L’Italia e i suoi giorni da pecora. Intervista a Giorgio Lauro

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di Beatrice De Caro Carella

Il futuro è invisibile, ma getta sempre la sua ombra innanzi a noi. È raro essere capaci di prevederlo, ma ancora più raro è forse avere la sensibilità d’andargli incontro.

Ne chiacchieriamo con Giorgio Lauro, giornalista satirico nonché storico militante del mezzo radiofonico, restringendo il campo per l’occasione dalla cartomanzia pura al fenomeno delle web-radio che Lauro vive da protagonista con Un giorno da pecora, in onda su Radio2. Nella seconda parte dell’intervista, ci concediamo un’incursione nei territori dell’arte della satira: tra ieri, oggi e (chissà) domani.

Partiamo dai tuoi esordi. Tu hai cominciato a lavorare in radio come giornalista sportivo, commentando prima gli Europei e poi anche gli storici mondiali del ’90, esatto.

Si. Anzi no, in realtà ho iniziato ancora prima, su Radio Peter Flowers. Avevo ancora 18 anni, e andavo al liceo, ma ero un appassionato di basket, per cui seguivo tutte le trasmissioni che ne parlavano. Il telecronista di RPF doveva partire militare, così tra una cosa e l’altra, mi fu chiesto di sostituirlo. Sono sempre stato un vero fissato. Pensa che a 13 anni, quando andavo con mio padre alle partite, mi portavo dietro il registratore e passavo tutto il tempo a commentarmele da solo. Cosa da matti. La collaborazione con Radio Popolare, per cui ho fatto le telecronache satiriche sul calcio, è iniziata come con RPF. Siccome li ascoltavo tutti i giorni, registrandomi tutte le puntate, e li chiamavo sempre, a un certo punto, quelli si sono resi conto che io avevo vecchie registrazioni che loro neanche conservavano più, ma che gli servivano per degli spezzoni da rimandarle in onda. Da lì ho cominciato veramente. Poi a “Caterpillar ho conosciuto Claudio (Sabelli Fioretti), e nel 2009 mi sono unito al suo “Un giorno da pecora”, cominciando a parlare di politica.

Come sei passato dalle telecronache sportive alla satira politica? È la satira il filo rosso che lega queste tue passioni?

Si, direi di sì, anche se per quanto riguarda la politica confesso che ho cominciato a seguirla con interesse solo negli ultimi anni. Io ero quello che leggeva il giornale dalla fine. Oggi la grande tragedia del Martedì sera è avere il cuore alla Champions, con la testa a Ballarò.

Parlando di “Un giorno da pecora”, e della radio che va live-streaming sul web, com’è avvenuta quest’evoluzione?

Cronologicamente parlando, credo che la prima emittente sul web sia stata DJ Television, la trasposizione TV di Radio Dj. Nel nostro caso, quando abbiamo iniziato, eravamo ben coscienti del fatto che internet avesse già abbattuto tutti i confini e che fosse tutti i mezzi di comunicazione messi insieme. Se volevamo andare sul web dovevamo farlo per bene: Internet si fonda sulla commistione dei codici e non ne può prescindere nessuno. Però sapevamo anche che la nostra trasmissione aveva il vantaggio di essere molto televisiva, per cui abbiamo fin da subito sfruttato questo punto di forza e consapevoli della necessità di mischiare i mezzi di comunicazione ci siamo lanciati.

Tutto inevitabilmente destinato a confluire sul web?

La fisionomia del web non è abbastanza definita. In questo momento, Internet copia la televisione e i giornali, mentre i giornali e la televisione copiano internet. Siamo ancora in fase di transizione.

“Un giorno da pecora” viene definito un programma di satira politica, ma ripensando ai vecchi modelli di satira, da Luttazzi alla Guzzanti, viene da pensare che la vera satira sia un po’ scomparsa. Ci sono Crozza, Geppi Cucciari o programmi come gli Sgommati ma i toni sono diversi. La satira di oggi è meno arrabbiata e invece più moderata e canzonatoria?

Io penso che ciò che facciamo noi non sia propriamente satira. Piuttosto, è un misto tra satira e giornalismo: domande serie poste con toni leggeri, tanto che spesso persino gli ospiti non se ne rendono conto. Ma è proprio lì che diviene cruciale la seconda domanda. Quella con cui – da te che non rispondi a ciò che io veramente ti ho chiesto – io ottengo la mia risposta. E sono molti invece i programmi in cui si lascia che l’ospite risponda come vuole.

Per quanto riguarda la satira vera, invece, il problema è che questa si è sempre fatta sul Re. Ma se il Re è sempre quello? Da Berlusconi in poi la satira è stata accusata di essere attacco politico e ne ha sofferto molto, il che le ha tolto libertà, perché a quel punto, o eri bianco o eri nero. La presenza di Berlusconi in Italia l’ha fatta degenerare, rendendola forse un po’ troppo politicizzata.

Secondo te la satira è cambiata come conseguenza del disincanto politico?

Non si fa satira per la satira, e i comici di oggi rimangono tutti di sinistra. Non penso che Berlusconi abbia causato troppe censure, se si escludono Guzzanti e Luttazzi. Certo, in periodi di crisi ci si aspetterebbe che la satira fosse più pungente, perché, storicamente, è espressione del popolo che sfotte i potenti, incanalando nel riso la sua rabbia. Eppure, oggi lo è certamente di meno.

Si tiene a freno?

È che in TV ci sono molti realisti del Re. Forse, in vent’anni di berlusconismo e d’un finto PD di sinistra, s’è anche un po’ annoiata. Poi, recentemente, le è capitato l’impensabile: il governo PD-PDL. Forse è questo uno degli aspetti sui quali bisognerebbe riflettere: che la politica negli anni sia andata talmente oltre da superare la satira, spiazzandola. E allora le è capitato quello che alle volte capita anche a noi in trasmissione: rimanere allibiti, restando a guardare.

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