Calcio, Amarcord. I dieci anni consecutivi dell’Avellino in serie A

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Lo stadio Partenio era sempre colmo di affetto, passione, entusiasmo. Loro erano verdi come il campo, erano lupi e come loro correvano, a testimonianza che quel simbolo non stava su quelle maglie per caso. Era l’Avellino in serie A, un’epoca lunga ed entusiasmante, incredibilmente continua, storicamente appassionante.

Avellino serie A11 giugno 1978, ultima giornata del campionato di serie B: l’Avellino, guidato in panchina dall’allenatore Paolo Carosi, vince 1-0 in casa della Sampdoria con rete di Mario Piga e conquista per la prima volta la promozione in serie A mantenendo due punti di vantaggio sul Monza. In Irpinia è festa grande, mai i lupi biancoverdi hanno calcato i palcoscenici della serie A, mai lo stadio Partenio ha vissuto emozioni così forti. Tutta Italia è incuriosita dal piccolo Avellino, da questa squadra di provincia che in pochi anni è passata dalla serie C alla serie A. Il primo campionato in massima serie l’Avellino lo affronta con un nuovo allenatore, Rino Marchesi, tecnico elegante e pacato, che predica calma capendo che la squadra è all’esordio in un mondo che non conosce e che sbrana chiunque senza tanti complimenti; la compagine campana è però discretamente, in attacco punta tutto sul centravanti Gianluca De Ponti, a centrocampo lo storico capitano Adriano Lombardi. L’avventura per l’Avellino parte male: tre sconfitte nelle prime tre giornate, avvio a San Siro contro il Milan (0-1), ko interno contro la Lazio (1-3), 0-1 in casa del Torino. In molti già prevedono un facile ritorno in B degli irpini che però alla quarta giornata acciuffano la prima vittoria ed i primi punti in serie A battendo per 2-0 al Partenio il Verona con reti di De Ponti e Massa: è il 22 ottobre del 1978, una data indelebile nella mente e nel cuore dei tifosi avellinesi. Dopo cinque pareggi di fila e due sconfitte contro Roma e Vicenza, la formazione di Marchesi batte l’Ascoli e il 21 gennaio del 1979 ferma addirittura in casa la Juventus, quindi una settimana dopo batte 1-0, sempre fra le mura amiche, il Milan che a maggio diventerà campione d’Italia. La salvezza arriva alla penultima giornata col successo per 1-0 sull’Inter firmato da Mario Piga, autore in un anno del gol promozione e di quello salvezza. Nell’ultimo turno, poi, i biancoverdi si tolgono la soddisfazione di rimontare in casa della Juventus da 0-3 a 3-3 completando l’apoteosi per la permanenza in massima serie. L’Avellino resta in serie A, in Irpinia è una festa e una gioia incredibili perchè, nonostante l’entusiasmo, era difficile prevedere un simile risultato ad inizio stagione: 26 punti, gli stessi della Roma, due in più sulla zona retrocessione, De Ponti con 8 gol è il miglior marcatore della squadra.

Stagione 1979-80, è quella tristemente nota al calcio italiano per lo scandalo legato alle scommesse in cui rimarrà coinvolto anche lo stesso Avellino che ad inizio stagione conferma in attacco De Ponti e gli affianca un giovane promettente come Andrea Carnevale, futuro attaccante di Napoli, Roma e della nazionale italiana. La stagione è migliore della precedente perchè la squadra di Marchesi conquista 27 punti (uno in più dell’anno prima) ma soprattutto chiude il torneo con ben cinque lunghezze di vantaggio sulla terz’ultima, cioè sulla zona a rischio, salvandosi con anticipo e pieno merito e togliendosi la soddisfazione di vincere al San Paolo di Napoli ed in casa contro Juventus e Milan. L’estate del 1980 è tremenda per il pallone italiano, l’Avellino, coinvolto come detto nel filone sulle partite truccate, è costretto a partire con 5 punti di penalizzazione e già si pronostica una retrocessione immediata degli irpini che hanno un nuovo allenatore, il brasiliano Luis Vinicio. Nonostante l’handicap, però, i biancoverdi si destreggiano e lottano in ogni partita, vincono tre delle prime sei gare, ottengono sei risultati utili di fila (contro Catanzaro, Juventus, Inter, Bologna, Roma e Brescia) fra la fine di dicembre e l’inizio di febbraio. La penalizzazione viene spazzata via dagli uomini di Vinicio che iniziano ad apprezzare il nuovo acquisto Juary, un piccolo attaccante brasiliano, tecnico e rapidissimo che diventerà negli anni l’idolo e l’emblema dell’Avellino in serie A; i campani festeggiano la terza salvezza consecutiva nella primavera del 1981 ed è un’impresa storica considerando i 5 punti in meno: la formazione di Vinicio ne ottiene 30 finali, 25 ufficiali come Ascoli, Udinese, Como e Brescia ma si salva per la classifica avulsa che condanna i bresciani, retrocessi assieme a Perugia e Pistoiese, già condannate da tempo. La città di Avellino festeggia fra le macerie del terribile terremoto dell’autunno 1980, una piccola gioia si fa largo in un mare di drammaticità. Quarta stagione in serie A, la 1981-82: è una stagione a suo modo storica per il calcio italiano che per la prima volta autorizza le squadre ad affiggere uno sponsor sulle maglie; l’Avellino, guidato in panchina dal confermato Vinicio e con la scritta IVECO sulla casacca verde, parte discretamente e resta imbattuto in trasferta per le prime due partite pareggiando a Roma coi giallorossi (0-0) e vincendo 2-1 a Udine. Il 7 marzo 1982, però, i biancoverdi, già in difficoltà da un po’, perdono 1-0 a Bologna (rete di Roberto Mancini) e Vinicio lascia il posto a Claudio Tobia, tecnico voluto dal presidentissimo irpino Sibilia, artefice del miracolo avellinese. Pur con qualche alto e basso, Tobia conduce la squadra ad un’altra salvezza, la quarta consecutiva, ed il 25 aprile del 1982 nella gara persa 2-1 a San Siro contro il Milan, il brasiliano Juary inventa il festeggiamento che lo accompagnerà per il resto della sua vita: dopo il gol danza attorno alla bandierina del calcio d’angolo agitando un pugno sopra la testa. E’ lui l’idolo di Avellino, è lui il capocannoniere della formazione campana con 8 reti, in un campionato che gli irpini chiudono all’ottavo posto con 27 punti, tre in più del terz’ultimo posto, apprestandosi a disputare la quinta annata di fila in serie A e quinta in assoluto. Un record di cui in Italia si parla, un po’ tutti i tifosi neutrali si appassionano al simpatico ed agguerrito Avellino che si sta lentamente consolidando come piacevole realtà italiana.

Nell’estate del 1982, dopo la sbornia mondiale, la serie A riparte e ad Avellino arriva il peruviano Geronimo Barbadillo, attaccante tecnico ed intelligente che farà innamorare tutta l’Iripinia. In panchina non c’è più Tobia, ma Giuseppe Marchioro, ex allenatore di Cesena e Milan. L’Avellino piglia tre scoppole nelle prime cinque giornate contro Torino, Cesena e Verona, ma batte Ascoli e Fiorentina, poi impone il pareggio a Napoli e Juventus in una settimana e prima di Natale inchioda sull’1-1 al Partenio anche i futuri campioni d’Italia della Roma di Liedholm, dopo che Marchioro, mal sopportato da Sibilia, è stato cacciato per far posto a Fernando Veneranda. Nel girone di ritorno, i campani hanno un ruolino abbastanza regolare: fanno punti in casa e perdono in trasferta, un andamento che consente ai biancoverdi di salvarsi con due punti di vantaggio sul Cagliari, conquistando salvezza e ottavo posto in classifica a braccetto coi cugini grandi del Napoli. Quello 1983-84 sarà la sesta annata consecutiva in serie A per l’Avellino che conferma Veneranda in panchina ed accoglie l’argentino Ramòn Diaz in attacco. L’esordio è da urlo per i lupi avellinesi che alla prima giornata di campionato, l’11 settembre 1983, battono per 4-0 il Milan con reti di Barbadillo, doppietta di Bergossi e sigillo di Colomba; non sarà ancora il Milan pluridecorato di Berlusconi, ma un 4-0 ai rossoneri è per Avellino e per l’Avellino un’emozione straordinaria ed inimmaginabile. I campani battono anche Udinese in casa e Genoa in trasferta, poi dopo la sconfitta interna contro la Sampdoria (0-2) alla nona giornata, la dirigenza solleva Veneranda dal ruolo di allenatore e chiama in panchina Ottavio Bianchi che parte male (0-3 a Verona) ma poi acciuffa al 91′ l’1-1 contro l’Inter grazie ad un gol del libero Lucci. Il 12 febbraio 1984 un gol di Diaz al Partenio batte il Napoli, mentre il 21 aprile gli irpini vanno sotto 0-2 contro la Roma e nel secondo tempo raggiungono il pareggio grazie a Diaz e Tagliaferri che va in gol al 90′. La permanenza in A arriva anche stavolta ma con più sofferenza: 26 punti, uno soltanto più del retrocesso Genoa. Stesso discorso per la stagione successiva, 1984-85, quella che celebra l’incredibile scudetto del Verona; ad Avellino arriva un nuovo tecnico, l’ex calciatore Angelillo, che conduce la squadra biancoverde ad una salvezza con qualche patema nel girone di ritorno, stavolta con tre punti in più di chi retrocede in serie B. In quest’annata gli irpini si tolgono la soddisfazione di infliggere al Verona campiona d’Italia una delle due sconfitte dei veneti nel loro fantastico campionato, l’unica peraltro in trasferta (2-1 il 13 gennaio 1985 con bolide vincente di Angelo Colombo allo scadere). Protagonista della stagione è il compianto brasiliano Dirceu, abilissimo nei tiri dalla distanza, potenti e precisi.

Nell’estate del 1985 la panchina avellinese viene affidata al duo Robotti-Ivic confermando in attacco l’ottimo Ramòn Diaz e sperando di ottenere l’ottava salvezza in altrettanti campionati di serie A. Dopo la sconfitta all’esordio con la Juve, l’Avellino batte 3-1 i campioni d’Italia in carica del Verona che inizia a vedere gli avellinesi come autentica bestia nera. Ma il campionato non è inizialmente un granchè: pareggio per 2-2 in casa contro l’Udinese con rimonta subìta da 2-0 a 2-2, rovescio interno 1-4 contro il Como, anche se arriveranno pure i successi interni entrambi per 1-0 con Roma ed Inter, oltre a molti successi casalinghi contro formazioni medio piccole che consentono all’Avellino di salvarsi con quattro punti di vantaggio sul Pisa che retrocede. Diaz è capocannoniere della squadra con 10 reti. Il campionato 1986-87, il nono dell’Avellino in massima serie, ripresenta sulla panchina irpina Luis Vinicio, ma perde in avanti Ramòn Diaz che fa posto all’austriaco Walter Schachner. Sarà l’anno migliore dei campani in serie A con salvezza tranquilla, ottavo posto in classifica con 30 punti (record assoluto per la società avellinese) a soli cinque dalla zona Uefa, ed un Dirceu in formato mondiale, sempre pronto a deliziare i tifosi irpini con giocate sopraffine e punizioni strepitose che il brasiliano trasforma quasi regolarmente in gol, specie ad inizio stagione: alla prima giornata con una doppietta che piega la Fiorentina, alla quinta nel pareggio casalingo col Como. L’Avellino è molto più di una realtà nel 1987 in Italia, resiste in serie A da nove anni consecutivi, ha una società sana, una dirigenza competente ed una tifoseria appassionata. Nessuno immagina che stia per finire tutto: la stagione 1987-88 si rivela inspiegabilmente complicata per l’Avellino che parte con una vittoria per 2-1 sul Torino e subito dopo la partita cede alla Juventus il gioiellino Angelo Alessio, pedina fondamentale per lo scacchiere tattico di Vinicio che alla quinta giornata e con soli 2 punti in cascina, viene esonerato a beneficio di Eugenio Bersellini che deve tentare di salvare il salvabile. La squadra è indebolita, il nuovo acquisto in attacco, il greco Anastopoulos, si rivela un bidone e gioca appena qualche spezzone di gara senza lasciare il segno. Nel girone di ritorno l’Avellino cambia marcia e prova a conquistare la salvezza con una grande rimonta che non riesce per un sol punto: i campani retrocedono con 23 punti, uno in meno di Pisa, Ascoli e Pescara, retrocedendo dopo dieci campionati di fila in serie A.

Avellino reagisce con orgoglio, dignità ed eleganza, dieci anni di militanza sono tanti per una città calcisticamente piccola come quella irpina, l’Avellino ha scritto una pagina storica ed indelebile nel panorama sportivo italiano ed il 15 maggio del 1988 lascia la serie A fra i virtuali applausi di tutto il paese. Inter-Avellino 1-1 è ad oggi l’ultima partita degli irpini in serie A che proprio a San Siro dieci anni prima avevano esordito nella massima divisione nazionale, per uno strano gioco del destino che va a chiudere un cerchio mai più riaperto ma tuttora di indimenticabile nostalgia.

di Marco Milan

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