Amarcord: Carlo Castellani, il bomber dei record deportato per errore

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12 settembre 1965: ad Empoli si inaugura il nuovo stadio cittadino, completamente rinnovato e più moderno del vecchio Comunale. La giornata è calda e soleggiata, l’estate non ha ancora chiuso i battenti e la città attende trepidante che si tolgano i veli su quella struttura la cui costruzione è iniziata due anni prima, nel 1963. L’impianto ha la stessa intitolazione e dedica del precedente e si chiamerà Carlo Castellani, un atleta che nella città toscana è idolo, uomo dei record ed anche eroe.

Carlo Castellani nasce a Montelupo Fiorentino (FI) il 15 gennaio 1909, ma cresce a Fibbiana, una piccola frazione del paese natale. Alto ed atletico, Castellani ci mette poco a capire che lo sport potrà diventare la sua professione, motivo per il quale sin da bambino ne pratica diversi, fino a restare incantato dal calcio, un gioco semplice ma coinvolgente, così attraente che il piccolo Carlo inizia a lagnarsi con mamma e papà per il primo paio di scarpe coi tacchetti e per restare a giocare più a lungo coi compagni anche dopo il tramonto. Ma Castellani è bravo per davvero, col pallone ci sa fare ed ha una dote che nel calcio ha la sua importanza: sa fare gol. Nel 1920 ad Empoli nasce la squadra di calcio della città, Castellani ha appena 11 anni e nel 1926 entra a far parte del sodalizio empolese che nel frattempo gioca nella Terza Divisione Toscana, antenata dell’attuale serie C; a soli 17 anni, l’attaccante toscano dimostra qualità importanti, una buona visione di gioco che gli permette di giocare anche come trequartista ed un fiuto del gol che lascia tutti di stucco. Grazie alle sue reti (22 in altrettante gare disputate), l’Empoli è promosso in Seconda Divisione e in parecchi cominciano a notare quel ragazzone che lavora sodo e segna tanto; il primo record, Castellani lo istituisce il 6 gennaio 1929 quando nella gara contro il San Giorgio Pistoia realizza 5 delle 8 reti con cui gli azzurri battono gli avversari. Ce n’è abbstanza per un salto di qualità che il ragazzo merita ampiamente.

Nel 1930, dopo 49 reti in 77 partite, Carlo Castellani lascia l’Empoli e si trasferisce al Livorno, squadra che milita stabilmente in serie A. L’impatto con la massima serie è però un passo complicato per l’ex empolese, capace di realizzare appena 3 reti in tre anni e non essendo in grado di salvare la squadra amaranto dalla retrocessione; il passaggio al Viareggio (dove mette a segno la miseria di una rete) sembra sancire il declino di una carriera esplosiva ma durata poco: Castellani ha solo 25 anni, ma il suo smalto sta venendo meno. Decide così di tornare ad Empoli dove si sente a casa e dove lo riaccolgono a braccia aperte, convinti di poter rigenerare un calciatore ancora giovane e con davanti almeno altri 5 anni di carriera ad alti livelli. E saranno proprio 5 le stagioni vissute da Castellani ad Empoli in serie C: la gente lo considera un idolo, un giocatore che addirittura ha militato in serie A, lo applaude in ogni partita e lui ripaga tanto affetto ricominciando a segnare: fra il 1934 e il 1939 (anno del suo ritiro) realizza 12 reti che lo issano in cima ai marcatori di tutti i tempi della storia empolese con 61 gol totali, un record che rimarrà intatto per oltre settant’anni.

Chiuso con il calcio giocato, Carlo Castellani si ritira a vivere a Fibbiana assieme alla famiglia, con papà, mamma, moglie e i due figli Carla e Franco. Passano pochi anni, il ventennio fascista è agli sgoccioli in tutta Italia e già nel 1944 gli alleati dal sud stanno salendo verso nord; a Fibbiana, così come nel resto della nazione, i vari gerarchi del regime di Benito Mussolini tengono occhi ed orecchie ben aperti, pronti a punire ogni possibile ribelle. La famiglia Castellani, da sempre oppositrice del Fascismo, è ben vista in paese e in generale in tutta la Toscana, aiuta come può anche l’Empoli Calcio, sempre alle prese con problemi di natura economica e a cui sentono di dover riconoscenza per aver accolto Carlo nella squadra ed averlo lanciato nel grande calcio. Ma la famiglia Castellani ha anche qualche nemico che non si lascia scappare l’occasione propizia per vendicarsi: David Castellani, papà di Carlo, ha nell’inverno del 1944 una violenta discussione con un gerarca fascista del paese, gli urla che il regime ha i giorni contati. Una lite a cui molti in paese assistono, essendo avvenuta nel mercato cittadino; fra il 3 ed il 4 marzo, il Comitato di Liberazione Nazionale indice uno sciopero dei lavoratori che è la scintilla che manda su tutte le furie il regime, colpito ed irritato da un gesto di ribellione che non può tollerare, soprattutto in un momento in cui la sua supremazia vacilla.

Passano tre giorni, sufficienti ai nemici della famiglia Castellani per spifferare quanto accaduto al mercato qualche mese prima, che una pattuglia di carabinieri si presenta a Fibbiana, sotto la casa dell’ex calciatore. Basta poco, in quel periodo, per far scattare i rastrellamenti ed anche chi è semplicemente sospettato di collusione con la Resistenza viene prelavato e condotto in caserma per accertamenti, poi successivamente punito a seconda della gravità del reato. Ma in quei giorni ci vuole poco per subire pene e punizioni ancor peggiori: i carabinieri suonano alla porta dei Castellani alle 6:30 della mattina dell’8 marzo 1944, cercano David, il capofamiglia, ma lui è a letto e non sta bene, i colpi di tosse si sentono forti fin dall’esterno del palazzo. Carlo Castellani, ignaro di ciò che possano volere le forze dell’ordine da suo papà, si offre di seguirli in caserma: “Non c’è problema – dice ai gendarmi – vengo io, così capisco esattamente di cosa si tratti”. Si infila il cappotto e dice al resto della famiglia che dirimerà le questioni e poi tornerà a casa. Sarà invece l’ultima volta in cui viene visto vivo e in salute. Il regime fascista, infatti, non ha tempo e voglia di interrogare e spaventare i sospetti, ha in serbo invece soluzioni più drastiche per vendicarsi di chi ha contribuito e sta ancora contribuendo a sfasciare il governo.

Carlo Castellani non viene condotto in caserma, è invece caricato su un vecchio e pericolante pullmino alla stazione di Firenze: da lì lo spostano nel puzzolente vagone di un treno adibito al trasporto di bestiame, pigiato assieme ad altre decine di deportati, direzione l’atroce Campo di Concentramento di Mauthausen-Gusen in Austria, definito negli anni il peggior lager dei campi di sterminio nazisti. Castellani giunge in Austria tre giorni dopo, senza aver mangiato e dopo aver dormito accucciato in un angolo del vagone, in mezzo agli escrementi dei suoi disgraziati compagni di viaggio e di quelli che li avevano preceduti in quell’incubo. Il lavoro a Mauthausen-Gusen è durissimo: i carcerati sono costretti a portare in spalla pesantissimi carichi di pietre al mattino, quindi aiutare nella costruzione di mitragliatrici al pomeriggio. Il percorso con le pietre addosso verrà definito “la scala della morte”: i prigionieri sono infatti obbligati a passare con i massi sulle spalle su e giù per una ripida discesa che in inverno diventa un sinistro pericolo al formarsi del ghiaccio. In molti scivolano fra il peso delle pietre e gli zoccoli in legno ai piedi che non riescono a far presa sul ghiaccio e in discesa: è un destino tragico quello di chi ruzzola dalla scala della morte, perchè a sinistra c’è il burrone che fa precipitare nella cava sottostante dopo un volo di 60 metri, a destra si oltrepassa la zona proibita ai deportati che finendoci autorizzano i controllori a sparargli addosso. Si dice che da Mauthausen-Gusen non si esca vivi: Carlo Castellani non potrà sovvertire a tale pronostico.

L’ex calciatore, nonostante un fisico atletico ed una salute di ferro, inizia progressivamente ad indebolirsi, perde peso, accusa svenimenti e giramenti di testa che più di una volta mettono a repentaglio la sua vita. Le condizioni igienico-sanitarie del campo sono terribili, il trattamento dei carcerieri lo è forse ancor di più: i prigionieri mangiano una volta al giorno, pane nero e qualche tocco di margarina, in molti si sentono male, vengono trascinati via dalle guardie e mai più rivisti dai compagni. Alla fine di luglio, un vecchio amico incrocia Carlo Castellani nel campo: lo vede emaciato, claudicante, nulla a che vedere col forte e tenace calciatore di qualche anno prima. “Non rimarrò ancora qui a lungo”, confiderà Castellani all’amico. L’11 agosto 1944, infatti, dopo un acuto attacco di dissenteria e dolori lancinanti allo stomaco, lasciato solo ad agonizzare in un angolo della baracca-dormitorio, l’ex attaccante dell’Empoli muore ad appena 35 anni e mezzo. Nella mente solo l’orrore, probabilmente anche qualche fugace e pallido ricordo della vita da calciatore, del pallone in fondo alla rete, degli spalti festanti. Poi il buio e nient’altro.

Le città di Empoli e Morlupo Fiorentino intitolano a Carlo Castellani lo stadio cittadino, ma in tutta la Toscana molte sono le manifestazioni di affetto, cordoglio e stima nei confronti di un atleta caduto per mano del nazi-fascismo, vittima dell’Olocausto, in fondo senza essere neanche colpevole, solo per essersi offerto di parlare con i carabinieri al posto del padre malato. Il 3 dicembre 2011 Francesco Tavano realizza durante la partita di serie B Empoli-Ascoli la rete che gli permette di scavalcare Carlo Castellani in cima alla classifica marcatori empolese di tutti i tempi dopo 72 anni; un giorno storico per l’attaccante campano, ma anche per l’ex idolo a cui Empoli ha intitolato lo stadio cittadino. Castellani sarà poi superato in classifica anche da Massimo Maccarone, rimanendo sul podio dei bomber azzurri, ma per sempre simbolo della storia dell’Empoli e di Empoli, eroe di una città ma anche dell’intera nazione. Carlo Castellani, per sempre il bomber della memoria.

di Marco Milan

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