Giornata mondiale ambiente, lotta ai crimini contro la natura

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Domenica 5 giugno si è celebrata la 44a Giornata Mondiale Ambiente, conosciuta a livello internazione con l’acronimo WED (World Environment Day), l’evento annuale istituito nel 1972 per sensibilizzare la popolazione mondiale alla tutela dell’ambiente e all’importanza di intraprendere azioni positive, individuali e collettive, a difesa dell’ecosistema. Secondo i dati contenuti nell’ultimo rapporto diffuso dalle Nazioni Unite, il valore dei crimini ambientali è cresciuto del 26% rispetto al 2014. Gli eco-crimini, tra i quali il commercio della fauna selvatica, tema al centro dell’edizione del 2016, valgono fino a 258 miliardi di dollari.

Con il tema “Go for wild for life- Zero tolerance for the illegal wildlife trade”, incentrato sulla salvaguardia della biodiversità e la lotta al commercio illegale di fauna e flora selvatiche, quasi mille attività registrate a supporto della campagna 2016 #wildforlife, il 5 giugno in 193 Paesi si è celebrata la “Giornata Mondiale dell’Ambiente”. Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) nel 1972, in seguito alla Conferenza di Stoccolma, l’evento annuale promosso dall’Unep, il Programma delle Nazioni Unite  per l’ambiente, è stato ospitato quest’anno dall’Angola, uno dei paesi del continente africano maggiormente colpito dal bracconaggio. Il traffico illegale di avorio, ricavato dalle zanne di elefante, e la vendita di corno di rinoceronte, sono tra i crimini ambientali più diffusi e contribuiscono ad alimentare un giro d’affari illecito che mette seriamente in pericolo diverse specie animali, molte delle quali in via d’estinzione, minacciando anche le comunità e l’economia locale.

Le vittime del traffico illegale non sono solo gli elefanti e i rinoceronti. Sono solo le più note. Si stima che tra il 2010 e il 2012 siano stati uccisi circa 100.000 elefanti, mentre in tutta l’Africa si contano ormai meno di 5.000 esemplari di rinoceronte nero e solo 20.000 di rinoceronte bianco. Diversi mammiferi vengono uccisi e venduti sul mercato clandestino. È la triste sorte che tocca al pangolino, fortemente richiesto in Asia, il cui squame viene impiegato nella medicina tradizionale cinese, a uccelli come il bucero dell’elmo, cacciato per la particolarità del becco da cui si ricavano monili e decorazioni, a primati come l’orangotango, alle tartarughe marine, seriamente minacciate dall’inquinamento e cacciate per il carapace e la qualità delle carni, e alle tigri selvatiche, uccise per il commercio del manto e delle ossa.

Il caso più eclatante resta tuttavia il traffico internazionale dell’avorio che vale cifre esorbitanti sul mercato nero. Solo in Tanzania 10,5 miliardi di dollari vanno nelle tasche dei trafficanti. Se gli Stati Uniti hanno appena deciso di vietare quasi totalmente il commercio di avorio, il Sudafrica, che ospiterà a settembre la prossima conferenza del Comitato permanente della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites), ha da poco riammesso il commercio del corno di rinoceronte entro i propri confini. Un segnale negativo affiancato però anche da iniziative positive. La campagna di sensibilizzazione, lanciata dall’associazione no-profit Elephant Action League (EAL) contro il commercio illecito di avorio, che sta raccogliendo numerose adesioni a livello mondiale, ne è un esempio. Ogni anno 35.000 elefanti vengono uccisi dai bracconieri, ammonisce l’EAL, un numero che in un decennio potrebbe portare all’estinzione della specie nel continente africano. Con l’obiettivo di fermare i fenomeni criminali che si celano dietro il bracconaggio, gli USA, la Cina, la Francia, il Belgio, le Filippine, il Kenya, il Gabon, l’Etiopia, lo Sri Lanka e recentemente l’Italia – con il primo “ivory crush” italiano, che si è svolto il 31 marzo al Circo Massimo di Roma – hanno pubblicamente distrutto, interamente o parzialmente, i propri stock di avorio.

Come sottolinea l’Unep nell’infonografica diffusa in occasione del World Environment Day 2016, la protezione della fauna selvatica e dell’ecosistema, oltre a rappresentare uno degli Obiettivi i sviluppo sostenibile (SDG 15) fissati dalle Nazioni Unite per il 2030, costituisce un indubbio beneficio per lo sviluppo economico. Nulla a che fare con i business illegali collegati alla caccia di frodo e al commercio clandestino di specie protette. Le stesse specie protette, se salvaguardate, possono migliorare il benessere delle popolazioni e innalzare i loro livelli di reddito. Ad esempio, in Rwanda un gorilla di montagna porta all’eco-turismo 304 milioni di dollari, in Uganda il turismo beneficia di 1 milione di dollari all’anno per ogni gorilla, mentre 36 miliardi di dollari è il vantaggio economico che la protezione delle specie selvatiche porta all’Africa sub-sahariana e che incide per il 7% del Pil di tale zona geografica.

Guardando invece ai soldi sporchi, il rapporto elaborato dall’Unep e dall’Interpol, intitolato The Rise of Environmental Crime, approfondisce il complesso fenomeno del crimine ambientale. I dati sono allarmanti e impongono “un intervento multisettoriale sostenuto da una collaborazione transfrontaliera”, come ha auspicato il segretario generale dell’Interpol Jürgen Stock. Dal rapporto risulta che “i crimini ambientali costituiscono la quarta attività criminale più combattuta al mondo, dopo il contrabbando di droghe, la contraffazione e la tratta di esseri umani. Le somme di denaro perse a causa dei crimini contro l’ambiente sono 10.000 volte più importanti di quelle spese dalle agenzie internazionali per porvi rimedio, ovvero tra i 20 e i 30 milioni di dollari”.

Nell’ultimo decennio la criminalità ambientale è aumentata dal 5 al 7% all’anno, un terreno fertile per le organizzazioni criminali transnazionali che si servono della criminalità ambientale per ripulire il denaro proveniente dal traffico di droga o ancora per finanziari gruppi ribelli, come sta accadendo nella Repubblica democratica del Congo. Si tratta di un’ulteriore minaccia alla sicurezza e alla stabilità dei luoghi e delle popolazioni che vi abitano, a livello globale e locale. L’unica contromisura possibile è un intervento urgente, di tipo normativo e di accresciuta consapevolezza da parte della società civile, non più procrastinabile e non solo per la salvaguardia dell’ambiente, bene comune e inestimabile, ma anche per garantire un futuro migliore alle prossime generazioni.

(Elena Angiargiu)

Fonte immagine: https://www.elephantleague.org

 

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