Lo sfogo di Ilaria: “Ok il concorso, ma allora risarcitemi!”

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo lo sfogo di Ilaria, da anni precaria della scuola e oggi fortemente danneggiata dall’istituzione del “concorsone”. Se anche tu vuoi raccontarci la tua storia di precarietà scrivi a redazione.mediapolitika@gmail.com

Mi chiamo Ilaria e scrivo questa lettera dopo aver messo a dormire i miei due figli.
G., cinque anni ad agosto, ha passato i suoi primi novi mesi di esistenza ad ascoltare lezioni di letteratura italiana, storia e storiografia, didattica generale, scalciando come un pazzo quando il 31 luglio sostenevo un esame con una temperatura di circa 40 gradi; non entravo nei banchi universitari a causa del pancione e sedevo sempre in mezzo al corridoio sulla sedia che, gentilmente, mi prestava il bidello! Erano i tempi della mia prima SSIS, classe di concorso A043/A050, cioè materie letterarie nella scuola secondaria di I e II grado.
Poi è stata la volta della seconda gravidanza, S., tre anni a settembre, e anche della mia seconda SSIS, quella per abilitarsi su sostegno. Stessa storia, stessi professori, stesse materie, stessa fregatura.
A dicembre di quello stesso anno fu promosso un progetto regionale rivolto a ragazzi disagiati e con scarsa motivazione allo studio, quelli che di solito passano le loro giornate nei corridoi o in presidenza perché sono elementi di disturbo: docenti di italiano e matematica ingaggiati a bizzeffe perché tentassero di recuperarli. Inizio del progetto a dicembre, primo stipendio e fine aprile! Contratto a progetto, niente malattia, maternità o allattamento. Mia figlia aveva appena due mesi e facevo quattro volte casa-scuola per poterla allattare. La scuola, a 20 km da casa mia, aveva anche il rientro pomeridiano.
L’anno scorso sono stata chiamata dalle graduatorie di istituto a San Severo, in provincia di Foggia, a 180 km da casa mia: sveglia alle 4:30 del mattino e rientro a casa alle 16:30.
Quali “bamboccioni”, siamo figli di nessuno! Perché non sono venuti a chiedere ai tanti che hanno fatto le scuole di specializzazione post-laurea cosa hanno patito e quanti sacrifici è costato quel titolo, prima di avere la geniale idea di ripristinare un concorso? L’abilitazione non ce la siamo dati da soli, è stato il Governo a ritenere che quella fosse la strada giusta per poter essere idonei all’esercizio della professione di insegnante!
E ora non vale più nulla. Non valgono più i due anni di tirocinio svolto direttamente nelle classi, con un tutor alle calcagna, per vedere se ero all’altezza di gestire un gruppo classe da sola!
Volete fere un concorso? Bene, risarcitemi! Perché io quelle SSIS le ho pagate profumatamente, non solo in moneta, ma anche fisicamente: ho preso treni e bus per raggiungere le più disparate sedi di lezione, ho comprato libri, fatto fotocopie, rilegato dispense e, più di tutto, ho trascorso notti a studiare, perché di giorno si aveva l’obbligo di firma alle lezioni!
Risarcitemi, perché mi avevate assicurato che per poter lavorare in questo settore dovevo abilitarmi; poi le regole del gioco sono cambiate mentre noi stavamo ancora giocando.
Con quale spirito posso pensare di affrontare un concorso? Con le SSIS se ne sono andati i miei risparmi e tutto il resto, che altro pretendono? Soprattutto, poi, chi mi assicura che, di nuovo, non cambino le regole del gioco? Si può radere al suolo tutto ciò che c’è stato prima, ogni volta? Non ho sette vite come i gatti, prima o poi preferirò cospargermi di benzina piuttosto che rimettermi nuovamente in gioco!
E non si dica che non siamo versatili, flessibili ed elastici: per poter coprire i periodi di non lavoro, o quelli di mancata ricezione dello stipendio (vedi il progetto di cui sopra), alleno in una società sportiva di pallavolo, faccio torte di pasta di zucchero su ordinazione, partecipo al dopo-scuola della parrocchia, e tutto perché la giornata dura solo 24 ore! E scusate se ho anche deciso di mettere al mondo due figli!
Vi lascio con una riflessione: noi siamo insegnanti, maestri, ossia magister, dal latino, il più grande. All’opposto c’è il più piccolo, il minister, ossia il ministro, colui che amministra. Non vi sembra un paradosso che nella vita forse convenga di più aspirare ad essere il più piccolo?

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