L’Africa compra made in China, la Cina compra gli Stati Uniti

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di Alessandra Vitullo

Il suo sostegno alle primavere arabe è rimasto per tutto il tempo discreto, ha criticato l’intervento in Libia e posto il veto su quello in Siria, ma questo non significa che gli interessi e l’influenza della Cina nell’area mediorientale non siano consistenti. La sua storia in queste terre non parla di colonialismo all’europea, di imperialismo all’americana, né tanto meno di ingerenze sul nodo arabo-israeliano. Ci ha abituati ad una politica che non esporta grandi ideali, basata sull’efficienza economica, sulla crescita ad alta velocità; e proprio questo è quello che oggi la rende uno degli interlocutori privilegiati del Medio oriente.

Nello scorso luglio, i leader della Repubblica popolare cinese e di quasi tutti i paesi africani, hanno partecipato, a Pechino, al quinto Forum sulla cooperazione Cina-Africa, durante il quale la Cina ha deciso di stanziare per l’Africa 20 miliardi di dollari in concessioni, nel periodo 2013-2015 , di investire 5 miliardi di dollari nel fondo di sviluppo; di formare 30 mila lavoratori africani, di finanziare 18 mila borse di studio e di inviare 1.500 unità di personale medico. (Dati iai.it )

La fitta rete di scambi ed interessi che unisce la Cina al continente africano non è storia dei nostri giorni, ma inizia il suo cammino nel 1985 , con 1.665 miliardi di dollari in scambi commerciali, che nell’ultimo decennio hanno raggiunto il valore di poco inferiore ai 115 miliardi, facendo diventare così la Cina il primo partner commerciale dell’Africa, prima di Stati Uniti ed Europa.

A partire dalla metà degli anni Novanta, le tre maggiori compagnie petrolifere nazionali China National Petroleum Corporation, la China National Offshore Oil Corporation e la China Petroleum and Chemical Corporation, sono impegnate nella costruzione di raffinerie e oleodotti in Africa, oltreché nello sfruttamento del greggio. Nel 2008 la Cina ha importato dall’Africa il 25% del suo fabbisogno domestico di petrolio,  il Sudan, da solo, copre il 5% del fabbisogno interno della Cina. (Dati eurasia-rivista.org)

La capacità della Cina di riuscire a mantenere i costi di produzione molto bassi, e di conseguenza anche i prezzi della merce, rende l’Africa uno dei mercati più estesi e ricettivi dei prodotti cinesi, soprattutto per quanto riguarda il settore tessile e tecnologico. In questo modo, le speranze di miglioramento della qualità della vita dei paesi africani non sembrano poi così irrangiungibili.

Nel libro Lo scontro delle civiltà, del 1996, Samuel Huntington, prefigurava nel 2010 un terribile scenario di guerra tra Stati Uniti e Cina. A quanto sembra, per ora, pericolo scampato. La seconda rielezione di Obama, secondo l’opinione diffusa tra molti politologi, dovrebbe, infatti, portare a una distensione tra i due stati, anche se non pochi fattori potrebbero minare questa quiete apparente.

La nuova ed enorme fetta di mercato, guadagnata dalla Cina, turba non poco gli Stati Uniti, che l’accusa di concorrenza sleale, vendendo i suoi prodotti sottocosto; oltretutto, la Cina possiede ben più del 90% del mercato globale delle terre rare, ossia dei minerali che servono alla costruzione di quasi tutti i dispositivi elettronici più sofisticati, che può, quindi, gestire a suo piacimento. Tra il 2010 e il 2011 il budget militare cinese è aumentato del 12,5% e casualmente, nello stesso anno, il governo statunitense decide di vendere oltre 6 miliardi di dollari in armi  a Taiwan, isola che dal 1949 proclama la sua indipendenza, ma che il governo cinese continua a mantenerla sotto il suo controllo. Sempre tra 2010 e 2011 viene conferito il premio Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo e Barack Obama incontra il Dalai Lama; scaramucce diplomatiche in confronto all’ intensa attività di sino-hackeraggio, intrapresa ai danni del Ministero della difesa statunitense.

Ma non lasciamoci ingannare, le relazioni tra Cina e Usa sono più strette di quanto si possa immaginare: il valore dello yuan è  legato a quello del dollaro; la Cina, dopo la Federal reserve e insieme al Giappone, è il secondo detentore del debito pubblico americano, con 900 miliardi di dollari. Anche la nomina dei due presidenti, cinese e americano, è avvenuta nel giro di pochi giorni di distanza l’uno dall’altro e in molti già si augurano che la rielezione di Obama e la nomina di Xi Jinping, possa dare inizio a un nuovo percorso tra i due Stati, che in fondo è il percorso di un intero pianeta.

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