Lo Hobbit – La desolazione di Smaug

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di Arianna Catti De Gasperi

Il nuovo attesissimo film della settimana è stato ovviamente il secondo capitolo della “mini” saga di Peter Jackson: Lo Hobbit – La desolazione di Smaug.

A dispetto di quanto annunciato, lo Hobbit, tratto dall’omonimo libro di Tolkien (autore dello stesso Il signore degli anelli la quale regia è stata firmata sempre da Jackson) sarà una trilogia. Per chi fosse andato a vedere il primo capitolo della saga, avendo anche letto il libro era ben ovvio, ma che da un così piccolo manoscritto potessero uscire ben tre episodi non era proprio prevedibile.

Peculiarità e differenza rispetto ai precedenti lavori di Jackson è che Lo Hobbit è distribuito nelle sale in ben 3 versioni differenti: 2D, 3D e 3D HFR. Per chi non lo sapesse HFR  vuol dire che viene proiettato a 48 fotogrammi al secondo invece dei tradizionali 24, soluzione scelta dal regista per la maggiore qualità dell’immagine. C’è da dire che però, almeno all’inizio, l’eccesivo numero di fotogrammi è fastidioso e fa somigliare l’immagine filmica a quella televisiva. Già nella seconda metà del film, però, questo senso di disagio non si avverte più.

Mentre il primo episodio di questa nuova saga era stato definito “sottotono” – semplicemente perché privo di tutte le scene di guerra e suspance a cui eravamo stati abituati ne Il Signore degli Anelli – il secondo ritorna molto più sulle corde del suo regista, anche se con qualche pecca e volo pindarico.

Innanzitutto, la storia riprende proprio da dove l’avevamo lasciata: la Compagnia continua ad andare verso Est, incontrando lungo la strada Beorn il cambia pelle ed uno sciame di ragni giganti, nella minacciosa foresta di Mirkwood.  Dopo essere sfuggiti alla cattura da parte dei pericolosi Elfi della Foresta (che li hanno salvati dai ragni), i Nani arrivano a Lake-town e finalmente alla Montagna Solitaria, dove si troveranno ad affrontare il pericolo più grande: il Drago Smaug.

Nella foresta di Mirkwood fa anche ritorno un personaggio e attore agli amanti di Jackson molto caro: Legolas, principe degli Elfi. Ma Orlando Bloom è affiancato anche da una novità non presente negli scritti di Tolkien, l’elfa Tauriel, interpretata da Evangeline Lilly.

Il personaggio, completamente inventato, non ha molto senso nella storia – soprattutto nell’interazione con Kili, uno dei 13 nani alla ricerca di Erebor. Il motivo di questo innesto non è ben spiegato, anche se molti sono quelli che ritengono che l’esser passati da 2 a 3 capitoli della saga, abbia spinto Peter Jackson ad “allungare la minestra”.

Molte sono comunque le scene mozzafiato: la scena dei ragni, quando i nani sfuggono tramite barili agli elfi ed anche l’incontro fra Bilbo e il terribile drago Smaug. Un drago immenso e maestoso, in lingua originale doppiato da Benedict Cumberbatch ed in italiano da Luca Ward, che avrà un duello verbale e non solo con Bilbo Baggins (Martin Freeman) lentamente ‘mutato’ dal male dell’anello. Circa quaranta minuti entusiasmanti, nei quali i due si confrontano in un duello epico, ciascuno schiavo del proprio tesoro.

Lo Hobbit – La desolazione di Smaug, ha permesso al regista di giocare anche su due piani narrativi diversi dato che la strada della Compagnia e quella di Gandalf – alla ricerca del Negromante – si dividono fin da subito, alimentando così la tensione nei confronti di quell’azione che si fa sempre più tenebrosa con il proseguo della storia.

Scenografia pazzesca, come sempre, e come sempre impreziosita dalla strabiliante natura Neo-Zelandese.

Azione, suspance, sentimento e avventura sono le parole chiave di una pellicola che dà soddisfazioni, e che ci lascia con il fiato sospeso in attesa – il prossimo anno, si spera – dell’uscita del terzo ed ultimo capitolo della saga.

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