Intervista ai Duff, la band cosentina torna con “Ci sono gente che non stanno bene”

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di Fabio Grandinetti

A circa quindici anni dal primo demo d’esordio i Duff si preparano ad uscire con il loro quarto album. La punk-rock band cosentina, tra vecchie conoscenze e volti nuovi, dopo migliaia di chilometri percorsi, tra risate, qualche bicchiere di troppo e, soprattutto, tanta musica, si accinge a segnare un altro importante capitolo della propria carriera. Insieme ai Derozer, ai Punkreas, a L’invasione degli omini verdi e ai Gerson, il gruppo calabrese “made in Terronia”, come in passato hanno usato definirsi, contribuisce in maniera sempre più importante e da ormai più di un decennio alla sopravvivenza del genere punk nello scenario musicale italiano. Antonio Nevone (voce e chitarra), Andrea Tradigo (chitarra), Vincenzo Basile (basso dal 2006) e Umberto Intini (batteria dal 2011) hanno trascorso quasi tutto il mese di agosto a Brescia, negli studi di registrazione dell’etichetta discografica indipendente IndieBox, per la quale hanno firmato da un anno. La nuova creatura si intitola “Ci sono gente che non stanno bene” e promette di dare continuità al processo di maturazione della band e perché no, anche della scena punk nazionale. I riff di chitarra piacevoli ed aggressivi, i testi ironici e pungenti targati Duff sono ormai noti nell’ambiente e hanno fatto del gruppo cosentino una colonna del sottogenere hardcore melodico nostrano. Il video che da qualche giorno circola in rete, “Voglio diventare un hipster”, ne è l’ennesima dimostrazione. Un assaggio del nuovo disco che non delude chi conosce lo stile Duff e incuriosisce chi invece ancora non ha avuto il piacere di farlo. Con musiche e testi i Duff esprimono il loro punto di vista critico e ironico sulla società e sul mondo della musica: un mondo confuso, incoerente e “sgrammaticato” (il titolo del disco è un indizio), ma allo stesso tempo ordinato e prevedibile, in fila alle porte dei locali più in voga, nel percorrere le vie del conformismo e nel seguire le nuove mode, anche quando il sentirsi “alternativo” sa sempre più di omologazione.

Mediapolitika ha fatto quattro chiacchiere con il cantante, chitarrista e principale compositore e paroliere del gruppo, Totonno per i più affezionati, e con il bassista Vinxz Basile:

 Cos’è cambiato nei Duff dopo quasi quindici anni di attività? Come affrontate i viaggi e i concerti in giro per l’Italia?

Antonio: in 15 anni abbiamo fatto davvero tante esperienze e suonato praticamente ovunque, dalle cantine a palchi anche abbastanza importanti. Ovviamente capita spesso di chiederti chi te lo fa fare, e se ne vale veramente la pena. Fondamentalmente, credo che continuiamo a farlo perché è nella nostra natura, perché ci fa sentire vivi. Sicuramente oggi non è più come nei primi anni, non accettiamo indistintamente qualsiasi data. Rinunci alle ferie ed alle vacanze per passarle in giro a suonare, ed ovviamente è giusto cercare di fare in modo che vada tutto per il meglio. Non piacerebbe a nessuno fare 1000 km per suonare davanti a cinque persone. Però se devo pensare a cosa è cambiato nei Duff dal 1998 ad oggi, fondamentalmente non è cambiato niente. Tranne il batterista e il bassista.

Cosa vi spinge ad andare avanti e a superare le difficoltà del mondo della musica indipendente italiana?

Antonio: non esiste una ricetta per superare le difficoltà che ci si trova quotidianamente a fronteggiare in quanto musicisti indipendenti. Quello che posso dire è che, senza dubbio alcuno, è indispensabile cercare di “fare rete” il più possibile, circondandosi di persone che condividono la nostra visione musicale, e che soprattutto affrontano il discorso musica in maniera professionale. Lavorare con persone di attitudine, e che sanno fare bene il proprio lavoro, come la nostra attuale etichetta IndieBox, è sicuramente la cosa che dà più soddisfazioni sia sotto il profilo artistico-musicale che sotto quello personale.

Vincenzo: in Italia purtroppo è difficile muoversi nella scena indipendente, soprattutto se vieni dal Sud. Troppi chilometri per uscire fuori dalla tua terra, sempre meno gente ai concerti. Sicuramente è scoraggiante. Continui a suonare perché provi soddisfazione espressiva. È bello vedere anche tre persone che stanno sotto il palco a cantare le tue canzoni.

Qualche piccola anticipazione sul nuovo disco: qual è il vostro messaggio? Cosa rappresenta per voi? E a chi si rivolge?

Vincenzo: cosa dire sul disco nuovo? È una bomba, un disco completo che varca i confini classici del genere ma che dà anche ampio spazio a canzoni più punk-rock e forse poco trattate dalla band nel corso degli anni. Per quanto mi riguarda rappresenta l’evoluzione della storia dei Duff e, vista la vastità dei temi affrontati, si rivolge ad un target sempre più ampio di persone.

Antonio: beh, abbiamo avuto un periodo piuttosto difficile ai tempi dell’uscita di “Tallone da Killer”, ovvero il nostro disco precedente. Eravamo rimasti un po’ bloccati all’interno del nostro genere. Era diventato quasi tutto automatico, programmato. Era una brutta sensazione. Per questo nuovo disco abbiamo sentito l’esigenza di ritrovare il senso in quello che facevamo, lavorando un po’ come facevamo nei primi anni: lasci crescere il pezzo finché non è pronto, senza ragionare nell’ottica delle scadenze che hai. È un modo molto più naturale di lavorare ai pezzi, e alla fine, quando ascolti il risultato, c’è una bella differenza. E in fondo, il disco parla proprio di questo: del percorso che abbiamo dovuto affrontare per ritrovare noi stessi come gruppo, e del percorso che ognuno fa per tornare ad essere se stesso. Con una spruzzatina della solita, cinica ironia che caratterizza i nostri dischi.

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