Milano, una piazza gremita ricorda e celebra i funerali di Lea Garofalo

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di Marta Silvestre

19 ottobre 2013. Milano.

Un palco sobriamente allestito con corone di fiori e il gonfalone della città di Milano listato a lutto in una piazza Beccaria gremita di persone provenienti da tutta Italia, intimamente legate da una passione comune e da un sogno in cui credere fortemente, che portano sulle spalle il carico di una bandiera colorata di Libera con la scritta “io vedo, io sento, io parlo” e con il disegno stilizzato di un volto.

E’ il volto di Lea Garofalo, testimone di giustizia calabrese uccisa il 24 novembre 2009 dalla ‘ndrangheta per volere dell’ex compagno e padre della figlia Denise, Carlo Cosco.

Come molte tragedie, anche questa inizia con una storia d’amore.

In provincia di Crotone, Lea giovanissima si innamora di Carlo e insieme emigrano a Milano. Mentre lei è in dolce attesa, lui comincia a frequentare gli spacciatori del luogo e quando nasce Denise lui è già a capo di questo giro del crimine.

Lea, figlia di un boss e sorella di un boss, si ritrova a essere anche compagna di un boss, ma questo è un destino che può cambiare: lo lascia e decide di collaborare con la giustizia raccontando le segrete trame della sua famiglia di origine e dei Cosco. Entra in un programma di protezione e viene allontanata, fino a quando lui viene a sapere che sta a Campobasso e le manda un sicario travestito da idraulico. Questo primo tentativo fallisce e, allora, lui decide di contattarla per chiederle di incontrarsi a Milano per ‘amore della loro figlia’. Davanti a queste parole Lea non riesce a rifiutare e, arrivata a Milano, inizia la sua fine.

Avrebbero voluto completamente cancellarla dalla faccia della terra perchè aveva parlato ed era diventata messaggera di utopia.

Per anni si è creduto che fosse stata sciolta nell’acido e, invece, improvvisamente nel novembre 2012 alle porte di Monza – tramite la collaborazione di Carmine Venturino, un ragazzo che Cosco aveva spinto a corteggiare Denise per ottenere delle informazioni e che ne era diventato il fidanzato – sono stati ritrovati duemilaottocentododici frammenti ossei carbonizzati.

Una scoperta comunque non lieta ma che, nel contesto di una simile tragedia, fa nascere un senso di pacificazione con la vita: una donna come lei non poteva non lasciare traccia di sè. E’ stata proprio la figlia Denise a volere un funerale laico e solenne a Milano – comune che si è costituito parte civile nel processo contro gli assassini – per restituire onore all’anima e al corpo della madre, e anche come atto di pubblica offesa al potere mafioso che vuole la gente cieca, sorda, muta e immobile. La ribellione di Lea nasce dalla fusione di sentimenti civili con l’amore umiliato e ferito a morte.

Adesso, la richiesta di giustizia deve farsi urlo universale. Spesso è difficile confrontare la speranza con una realtà che tende a favorire uno sconforto dilagante. E, invece, bisogna unire ciò che le mafie cercano di dividere lasciando germogliare la forza rivoluzionaria delle emozioni: non basta commuoversi, bisogna anche muoversi. Deve sgorgare in noi tutti una sana inquietudine che non ci permetta più di rimanere adagiati nella routine e ingabbiati nelle paure. Dobbiamo impegnarci ad alimentare il coraggio, a coltivare l’indignazione con la dignità, a sentirci degni delle nostre responsabilità.

Ciao Lea, grazie per averci insegnato che anche le persone si possono confiscare.

 

Foto di: Umberto Di Maggio

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