Di vita o di morte: ricominciano le esecuzioni in Oklahoma

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pena di morteRinviata in extremis lo scorso aprile, dopo che un altro condannato alla pena capitale aveva impiegato 43 minuti per morire a seguito dell’iniezione letale, l’esecuzione di Charles Warner, 47 anni, è stata eseguita giovedì scorso nel penitenziario di McAlester – Oklahoma – senza  imprevisti, ma nel clamore delle polemiche.

Lo stesso giorno in Florida, Stato che dal 1973 ha il più alto numero di innocenti condannati a morte ed in seguito rilasciati secondo Amnesty International, è morto per iniezione letale Johnny Shane Kormondy, responsabile di una rapina in cui, nel 1993, fu assassinato un banchiere e violentata sua moglie. Qui, come in Oklahoma ed in altri 30 Stati americani, la pena di morte continua a trovare posto nel sistema giudiziario, anche se alcuni di questi stati osservano di fatto una moratoria.

Il caso.  “Un condannato dato per incosciente si agita e urla, poi muore d’infarto” questa la scena nascosta agli occhi dei testimoni dalla tenda calata sul vetro lo scorso aprile quando, nel caos di medici ed addetti del carcere di McAlester, Clayton Lockett, condannato per aver sparato ad una donna e per averla poi seppellita viva, veniva giustiziato in un’agonia durata 43 minuti. Un’esecuzione che la stessa Casa Bianca, pur difendendo la pena capitale, ha definito “disumana” perché non rispettosa degli “standard necessari” e che ha indotto la sospensione della seconda esecuzione che sarebbe dovuta avvenire lo stesso giorno, quella di Charles Warner (che aveva ucciso la figlia di undici mesi della sua allora ex fidanzata). Rinviata prima di soli 14 giorni, il tempo necessario alle indagini sul disastro dell’iniezione letale, posticipata poi di ulteriori nove mesi, a Warner è stata somministrata una dose pari a cinque volte la dose del sonnifero che era stata somministrata a Lockett.

Dei delitti e delle pene. “Non ci sono prove che la pena di morte faccia ridurre il crimine – aveva  detto il portavoce della Casa Bianca Jay Carney commentando l’accaduto – alcuni delitti sono così gravi da meritarsela, sempre nel rispetto degli standard d’umanità necessari” ribadendo che, nonostante la complessità di ricorrervi, non esiste nessuna volontà di cambiamento del governo federale sulla pena capitale. Lo scorso ottobre 2014, mese in cui cade anche la Giornata mondiale contro la pena di morte, proprio in Oklahoma sono stati spesi 100 mila dollari per la nuova stanza delle esecuzioni, la stessa stanza in cui Warner è stato giustiziato la settimana scorsa: per le stringhe di cuoio che hanno fermato le sue braccia e le sue gambe in attesa dell’ingresso dell’ago in vena, i contribuenti statali avrebbero pagato quasi 2.000 dollari. Accostamento raccapricciante che, però, non nasconde come negli Usa sia ormai sempre più difficile ottenere le sostanze necessarie all’iniezione mortale e di conseguenza ricorrere alla pena capitale, anche a causa della decisione di molti Paesi europei di vietare l’esportazione dei farmaci letali, le cui scorte iniziano ad esaurirsi, costringendo anche a realizzare mix letali “meno efficaci”, com’è stato per il caso di Lockett.

mappa pena dimorteIl mondo intorno. Se da un lato, l’apparato giudiziario americano è stato messo in difficoltà dal rifiuto europeo di fornire i prodotti chimici necessari per l’iniezione letale; dall’altro, le difficoltà di approvvigionamento del sistema di morte sono in realtà il risultato della mobilitazione dei militanti e della diffusione delle notizie sulle esecuzioni che mantengono il dibattito nei paesi democratici ancora aperto e vivo. Dal 1990, sono 57 i paesi che hanno abolito la pena di morte per ogni reato: nel continente americano, Messico, Bolivia e Argentina; in Asia e nel Pacifico, le Filippine, Samoa e le Isole Cook; in Europa e Asia Centrale, il Kirghizistan, l’Uzbekistan e la Lettonia. In Africa, il Ruanda, il Burundi, il Gabon, il Togo e il Benin hanno di recente mandato il boia in pensione.

Una volta abolita, secondo i dati diffusi da Amnesty International, la  pena capitale raramente è reintrodotta: dal 1985, soltanto cinque paesi abolizionisti l’hanno ripristinata: il Nepal e le Filippine (che l’hanno poi nuovamente abolita), la Liberia e la Nuova Guinea (dove non sono state registrate esecuzioni) e il Gambia (che ha eseguito condanne a morte nel solo 2012, dopo una pausa durata quasi tre decenni). Le nazioni più forcaiole – secondo l’ultimo rapporto annuale di Nessuno Tocchi Caino – restano in genere quelle dove i diritti umani vengono calpestati, in nome di un’ideologia o di una lettura radicale della religione: Cina (con una stima di circa tremila esecuzioni, in calo), Iran (almeno 687, in robusto aumento), Iraq (172, cifra record dai tempi dell’invasione Usa), Arabia Saudita (78, in gran parte decapitazioni).

Accanto a questi paesi, l’attenzione però si sposta verso le democrazie liberali che attualmente mantengono la pena di morte che, insieme ad USA, sono Botswana, Saint Kitts e Nevis, Giappone, India, Indonesia e Taiwan. Ossimori rilevanti, come le condizioni di poca trasparenza usate nell’applicazione della pena capitale proprio da Giappone e USA: se la segretezza è una regola in molti paesi illiberali (Cina, Vietnam, Bieloriussia, Iran , Iraq, Egitto, Corea del Nord, Malesia, Siria, Sud Sudan), negli Usa undici stati (sui 32 che ancora adoperano l’iniezione letale)  hanno adottato norme che prevedono il segreto sui chimici adoperati. Si tratta però di una segretezza labile, soprattutto quando l’esecuzione diventa un disastro come quella di Clayton Lockett, con il condannato che muore di una morte lenta e fra terribili sofferenze.

La via umana. Nei mesi scorsi, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, avevano rivolto un appello unanime allo stop di una pratica che, come sottolineato da Ban Ki-Moon, “non ha posto nel 21esimo secolo”. Sebbene, dopo gli ultimi episodi di terrore a Parigi, Marine Le Pen, leader del Front National, reclami “la pena di morte come strumento necessario nell’arsenale giuridico di un Paese” proponendo un referendum sul ripristino della pena capitale, remando contro tutti i trattati e le secolari costituzioni europee, nessuno dei Paesi “mantenitori” sembra più orgoglioso di applicare la pena di morte e anche se l’abrogazione è un passo difficile, specialmente quando l’opinione pubblica è immatura o abituata alle logiche del taglione, in linea di massima il numero di questi paesi è in calo. Lapidazione, fucilazione, impiccagione,  anche la “via umana” alla pena di morte, come spesso viene definito il metodo di esecuzione con l’iniezione letale, provoca infinita sofferenza al condannato, dato che l’agonia può prolungarsi per molti minuti, a causa del cattivo funzionamento delle apparecchiature, della difficoltà di trovare le vene adatte dove inserire gli aghi e così via. Un’esecuzione rappresenta comunque un atto deliberato di violenza nei confronti di un prigioniero, non rispettando nessuno dei valori di umanità generalmente condivisi. Il rischio di mettere a morte persone innocenti non può essere eliminato: punizione crudele e disumana, la pena di morte si beffa del diritto alla vita infliggendo sofferenza ai familiari dei condannati senza che sia mai stato dimostrato il suo valore deterrente, né la sua capacità di conforto ai familiari della vittima, negando inoltre qualsiasi opportunità di riabilitazione. Così, se in fondo è vero che la misericordia è del Dio di ciascuno e con essa forse anche il perdono, è la possibilità a restare umana. Ed è quella che si dovrebbe accordare, che si potrebbe concedere.

(di Annalisa Spinelli)

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