A quel punto, se Dr. House aveva provato che il pubblico avrebbe tollerato i “bad guys” – finendo per amare persino un impasticcato crudele, sfacciato ma carismatico, geniale e tormentato abbastanza da farne un mito – con Dexter qualsiasi muro ancora in piedi, rimasto a far da filtro tra l’etica, la morale e una loro possibile articolazione di senso, viene abbattuto. Non a caso, a testimonianza dell’aprirsi d’una nuova era televisiva, gli stessi successivi Mad Man, True Blood, e Heroes (ma persino il tragicomico Desperate Housewives, nel 2004) si mossero tutti sulla falsa riga di questa mobile articolazione del giudizio morale. Finché oggi, su Bates Motel e Hannibal, i cattivi – serial killer senza neanche un codice – spadroneggiano, e divengono persino oggetto di nostri moti di siumpateia (Bates Motel) o seduttori senza troppo sforzo della nostra oramai deviata coscienza morale (Hannibal).

In entrambi gli show, tuttavia, interessate nuovo elemento, il fuoco si sdoppia. In Hannibal, un Dr. Lecter da palma d’oro (Mads Mikkelsen), deve infatti spartire la scena con Will Graham, profiler dell’FBI, disadattato e instabile, parossisticamente empatico, ma solo con i killer. Capace cioè di comprenderne l’agire al punto da identificarsi in loro. In Bates Motel, prequel di Psycho, s’inscena invece una morbosa dinamica madre-figlio: due psicologie devastate ritratte tra eccessi d’ira e crudeli, piccole ritorsioni. Norma e Norman sono due anime deviate, la cui bontà interiore, che a volte in loro prevale, non può risanare le loro devastate esistenze, da sempre segnate dalla violenza, e destinate a spegnersi in essa.

Ideato dal “lostiano” Carton Cuse, Bates Motel è intrigante, con un fascino che sta tutto nella  sua inedita rilettura del dramma edipico di Psycho. Con grandi interpretazioni, attoriali (Vera Farmiga e Freddy Highmore) a contorno. Tuttavia, tra i due, la vera prelibatezza dell’autunno è Hannibal, telefilm-rivelazione che si candida a divenire uno dei serial meglio strutturati delle prossime stagioni. Raffinato per esecuzione, dialoghi ellittici, una regia dai momenti cinematografici e una costruzione narrativa articolata, è creato da Bryan Fuller, tra gli altri acclamato sceneggiatore di Star Strek DS9, Heroes, Dead Like Me e Pushing Daisis.

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