Perchè scegliere di frequentare l’Università? Intervista al Rettore dell’Ateneo di Bari

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Università, lavoro, politica, “fuga dei cervelli”. Riflessioni sullo stato di salute dell’Università italiana nell’intervista al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari, Antonio Felice Uricchio

Università si, Università no. Qual è oggi la discriminante che induce un/a giovane a scegliere se e quale percorso di studi intraprendere all’indomani del diploma? Probabilmente non la percentuale di placement, stando agli ultimi dati sull’occupazione in Italia forniti dall’Istat.

Tuttavia anche se nel nostro Paese la triade giovani – Università – lavoro mostra alcuni disquilibri, è importante capire il contesto nel quale ci muoviamo e fare scelte consapevoli. Per non essere figli – per non dire “schiavi” – di pregiudizi che assegnano alla laurea uno status sociale che la svuota del suo vero significato.

Ne abbiamo parlato con il prof. Antonio Felice Uricchio, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari.

In occasione del congresso nazionale della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) del 3 maggio scorso, il presidente della Repubblica Mattarella ha inviato un messaggio dicendo che “i giovani universitari possono svolgere una decisiva funzione sociale”. Qual è secondo lei oggi la “funzione sociale” dell’Università?

L’Università è una comunità con molteplici funzioni, dalla ricerca alla didattica. Ma è soprattutto una comunità di giovani che accoglie le energie creative e le orienta verso il futuro. Per questo il ruolo dell’Università è fondamentale per il capitale umano e per la valorizzazione delle competenze che assumono un ruolo strategico nella costruzione della società del futuro.

Il mercato del lavoro sta attraversando una fase di profondo mutamento. Quali le iniziative dell’Università di Bari per formare professionisti competenti in grado di far fronte a queste richieste?

Grazie alla presenza di un osservatorio l’Università di Bari ha condotto un’analisi con l’obiettivo di conoscere le esigenze dell’attuale mercato del lavoro, che è un mercato mutevole e in continua evoluzione.

Allo stesso modo non possiamo pensare che il lavoro si esaurisca: pensiamo ad esempio alla robotica, all’internet of things. Le analisi compiute evidenziano infatti che il lavoro cambia ma non diminuisce per effetto dell’innovazione. Occorrono competenze più elevate e “trasversali”. Per questo è fondamentale che l’Università sappia far dialogare i saperi: le humanities devono essere poste in relazioni con il digitale, la filosofia con la matematica e così via.

La nostra Università è intitolata ad Aldo Moro, statista, uomo politico e prima ancora professore. Esiste oggi un dialogo tra Università e politica?

La figura di Aldo Moro resta una guida per la nostra Università, come studente e per gli insegnamenti che ha offerto. Il dialogo con la politica, in un contesto come quello odierno “mobile” e particolarmente magmatico, è di inevitabili difficoltà. Rispetto a questo rapporto che si è “inceppato” qualche anno fa, bisogna aggiungere che si sta recuperando terreno sul fronte dell’attenzione da parte delle istituzioni con qualche segnale di apertura.

Ai tanti “cervelli in fuga” dalla Puglia e dall’Italia cosa direbbe?

La circolazione dei cervelli è condizione essenziale di un mondo globale. Diventa un problema quando il percorso è unidirezionale, cioè quando non c’è ritorno o quando l’accesso alla carriera di docenza e ricerca è limitata. Abbiamo assistito per anni a un blocco del tour over universitario anche se oggi si intravedono segnali di ripresa. Inoltre abbiamo un numero di ricercatori che è il più basso d’Europa, nonostante questo la produttività media per ogni singolo addetto è più alta che in altri Paesi. Questo è frutto anche delle politiche di contingentamento che non dipendono direttamente dall’Università.

C’è differenza tra le Università meridionali e quelle del Nord?

L’Università italiana nel suo complesso ha una qualità omogenea a differenza di quanto accade in altri Paesi del mondo. Inutile negare che esistono contesti territoriali influenzati dai sistemi imprenditoriali presenti. Come afferma la nostra Costituzione è compito dello Stato rimuovere le condizioni di squilibrio. Quindi anche le politiche perequative, tese a valorizzare in modo premiale i contesti più svantaggiati, devono essere assolutamente perseguite. È importante che i modelli premiali si combinino con i modelli di perequazione.

Se potesse rivedere qualche articolo della riforma dell’Istruzione, quale cambierebbe?

La legge Gelmini del 2010 ha luci ed ombre: ha introdotto dei meccanismi virtuosi, come quelli di valutazione della qualità della ricerca, d’altra parte ha determinato la sostituzione delle facoltà con i dipartimenti creando non poche difficoltà. Altro aspetto negativo è la precarizzazione dei ricercatori.

Meglio la ministra dell’Istruzione Fedeli o Gelmini?

Si tratta di contesti diversi. La riforma Gelmini ha prodotto alcuni effetti positivi, penso alla governance delle Università e agli aspetti gestionali. Non è un caso che la Corte dei Conti abbia rilevato che quasi tutte le Università italiane siano sane dal punto di vista finanziario. Altro aspetto positivo è l’introduzione di strumenti di autodifesa rispetto a fenomeni degenerativi che hanno a che vedere con una maggiore etica.

La ministra Fedeli ha mostrato particolare attenzione al mondo della formazione universitaria anche attraverso la misura degli investimenti sui ricercatori (il nostro Ateneo ha avuto 27 ricercatori che poi diventeranno associati). Rimangono tuttavia molte questioni aperte come il blocco retributivo dei docenti.

Se domani suo figlio dicesse di non voler continuare gli studi perché “tanto la laurea non serve per lavorare”, come reagirebbe?

Cercherei di dimostragli il contrario. Infatti chi possiede il titolo universitario ha circa il 30 per cento in più di possibilità di lavorare. Importante è l’orientamento, cioè capire quale percorso possa essere più confacente. Perché la formazione delle competenze è prima di tutto formazione della persona.

(di Anna Piscopo)

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