“Ingiustizia è fatta”, riaperto il caso di Bergamini dopo 24 anni

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Chi conosce l’orrenda storia di Donato Bergamini sa benissimo chi è Isabella Internò. L’ex fidanzata del calciatore del Cosenza, morto nel 1989 a soli 27 anni, oggi ha 43 anni e vive a Rende, in provincia di Cosenza, con suo marito, un poliziotto, e le sue due figlie. La scorsa settimana le è stato notificato un avviso di garanzia per concorso in omicidio volontario. È il risultato della riapertura delle indagini da parte della Procura di Castrovillari che, dopo l’archiviazione del caso come suicidio nel 1992, oggi segue con decisione la pista dell’omicidio volontario.

Quando il 18 novembre del 1989 Denis Bergamini veniva travolto da un camion sulla SS 106, Isabella era lì con lui, unica testimone assieme al conducente del mezzo, Raffaele Pisano. Le deposizioni dei due concordavano sull’atto volontario del calciatore ferrarese, lanciatosi sotto le ruote del Fiat Iveco 180 e trascinato per 60 metri. Il camionista venne assolto dall’accusa di omicidio colposo e la donna non entrò neanche nel registro degli indagati, nonostante una perizia del professor Francesco Maria Avato, datata 1990, affermasse che Bergamini fosse morto evirato e dissanguato già prima dell’impatto. La tesi dell’omicidio venne poi confermata da una perizia dei RIS di Messina, consegnata l’anno scorso alla Procura di Castrovillari in seguito alla riapertura del caso, e da una più recente risultanza firmata dal professor Roberto Testi, incaricato dalla stessa Procura di analizzare i reperti conservati al momento dell’autopsia.

Negli anni si è parlato molto, ma forse non abbastanza, della morte di Bergamini. Le indagini hanno escluso che la Maserati del calciatore fosse dotata di un doppio fondo per il trasporto di droga. Col tempo, quindi, la pista del narcotraffico e della criminalità organizzata si è affievolita e oggi, a 24 anni di distanza, si punta sulla pista “passionale”. Il campo si è ristretto notevolmente e l’attenzione della Procura è rivolta principalmente a Isabella Internò e a chi, all’epoca, si trovava vicino al calciatore.

«Ribadisco ciò che ho visto e cioè che Denis si è ammazzato – ha dichiarato al Quotidiano della Calabria la Internò – non cambio versione, non l’ho mai fatto in questi anni e non ho alcuna intenzione di farlo ora. Sono sorpresa per la piega che hanno preso le indagini ma nutro il massimo rispetto per la magistratura ed oggi non vedo l’ora di difendermi in aula da tutta la campagna di accuse indegne e prive di fondamento che mi sono state fatte nel corso di questi mesi. Sono stata esposta a una vera e propria gogna mediatica e in un processo avrò la possibilità di rispondere punto su punto. Se è necessario tirerò fuori gli artigli, graffierò perché sono assolutamente certa di ciò che ho visto».

Secondo lo stesso quotidiano calabrese, con ogni probabilità la Procura vorrà riascoltare molte delle persone convocate in passato e il registro degli indagati potrebbe ampliarsi includendo i cosiddetti “cugini” di Isabella, vale a dire due o tre persone vicine alla donna che si ritiene abbiano svolto un ruolo attivo quel sabato pomeriggio.

Il caso Bergamini è dunque giunto ad una svolta. Bergamini non si uccise e ora scatta la caccia ai responsabili di un orribile delitto. Agli esecutori materiali, ai presunti mandanti e ai complici oggi si aggiungono altri colpevoli: coloro i quali ignorarono consapevolmente le prove, le perizie e le carte di un processo che giunse frettolosamente a sancire il suicidio. Il “meglio tardi che mai”, stavolta, non basta. Non basta a lenire il dolore dei tifosi, dei compagni e, soprattutto, dei familiari di Denis Bergamini e ad alleggerire il peso di un’ingiustizia durata 24 anni.

Fabio Grandinetti

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