Scuola. La riforma Fornero allunga la carriera degli insegnanti.

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di Emiliana De Santis 

Se qualcuno aveva pensato che in Italia si scappasse dalla fatica, si sbagliava amaramente, almeno per il comparto scolastico. In controtendenza rispetto allo scorso anno, infatti, sono diminuite di 50 punti percentuali le richieste di pensionamento da parte di insegnati, dirigenti e personale Ata che al 31 dicembre 2011 avevano maturato i requisiti indispensabili per richiedere la pensione di anzianità o di vecchiaia secondo la normativa pre-Fornero. Ed è già in moto il circolo vizioso che lega a stretto giro l’invecchiamento dei docenti con le mancate assunzioni.

Le proiezioni sulle richieste di pensionamento, rilasciate qualche giorno fa del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur), si stagliano come un’ombra lunga e insidiosa su numeri che stanno superando le aspettative. I dati riguardano al momento il 20% del territorio nazionale ed analizzano la situazione da Roma in giù, con la sola eccezione di Rovigo e Parma – di cui, peraltro, la prima resta sui valori del 2012, la seconda conferma invece il calo. Non che i tecnici di Trastevere non se lo aspettassero. L’effetto della crisi economica è il principale fattore che condiziona la psicologia e il portafogli di chi, nell’incertezza del trattamento pensionistico, preferisce restare piuttosto che dover fare i conti con l’abisso evidente tra i soldi percepiti e la galoppante inflazione reale. Tuttavia la situazione è destinata a peggiorare, con un acme nel 2015, anno in cui tutti i dipendenti accederanno al trattamento previdenziale con i nuovi requisiti, in base alla legge 92/2012: se prima bastavano 60 anni di età e 36 di contributi per la pensione di anzianità e 65 anni di età (61 per le donne) e 20 di contributi per quella di vecchiaia, saranno necessari 42 anni di contributi (41 per le donne) e 35 anni di attività, fino a portare a 67 l’età per il ritiro dalle cattedre. Ed è sospeso presso la Corte Costituzionale il ricorso di tutti quegli insegnati che avevano maturato al 31 agosto 2012 – e non al 31 dicembre dell’anno precedente – i requisiti per il pensionamento, i quali si sono appellati al fatto che nella scuola l’anno di servizio matura entro l’estate e non con l’anno solare.

Certo non gioiscono i precari, tutti coloro che sono nelle graduatorie ad esaurimento e quanti stanno al momento svolgendo tra mille polemiche il concorsone del ministro Profumo. Come molti sostengono, il rinvio del nuovo bando a data da destinarsi, è forse un male necessario; il ministro avrebbe voluto riattivare già quest’anno le procedure per il 2014 ma la prematura fine della Legislatura non glielo ha permesso. E il suo successore dovrà trovare ampi spazi in un angusto margine. Salvo uno sbloccamento di investimenti, che consenta di assumere personale in deroga al principio del “tante cattedre vacanti tanti i posti disponibili”, potrebbe rimanere in stallo anche la carica dei 300mila che si destreggia con il concorsone: è ancora da stabilire infatti se gli 11mila posti in palio verranno sin da settembre assegnati ai vincitori delle prove o a questi solo in parte per lasciar spazio alle graduatorie ad esaurimento. Intanto si riduce, sempre per effetto della permanenza in cattedra, pure il numero di posti disponibili per gli incarichi annuali. Un cane che si morde la coda.

La diretta conseguenza è un progressivo invecchiamento del corpo docente italiano che non brilla già certo per gioventù, soprattutto se il dato viene confrontato con gli altri paesi europei: l’età media dei professori italiani è di 50 anni, quella dei precari 39. In Francia solo un insegnante su tre supera queste cifre, ancor meno in Spagna. E spaventa in particolare il secondo numero poiché indica un accesso tardivo alle cattedre e una permanenza che – con la riforma a pieno regime – andrà fino quasi ai settanta. Età certo non deprecabile viste le attuali condizioni di vita, sicuramente difficoltosa per un mestiere in cui l’innovazione e l’attenzione sono ingredienti fondamentali per la formazione delle giovani menti.

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