The Wolf of Wall Street. Il branco dell’avidità

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di Annalisa Gambino

Martin Scorsese mette a segno con questa pellicola la sua quinta collaborazione con Leonardo Di Caprio, candidato ad essere l’attore feticcio del celebre regista, secondo solo a De Niro. Il film narra la vita di Jordan Belfort, un broker newyorkese diventato ultramilionario tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta.

Belfort, giunto poco più che ventenne nella mecca del denaro, capisce immediatamente che l’unica maniera per fare soldi veri è essere bravi a vendere, vendere qualsiasi cosa a partire da una penna. Quindi, a seguito del crollo del mercato del 1987, il giovane decide di reinventarsi vendendo penny stock, azioni di società di poco valore, sulle quali però trattiene commissioni altissime. Se da un lato il conto in banca di Belfort aumenta in maniera spropositata, dall’altro Jordan, insieme a un gruppo di fidati ”colleghi” e amici,  precipita in una spirale sempre più profonda di feste, alcool e droghe.

Il ”branco” che accompagna Di Caprio nella sua sfrenata corsa al successo è composto dal suo braccio destro Donnie Azoff, da Chester Ming, da Alden o tappetino per via del suo parrucchino, dal banchiere svizzero Jean-Jacques Saurel, dalla bellissima moglie Naomi, e infine da Mark Hanna, suo primo mentore interpretato da Matthew McConaughey. A rincorrere l’allegra banda di truffatori c’è l’agente dell’FBI Patrick Denham.

Nelle sue tre ore di narrazione, Scorsese esaspera e non fornisce nessuna traccia di redenzione. Il film è un’orgia di incoscienza ed immoralità, aspetti che investono tutti i personaggi e soprattutto il protagonista che, nel finale, decide di collaborare con l’FBI tradendo la sua società la Stratton Oakmo per salvarsi da venti anni di galera. Non risulta chiaro il messaggio del regista. L’aspetto che trapela dal lusso e dallo sperpero di denaro è quello che con i soldi è possibile comprare tutto, anche la felicità, che l’avidità è meravigliosa. E che tutti in fondo bramiamo alla ricchezza. Un articolo pubblicato sul Time porta in luce questa questione e fa riflettere. Nell’articolo l’autore si chiede se The Wolf of Wall street è una critica o una celebrazione dello stile di vita di Jordan Belfort, un uomo che non ha rispetto di niente tranne che per il denaro. Quando Scorsese insiste su Porsche, Rolex e sulle curve delle donne, è per suscitare nel pubblico rabbia e disapprovazione o per tirare fuori una segreta e compiaciuta ammirazione?

Nel complesso The Wolf of Wall Street non è niente di clamorosamente nuovo. Il tema del denaro e della truffa è già stato ampiamente affrontato e, in maniera più avvincente, nel precedente Wall Street – Il denaro non dorme mai (2010) da Oliver Stone. Il risultato è un’opera discontinua, dove prevale il punto di vista del broker che racconta la sua versione dei fatti come in un diario.

A colmare tempi morti e ripetizioni ci pensa la performance degli attori. Un ottimo cast che conferma il talento di Di Caprio nella parte del magnate egocentrico dopo Il grande Gatsby e Django, di Jonah Hill candidato all’ oscar come miglior attore non protagonista, fino a Matthew McConaughey, in grado di entusiasmare anche per quei pochi minuti in cui è in scena.

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