Picasso parla di nuovo milanese

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di Eloisa De Felice

Dopo la storica esposizione del 1953 e dopo quella del 2001, 250 opere, molte delle quali mai uscite dalla Francia. Un vero e proprio excursus cronologico nella sua tormentata vita e produzione. Davanti agli occhi del visitatore, l’evoluzione del linguaggio artistico di questo indiscusso ed egocentrico maestro del XX secolo, tra dipinti, sculture, fotografie, disegni, libri illustrati e, persino, stampe. Tutto questo è la mostra Pablo Picasso. Capolavori dal Museo Nazionale Picasso di Parigi, al Palazzo Reale di Milano fino al prossimo 6 gennaio.

Dopo una retrospettiva sulla mostra del ’53, estremamente suggestivo il vero inizio della mostra. La sala delle Cariatidi. Corpi di donne, senza volto, martoriati dalle bombe. Si moltiplicano all’infinito e si riflettono ovunque negli specchi. Sembra di poter udire le loro grida, straziate dal dolore. Ma, nonostante gli orrori della guerra, accogliere, con immenso amore materno, Guernica. O meglio: una sua riproduzione, tramite sovrapposizione fotografica delle fasi di realizzazione. Dora Maar, una delle tante donne di Picasso, la fotografa di questa documentazione.

Artista e gran donnaiolo, si diceva, dalla personalità multisfaccettata. Appassionato di poesia e filosofia, ma anche di cinema e fotografia. Picasso, uomo rude, dal carattere terribile, era sempre pronto a sperimentarne di nuove e di tutti i colori. E ciò non solo a livello artistico. Ciò sembra dimostrato o, forse, ripercuotersi, anche nell’ardito percorso della mostra. Dopo l’emozionante riproduzione in bianco e nero di Guernica, infatti, la cartellonistica e le didascalie, poste in itinere, non aiutano granché il fruitore che si ritrova un po’ disperso nei meandri della personalità picassiana piuttosto complessa. Ma, volendo, si riesce comunque a farsi travolgere dal suo genio e dai suoi capolavori quali: “La Celestina” (1904), “Uomo con il mandolino” (1911), “Ritratto di Olga” (1918), “Due donne che corrono sulla spiaggia” (1922), ”Paul come Arlecchino” (1924), “Ritratto di Dora Maar” e “La supplicante” (1937). Oltre a molti altri.

Estremamente affascinanti, poi, risultano le sculture disseminate qua e là. Sembrano confondersi e fondersi con le sue pitture. O meglio: a tratti le specificano, diventandone completamento e proseguimento. A partire dalla bella testa de “Il giullare” (1905), fusa nel bronzo proprio quando stanno nascendo le prime opere del periodo rosa. Passando per “La Capra” (1950), realizzata con un cestino, foglie di palma, ceramica, legno, metallo e stucco. Per arrivare, poi, ad un incredibile gruppo scultoreo esposto: “Bagnanti” una famiglia di sottili burattini, fusi nel bronzo nel 1956, ma nati nel 1953, inchiodando tra loro pezzi di assi di recupero. E che dire ancora di “Testa di donna” che nasce da uno scolapasta (1929-30) o di “Testa di toro” (1942), modellata nel bronzo con la forma di una sella e di un manubrio di una bicicletta? Del resto Picasso
avverte: “Io metto nei miei quadri tutto ciò che mi piace. In quanto alle cose, peggio per loro, devono arrangiarsi da sole”. Picasso, insomma: protagonista indiscusso dell’innovatore spirito dell’altro secolo.

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