Teleperformance, un’altra piaga per la già martoriata Taranto

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di Pierfrancesco Demilito

In questi mesi siamo stati abituati a sentire parlare di Taranto solo ed esclusivamente collegando la città all’Ilva e alla delicata vicenda ambientale e occupazionale. Ma da oggi per il capoluogo jonico si apre un’altra ferita. Forse, più precisamente, dovremmo dire si riapre una ferita, perché stiamo parlando della vertenza all’interno dell’azienda Teleperformance, gruppo francese leader del settore dei call center, una vicenda iniziata un anno e mezzo fa e che si è trascinata dolorosamente fino ad oggi. Fino all’annuncio che l’azienda dirà addio a 785 lavoratori su tutto il territorio nazionale, di cui 621 a Taranto e 164 a Roma.

Sin dall’apertura di questa vertenza Mediapolitika ha seguito la vicenda. In passato abbiamo raccontato la rabbia di quei lavoratori che nel giugno 2011 si sono riuniti sotto la Camera dei deputati per chiedere l’aiuto del Governo, oggi abbiamo sentito Andrea Lumino, segretario provinciale Tlc- Cgil.

– Andrea, non è certamente un periodo facile per Taranto. Siamo di fronte ad un nuovo dramma? Si, per noi che a Taranto viviamo il dramma dell’Ilva mettere a rischio oltre seicento posti di lavoro è una catastrofe. Qui siamo di fronte ad una bomba sociale pronta ad esplodere.

– Dopo una vertenza lunghissima, dunque, Teleperformance manda a casa 621 lavoratori sui 2000 della sede di Taranto. Non c’è via d’uscita? L’azienda propone un’unica via d’uscita: la riduzione di lavoro a venti ore settimanali. Un’offerta che rifiutiamo non solo per una questione di reddito, ma anche perché vorremmo capire come mai Teleperformance, in questi ultimi tre anni, non sia riuscita ad ottenere neanche una commessa. Non vorremmo che l’azienda abbia creato di proposito questa situazione.

– Ma l’assenza di commesse non sembrerebbe l’unica stranezza. Ti rsulta che Teleperformance abbia avviato in queste settimane selezioni per personale precario? Si, contestualmente all’apertura dello stato di mobilità l’azienda ha avviato la selezione di nuovo personale da inserire con contratti precari. Non è la prima volta che l’azienda compie operazioni di questo tipo, ma ora siamo stanchi e attraverso i nostri uffici legali stiamo verificando se legalmente sia possibile dichiarare degli esuberi mentre si seleziona nuovo personale. Siamo certi che eticamente sia immorale e squallido, se avremo conferma che anche dal punto di vista legale la pratica è scorretta la impugneremo.

 – Avete già in programma un incontro con l’azienda? Domani, martedi 30 ottobre, si aprirà il tavolo presso la sede di Confindustria a Roma, perché la procedura prevede che ora si apra una fase di trattativa sindacale della durata di 45 giorni, ma parallelamente abbiamo chiesto l’apertura di tavolo istituzionale parallelo e naturalmente dichiarato lo stato d’agitazione dei lavoratori. Nei prossimi giorni inizieranno le assemblee dei lavoratori e insieme decideremo come organizzare la mobilitazione.

– In passato le amministrazioni locali hanno mostrato attenzione alla vicenda. Avete raccolto il sostegno di qualcuno in questi giorni? Noi abbiamo già ricevuto il sostegno di Comune, Provincia e Regione ma quello che si deve capire è che qui siamo di fronte ad una vertenza nazionale. Voi la scorsa settimana parlavate di Almaviva, ma le aziende del settore con personale in mobilità sono tantissime. Stiamo parlando di aziende che non fanno altro che sfruttare alcune lacune normative.

 – A cosa ti riferisci? Al momento un’azienda può aprire una sede in una Regione obiettivo 1 (NdR per la politica regionale europea, le Regioni in ritardo di sviluppo socio-economico), la Puglia ad esempio, e ottenere dei finanziamenti, dopo tre anni va via e ottiene i soldi per gli ammortizzatori sociali. E magari la stessa azienda, spostandosi cinquecento metri più in là e cambiando ragione sociale, può ottenere nuovamente un finanziamento pubblico. Generando così un esborso triplo per lo Stato e dunque per i cittadini. E poi ci vengono a parlare di spending review.

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