Cancellare la realizzazione di un inceneritore è davvero così semplice?

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di Pietro Falco

Sabato a Parma ad attendere Grillo mancavano circa novemila persone, chi era in piazza, compreso il “traditore” Favia, dichiarava d’esser lì anche per capire qualcosa in più sulla vicenda dell’inceneritore di Iren, la multiutility che gestisce il ciclo dei rifiuti nella città emiliana.

I più accorti non si aspettavano certo che il bandolo della matassa venisse sciolto dal palco ed infatti non son stati smentiti: dagli altoparlanti hanno assistito alla solita sequela di attacchi contro tutto e tutti, contro i poteri forti ed i giornalisti che scriveranno solo della piazza vuota (ma l’informazione i grillini non se la fanno in-house? che importa loro dei giornali?).

Lasciamo però da parte i contenuti di un pomeriggio feriale e concentriamoci sulla sacrosanta battaglia che il MoVimento 5 Stelle porta avanti contro inceneritori e termovalorizzatori. Quella di Parma è solo l’ultima in ordine di tempo; accanto ad ambientalisti a vario titolo, i grillini sparsi sul territorio nazionale sono riusciti un po’ ovunque ad inserire nei loro programmi abolizioni e chiusure di inceneritori entrando a gamba tesa nel dibattito a volte anche prendendo qualche cantonata.

Lo scontro Vendola – Grillo. In Puglia il “megafono” del MoVimento, Beppe Grillo ha sempre denunciato la giunta regionale d’esser in combutta col gruppo Marcegaglia; per il comico, Vendola, ha lasciato che l’Appia Energy facesse i suoi comodi, ma i fatti non stanno proprio così.

L’iter pugliese di costruzione degli inceneritori è partito nel lontano 2003 quando a governare era Raffaele Fitto, il quale nella delibera del piano publico per la gestione dei rifiuti stabilì che questi impianti dovessero essere sia privati che pubblici lasciando però alla parte privata la scelta dei siti dove andare a costruire o potenziare gli esistenti.

Nel 2005, dopo le elezioni ed il relativo cambio della guardia in consiglio regionale, la giunta Vendola ha bloccato qualsiasi partecipazione pubblica in materia di inceneritori, ricorrendo fino all’ultimo strumento per evitare che su territori già profondamente segnati da diossina, polveri sottili e benzene come Taranto, si abbattesse anche la tegola delle emissioni derivanti dalla combustione dei rifiuti.

I termovalorizzatori, sono considerati, secondo la normativa nazionale e comunitaria, impianti di produzione energetica e perciò non soggetti a percorsi istituzionali legati alla sole regioni o enti locali.

Una volta che l’appalto viene assegnato, risolte le controversie giudiziare che nascono ogni volta ci sia da gestire un business così importante, la costruzione e l’avviamento dell’impresa non può esser bloccata dalla sera alla mattina, la pena sono milioni di euro d’ammenda e risarcimento ai privati, legittimati dal Consiglio di Stato a mandare avanti la propria attività, che l’ente locale dovrà sborsare.

Questo è più o meno quello che sta succedendo anche a Parma, dove Pizzarotti dovrà scegliere se cancellare con un colpo di spugna piuttosto costoso per le tasche dei cittadini e per le casse della sua città in forte deficit, l’inceneritore già bell’e pronto, oppure andare incontro allo stesso destino dei pugliesi, vittime di precedenti gestioni scellerate della cosa pubblica.

Intanto la direzione da intraprendere è solo una, spingere per una drastica riduzione di produzione di rifiuti e soprattutto per una capillare diffusione della cultura del riciclo che ad esempio nel Tacco d’Italia comincia a dare i sui frutti con un incremento della differenziata dal 12,35% del 2008 al 19,35% del 2012

(Dati assessorato all’ecologia Regione Puglia)

 

 

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