La forza espressiva del Tintoretto in mostra a Roma

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di Barbara Maura

C’è tempo fino al 10 giugno per visitare la prima mostra monografica romana sul Tintoretto, presso le Scuderie del Quirinale. L’esposizione, curata da Vittorio Sgarbi, è imperdibile e svela la personalità audace, energica e provocatoria del pittore veneziano, l’ultimo grande artista del Rinascimento italiano e forse l’unico che riuscì ad osare e a distaccarsi dal grande Tiziano senza timori. Nelle 10 sale allestite si raccontano le tappe più importanti della sua vita e della sua produzione artistica, sempre in relazione alla realtà pittorica veneziana di quegli anni e dei grandi maestri a cui si è ispirato ma dal cui esempio non si è mai fatto limitare.

Nella prima sala, Il Miracolo, si racconta l’esordio di Jacopo Robusti, chiamato Tintoretto per il padre tintore di stoffe, quando a trent’anni ottenne la sua prima commissione importante: la realizzazione di un’opera che raffigurasse uno dei miracoli di San Marco, protettore dell’omonima scuola e della città. Tintoretto è un rivoluzionario, la sua opera è da subito provocatoria, quasi una scena teatrale dove i canoni rappresentativi dell’epoca sono ribaltati, con al centro l’umile schiavo e nell’ombra il santo a testa in giù. Nonostante questo successo, l’artista continuerà ad essere il “pittore di tutti”, lavorando sia per ricchi mecenati e le grandi Scuole sia per le botteghe meno in vista.

Nelle sale successive si ricostruiscono gli inizi del Tintoretto, anche se del suo apprendistato non ci sono notizie certe. Sappiamo solo che la concorrenza in città era feroce e l’artista dipingeva facendosi pagare spesso solo le tele e i colori, suscitando così l’ira dei suoi colleghi. La sua fama sembra consolidarsi negli anni ’50, periodo di cui possiamo ammirare La creazione degli animali, Sant’Agostino risana gli sfiancati e San Giorgio uccide il drago, tele dove spicca la versatilità dell’artista. Tuttavia le sue sperimentazioni, la libertà nella realizzazione dei soggetti e le inquadrature inedite non sono ancora comprese ed apprezzate da tutti.

Le sale successive sono dedicate alle commissioni delle Scuole Grandi, quelle che il pittore ha dovuto attendere fino al 1562, quando per primo il medico Tommaso Rangone gli affidò tre quadri coi miracoli del santo patrono per la sala capitolare della Scuola Grande di San Marco. Tuttavia Tintoretto sembra potersi esprimere più liberamente il suo linguaggio fortemente realistico nelle tele che realizza per le Scuole Piccole, dato che erano indirizzate a tutti i fedeli, anche i poveri e gli analfabeti, che grazie alla sua grande forza espressiva potevano sentirsi più coinvolti in ciò che dipingeva.

Riguardo i soggetti profani, Tintoretto non ne ha dipinti molti, uno dei pochi è il Susanna e i vecchioni in mostra. Anche nei suoi ritratti non amava ostentare i simboli della condizione sociale dei suoi soggetti, pur scegliendo spesso personalità di spicco che potessero dargli sostegno economico; bastava una mezz’ora di posa e il quadro era pronto, con il soggetto a mezzobusto o di trequarti con sfondo neutro.

I suoi ultimi anni sono stati difficili a causa dell’età avanzata, ma non ha mai rinunciato all’invenzione e al disegno delle sue ultime opere, pur dovendo delegare spesso l’esecuzione ai suoi figli Marietta e Domenico. L’ultima opera su cui lascia il segno è La deposizione di Cristo nel sepolcro per la pala dell’Altare dei Morti della Chiesa di San Giorgio Maggiore, terminata con l’aiuto di Domenico.

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