JFK – Resta l’immagine del sogno americano. Ma è stato anche altro

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di Azzurra Petrungaro

Gli anni Sessanta, la Cadillac presidenziale, gli Chanel di Jacqueline. Il volto rassicurante di un anchorman televisivo, il sorriso aperto e gli alti ideali della campagna elettorale. Un giovane democratico dopo un vecchio repubblicano, Kennedy dopo Eisenhower. JFK incarnava alla perfezione il sogno americano, il rinnovamento, lo sguardo fiducioso verso il futuro, le speranze di una nazione che non era mai stanca di crescere. La grande nostalgia popolare con cui viene ricordato è probabilmente legata a questo.

Il suo assassinio alle 12.30 del 22 novembre del 1963 a Dallas, lo assegnano per sempre alla categoria dei buoni, perché i buoni si sa, muoiono presto. Così agli occhi del mondo e dell’opinione pubblica, Kennedy appare da sempre come un martire, il suo volto è divenuto simbolo di un’epoca irripetibile in cui era possibile sognare di arrivare sulla Luna e in cui l’attrice più sexy della storia del cinema cantava alla festa per il compleanno del Presidente degli Stati Uniti.

Ma erano anche gli anni della crisi missilistica di Cuba, del serio rischio di una guerra nucleare e dell’escalation di violenze nel sud-est asiatico. La leggenda di JFK sembra aver oscurato le azioni impopolari del suo mandato come il costante sostegno economico al Vietnam del Sud per contrastare il territorio rosso dei Vietcong a nord e lo spodestamento e l’uccisione di Ngo Dihn Diem, primo Presidente del Vietnam meridionale (e di suo fratello Nhu), per evitare rappresaglie filocomuniste contro il regime repressivo di Diem, sovvenzionato fino a quel momento dagli Usa stessi.

Ma la brevità della Presidenza Kennedy e il tragico evento che ne ha segnato la fine, hanno fatto in modo che il giovane e rampante americano dalle origini irlandesi, fosse sollevato da ogni responsabilità ed elevato quasi a figura mistica, nonché a bandiera della pace. Le parole di Obama tendono a sottolineare esattamente il contrario: “Rimane nell’immaginazione dell’America non perché venne ucciso, ma perché incarnò il carattere del popolo che lo ha guidato” e poi ancora: “Questa è l’eredità di un uomo che avrebbe potuto ritirarsi in una vita di lusso e agio, ma che ha scelto di vivere la vita sul campo, navigando a volte contro il vento, a volte con il vento”.

Intanto l’America in questi giorni celebra l’anniversario della sua morte con commozione e rammarico, con le bandiere dei pubblici uffici che imitano quella posta in cima alla Casa Bianca che è issata a metà.

Condividendo o meno le parole di Obama, tenendo a mente o dimenticando le ombre della Presidenza Kennediana, l’unico dato certo rimane la potenza mediatica della figura di JFK. John Kennedy possedeva una storia da raccontare al pubblico e la sua esistenza è stata costellata da innumerevoli contraddizioni dal sapore letterario: i probabili rapporti con la mafia che sporcano l’immagine di onestà e incorruttibilità, una relazione extraconiugale con Marilyn Monroe che oscura il profilo di padre e marito modello, le implicazioni con i fondi in favore del Vietnam del Sud, che contravvengono agli ideali di pace e fratellanza ricorrenti nei suoi discorsi.

A cinquant’anni dalla sua morte il forte affetto che l’America e il mondo condividono verso il 35° Presidente degli Stati Uniti, è riconducibile verosimilmente, a quella forte fascinazione che Kennedy ha da sempre esercitato sulle folle grazie al suo carisma e che è stata elevata all’ennesima potenza dagli eventi che hanno contraddistinto la sua vita e successivamente quella della sua intera famiglia.

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