Ostia, ricordando Pier Paolo Pasolini

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di Laura Guadalupi

Il cammino delle parole. Incontri letterari, artistici, enogastronomici è il titolo della rassegna organizzata dalla Società Dante Alighieri e da Paesaggio Culturale Italiano – i Parchi Letterari®. Il secondo dei dieci appuntamenti in programma fino al 13 giugno 2012 è stato dedicato al tema “Pier Paolo Pasolini e l’etica del territorio tra natura e città”.

Con l’occasione sono state esposte nella sede della Società Dante Alighieri in Piazza Firenze, a Roma, due mostre a ingresso libero aperte fino all’11 gennaio 2012. Condividono il medesimo spazio espositivo, ma l’una è fotografica, l’altra pittorica. La prima ritrae la natura del Centro Habitat Mediterraneo (CHM) LIPU di Ostia, oasi naturalistica situata alla foce del Tevere. Nella seconda, intitolata Ricordando Pasolini, vengono esposte alcune opere dell’artista Mario Rosati. Cosa abbiano in comune le due mostre e quale sia il loro legame con il famoso intellettuale è facile da scoprire.

Il CHM-LIPU, sito nei pressi dell’Idroscalo di Ostia, è un centro di oltre 20 ettari in via di ampliamento. Vi trovano rifugio animali in difficoltà e tra le specie di uccelli censite ve ne sono alcune rarissime come l’airone rosso, protagonista di diversi scatti. Ebbene, quella che oggi è una lussureggiante riserva in passato è stata una discarica a cielo aperto: l’oasi sorge nella zona tristemente nota per esser stata teatro della morte di Pier Paolo Pasolini, il 2 novembre 1975. Dopo decenni di degrado il luogo della scomparsa dell’intellettuale è stato recuperato, attrezzato a giardino letterario e recentemente ha portato alla nascita dei Parchi Letterari® Pier Paolo Pasolini.

La tutela ambientale del parco di Ostia ricorda elementi che sono stati punti centrali nel pensiero pasoliniano sul rapporto tra natura e spazi urbani. A cinquant’anni da Accattone, primo film del Pasolini regista, i dipinti di Mario Rosati restituiscono l’atmosfera delle borgate in cui si consumava il dramma del sottoproletariato romano. Le tele sono impregnate di desolazione, la stessa che avvolge il racconto cinematografico. Neanche a dirlo, colore predominante è il grigio. Plumbeo è il cielo, di poche tonalità più scuro è l’asfalto, con cui viene a crearsi simbolicamente una sorta di ciclico grigiore tra cielo e terra. A spezzare la monocromia stanno gli scheletri di case diroccate, palazzi con impalcature e un perenne senso di abbandono e miseria. Sagome umane sono fantasmi nella nebbia, ritratti di spalle lungo una via deserta o appena intravisti dai vetri di un bar. Tutto è solitudine in questa no man’s land, terra sterile dalle cui ceneri pasoliniane sorge un’oasi protetta. E la natura risorge alla vita.

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