Tahrir continua: 22 milioni di firme contro Morsi e gli altri numeri della protesta egiziana

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di Alessandra Vitullo

Forse Morsi non se l’era immaginato proprio così il primo anniversario della sua elezione a Presidente dell’Egitto: con migliaia di persone scese a protestare nelle principali città egiziane e con la raccolta di 22 milioni di firme richiedenti le sue dimissioni. L’iniziativa è partita dai Ribelli, i Tamarod, che ieri hanno mobilitato l’intero Paese per chiedere alla Corte Suprema le dimissioni del Presidente e la nomina al suo posto di Manar el-Beheiry, membro fondatore del giornale Asharq Al-Awsat Saturday.

Al fianco dei manifestanti ci sono gli Ultras delle squadre di calcio egiziane e i Black bloc, mentre a difesa del Presidente sono scesi gli Imparziali, i Taggarod, militanti e simpatizzanti della Fratellanza, e i Salafiti, che hanno comunque auspicato che il Presidente ascolti la voce dell’opposizione. Nel Paese ormai lungamente travolto dal caos politico, anche l’esercito torna a minacciare un suo intervento, per ristabilire l’ordine: “le forze armante non resteranno silenziose di fronte alla spirale che sta coinvolgendo il paese in un conflitto incontrollabile” ha affermato nella settimana scorsa il generale, Ministro della Difesa, Abdel Fattah Al Sissi.

In una nazione di 80 milioni di abitati, circa 13 milioni, il 24 giugno 2012, votarono Morsi come Presidente della Repubblica Egiziana. Oggi ben 22 milioni ne chiedono le dimissioni. A distanza di due anni dalla rivoluzione, l’Istituto di ricerca Zogbytra il 4 aprile e 12 maggio 2013, ha condotto uno sondaggio su 5.029 egiziani, intervistati dal nord al sud del Paese, per tastare il polso della popolazione Dopo Tahrir.

Clicca per leggere l’intero report After Tahrir

Gli intervistati si riconoscono in tre macroaree socio-politiche: il 35% afferisce a uno dei due grandi movimenti protagonisti della rivoluzione: il Fronte di salvezza Nazionale, e il Movimento del 6 aprile; un 30% si divide tra Fratelli Musulmani e il movimento salafita di Al Nour, mentre il restante 40% viene definito “disaffected plurality”, ossia l’insieme delle persone che dichiarano di non avere alcun orientamento politico.

Tra i dati più interessanti emersi dal rapporto risulta che, rispetto a 5 anni fa, il 61% degli intervistati ritiene che la situazione politica ed economica dell’Egitto sia peggiorata, nonostante agli inizi della rivolta ben l’82% si diceva speranzoso nei cambiamenti che questa avrebbe portato. Oggi a continuare a sperare nel successo di Piazza Tahrir sono soprattutto i simpatizzanti della Fratellanza, il 97% si dice “fiducioso”, e quelli di Al Nour, con il 90% di ottimisti. Mentre tra i movimenti laici, civili e i restanti apolitici, solo il 46% continua a nutrire speranze nel post-Tahrir.

Per quanto riguarda l’operato del Presidente, il 71% degli intervistati afferma di non aver fiducia nella Presidenza, e solo il 22% si ritiene soddisfatto del primo anno di Morsi, mentre il 50% crede che il Presidente abbia fatto fare un passo indietro al Paese. Tra le istituzioni in cui gli egiziani sembrano avere più fiducia c’è al primo posto l’esercito, con il 94%, segue il sistema giudiziario, al 67% e la polizia, col 52%. La credibilità del presidente Morsi è al 27%, poco più alta di quella di Mubarak che è al 23%, e nettamente inferiore rispetto a quella che gli intervistati hanno dato ai predecessori: Sadat, primo al 93%, e Nasser, secondo al 73%. Più fiducia viene data addirittura allo sfidante, nelle scorse presidenziali, dell’attuale Presidente, il candidato dell’esercito Shafiq, ritenuto credibile dal 30% degli intervistati.

Il 63% degli intervistati si son detti, inoltre, contrari alla Costituzione passata con l’ultimo referendum, mentre il 71% ritiene che la Fratellanza voglia islamizzare lo stato e prendere il controllo del potere esecutivo. Il 72% considera, invece, l’opposizione egiziana in grado di offrire una buona alternativa di governo e l’87% si augura che per il futuro del Paese si possa avviare un vero dialogo nazionale; al contrario, il 44% vorrebbe che l’esercito prendesse temporaneamente il controllo dell’Egitto, sorprende che a volerlo siano il 60% degli intervistati che si sono dichiarati simpatizzanti per il Fronte di salvezza e un altro 60% tra quelli del Movimento del 6 Aprile.

Numeri e percentuali che, come le piazze e le strade egiziane, dimostrano quanto sia lungo e complesso il cammino del Paese verso la democrazia; combattuto tra secolarismo e islamismo, modernismo e conservatorismo, democrazia e autoritarismo. E che ancora ieri ci ricorda che piazza Tahrir non è mai stata abbandonata.

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