Il futuro della ricerca tra vecchie e nuove speranze

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di Emiliana De Santis

“Sfondare l’insensibilità del nostro paese per la scienza non è impresa facile. Si tratta d’altronde di un fenomeno antico e non si può porvi rimedio da un giorno all’altro” esordisce così Luigi Luca Cavalli Sforza, 90 anni portati con signorilità. Amico di Rita Levi Montalcini, ha lanciato un nuovo appello alla politica e alle istituzioni affinché si faccia il possibile per migliorare la situazione della ricerca e dei ricercatori nel nostro Paese, raccogliendo il testimone della compianta scienziata.

In Italia non si è mai investito molto in ricerca e sviluppo, provocando – in particolare negli ultimi 20 anni – una emorragia di giovani e brillanti menti che ha tolto linfa vitale al nostro sistema accademico e produttivo. I dati Ocse ci classificano 31esimi su 34 per finanziamenti alla ricerca. Eppure, nonostante la scarsità di fondi dedicati, la produzione scientifica italiana è risultata all’ottavo posto mondiale nel 2010, addirittura settima in campo sanitario, dove è made in Italy ben il 6% delle pubblicazioni. Numeri che si fanno esigui se non invisibili quando si parla poi di brevetti, che scendono vertiginosamente a 3 punti percentuali sul totale dei brevetti prodotti in Europa. I dati dimostrano dunque che il problema non sta nella preparazione né nella qualità dei poli di ricerca, elogiati anche dal vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, ma nella insufficiente capacità applicare i risultati della ricerca stessa. Esiste tra la teoria e la pratica un gap profondo fatto di ritardi, di mancati investimenti e di scarso respiro politico. “La comunità scientifica italiana ha molti gruppi di buon livello, che possono competere a livello internazionale – afferma Silvio Garattini, presidente del Comitato scientifico del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie – tuttavia sono pochi e non possono esprimere tutte le loro capacità per le limitazioni economiche che, fra l’altro, determinano anche l’impossibilità di effettuare un ricambio generazionale.”

Come si può, quindi, agire per risalire la china? Credito d’imposta, cluster tecnologici e dottorati industriali sono solo alcune delle risposte. Con l’approvazione della legge di stabilità 2013 è previsto un credito d’imposta per le piccole e medie imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo a università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca, o che realizzano direttamente investimenti in ricerca e sviluppo. Uno strumento semplice ed efficace, già utilizzato con successo in Francia, Germania e Stati Uniti e che, con tempi e risorse certe, dà una forte spinta alle aziende che intendono investire in R&S o in R&I. Oltre alla leva di natura fiscale – ideale perché automatica e strutturale – non va quindi dimenticato il contributo pubblico e privato. Ne sono esempio il bando per i cluster tecnologici nazionali e i dottorati industriali. Il primo riscuote un enorme successo: destinando 408 milioni di euro alla ricostruzione di grandi aggregati industriali, ha come obiettivo quello di innovare e rimettere in sesto vecchi e nuovi distretti su alcuni temi di interesse strategico per l’industria nazionale, auspicando lo sviluppo di un solo cluster per area. Per il momento sono coinvolti 8 cluster su 11 progetti presentati ma il Miur (Ministero dell’Università e della Ricerca) sta facendo il possibile per ampliare le risorse disponibili. I secondi invece stanno finalmente vedendo la luce dopo due anni di stasi. Previsti dalla legge 240/2010, meglio nota come riforma Gelmini, sono un istituto ponte tra l’accademia e l’industria, tra le quali definiscono una collaborazione. Ogni anno, a partire dal 2013, 12mila cervelli potranno entrare in questo percorso siano essi accademici o dipendenti di un’azienda che vogliano accedere alla formazione di terzo livello. L’ateneo resta sede amministrativa e titolare del rilascio del titolo ma la novità sta nella creazione di consorzi e nei soggetti che possono a questi dar vita: soggetti pubblici e privati in possesso di requisiti di elevata qualificazione culturale, sia italiani sia stranieri, aziende e gruppi di atenei. La bozza di decreto con il regolamento sui nuovi corsi di dottorato è ora al vaglio del Consiglio di Stato e si preannuncia come una buona riforma, che da rilievo alla dimensione internazionale e permette la formazione di massa critica, aprendo quella che finora era solo ricerca teorica al mondo del lavoro e della produttività.

La Finanziaria del 2007 contiene un emendamento sul criterio di valutazione dei ricercatori e dei loro progetti, c.d. dei peer review, che introduce una valutazione tra pari e consente ai giovani scienziati di essere apprezzati e finanziati senza dover sottostare alla logiche baronali. Autrice della norma era la senatrice Rita Levi Montalcini che a 98 anni guardava ancora con fiducia al futuro dei giovani e della scienza. Un esempio, una speranza, una forza che non dovrebbe andar perduta.

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