Il Regno Unito lascia l’UE: è Brexit

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Il Regno Unito ha deciso di uscire dall’Unione Europea. Giovedì 23 giugno 2016 segna una data storica per il Paese: quasi il 52% degli oltre 30 milioni di votanti ha optato per il “Leave”, contro il 48% dei “Remain”. Si attendeva, anche se di poco, una vittoria del blocco pro-europeista. Invece, il successo del fronte anti-europeo, annunciato nelle prime ore di venerdì, lascia in eredità una spaccatura senza precedenti a livello “territoriale” e “generazionale”. A  favore del “Leave” si sono espressi l’Inghilterra, il Galles e l’elettorato più anziano; al contrario, la Scozia, l’Irlanda del Nord e gli elettori più giovani hanno votato “Remain”. A pochi giorni dell’esito del referendum resta da capire quali ripercussioni avrà la Brexit sul Regno Unito e sugli altri Paesi dell’Unione

eu-1473958_960_720Un distacco di circa 4 punti percentuali nel referendum più atteso della storia del Paese ha determinato l’uscita del Regno Unito dall’UE. Un margine non netto, ma sufficiente a decretare la vittoria dei “Leave” sui “Remain” portando con sé un susseguirsi di ipotesi sugli scenari post voto ancora tutti da stabilire. Al quesitoIl Regno Unito dovrebbe rimanere un membro dell’Unione Europea o lasciare l’Unione Europea?” il 51,9% dei votanti, pari a 17.410.742 elettori, ha espresso la volontà di uscire, mentre il 48,1%, equivalente a 16.141.241 elettori, ha dichiarato di voler rimanere all’interno dell’Unione Europea. Un successo inaspettato, dopo mesi di sondaggi a favore dei “Remain”, scalzati dai “Leave” nelle ultime due settimane e nuovamente appannaggio dei “Remain” dopo l’omicidio della parlamentare Jo Cox, tra le più attive sostenitrici del fronte europeista. L’episodio, condannato dagli schieramenti politici e dalla società civile, ha scosso la comunità internazionale, segnando profondamente gli ultimi giorni di campagna referendaria elettorale e spostando nuovamente le previsioni di voto.

L’esito del referendum, arrivato nelle prime ore del mattino di venerdì, ha ribaltato i sondaggi online condotti alla vigilia del voto, i quali indicavano un testa a testa o un leggero vantaggio per il “Remain” e davano gli indecisi tra il 10 e il 16% dell’elettorato. Ma a poche ore dall’inizio dello scrutinio, il fronte del “Leave” appariva già in vantaggio e in nottata il distacco sembrava ormai irraggiungibile. I sostenitori del “Remain”, con il premier David Cameron in testa, dimessosi non appena i risultati lasciavano intravedere ormai pochi dubbi, ammettevano la sconfitta.

I dati dell’affluenza

Gli aventi diritto al voto, oltre ai residenti del Regno Unito, i cittadini di Gibilterra, i membri della Camera dei Lords, i cittadini britannici d’oltremare e quelli alla dipendenza della Corona, si sono recati in massa alle urne. L’onere di scrivere una pagina decisiva per il futuro del Regno Unito ha mobilitato 33.568.184 votanti su un totale di 46.500.001 di elettori in 382 circoscrizioni. L’affluenza ha raggiunto il 72,2%, una percentuale altissima, nonostante il maltempo abbattutosi su Londra e sul sud-est dell’Inghilterra, che avrebbe impedito a numerosi elettori, soprattutto nella capitale, di arrivare ai seggi prima della chiusura a causa dei violenti acquazzoni e dei conseguenti ritardi nei trasporti. Un’affluenza ancora più alta di quella registrata nelle ultime elezioni politiche del 2015, attestatasi al 66,1% e di poco inferiore al record delle elezioni del 1992, quando raggiunse il 72,3%. La partecipazione popolare è stata di gran lunga superiore al precedente referendum del 1975 sulla membership europea, quando alle urne si recò il 64,6% degli aventi diritto e il 67,1% votò per continuare a far parte dell’allora Comunità Economica Europea.

I dati suddivisi per singole regioni geografiche mostrano differenze significative tra Nord e Sud. Come si evince dai dati riportati dalla BBC, il Sud Est è pressappoco lo specchio del risultato complessivo: il 51,8% ha votato “Leave” contro il 48,2% “Remain”. In Inghilterra, a guidare la classifica delle zone con la più alta percentuale di voti per l’uscita dall’UE sono state Le Midlands occidentali (West Midlands) con il 59,3%, dove la vittoria schiacciante dei “Leave” a Walsall (68%), nell’Inghilterra centrale, ha fatto da contraltare al risultato più equilibrato di Birmingham (50,4%); le Midlands Orientali (East Midlands) con il  58,8%, tra cui spiccano Boston e South Holland, nella contea del Lincolnshire, rispettivamente con il 75,6% e il 73,6%; il Nord Est (North East) con il 58%, un risultato unanime ad accezione di Newcastle, l’unica, con un margine di vantaggio del 1%, a favore del “Remain”. Il Galles il 52,5%, ha votato per la Brexit, a parte cinque località, inclusa la capitale Cardiff, dove il “Remain” ha registrato il 60% dei consensi. Tra le aree più filo-europeiste la Scozia (62%), con la più alta percentuale di “Remain” e il 74,4% di voti pro UE registrati nella capitale Edimburgo, un numero molto vicino a quello registrato a Belfast (74,1%), capitale dell’Irlanda del Nord dove il 55,8% dell’elettorato ha votato “Remain”. A Londra il 59,9% ha votato per rimanere nell’UE e a Gibilterra, pur considerando l’esiguo numero dei votanti, si è registrato un voto quasi plebiscitario: il 95,9% per il fronte del “Remain”.

Giovani per il Remain

A pesare, complessivamente, oltre alla portata territoriale del voto, sono state le differenze generazionali. La soglia dei cinquant’anni ha segnato lo spartiacque tra i sostenitori del “Leave” e quelli del “Remain”. Gli ultrasessantacinquenni si sono schierati nettamente per l’uscita dall’UE (60%), seguiti dalle fasce d’età 55-64 anni (57%) e 45-54 anni (56%). Al contrario, i giovani hanno sostenuto ampiamente il fronte europeista: il 73% di età compresa tra i 18 e i 24 anni, seguiti dal 62% dei votanti tra i 25 e i 34 anni e il 52% dell’elettorato di età compresa tra i 35 e i 44 anni, hanno espresso l’intenzione di rimanere in Europa. L’identità nazionale e il grado d’istruzione sono stati tra gli altri fattori decisivi a favore del “Leave”, che ha vinto in 28 su 30 aree con la minor percentuale di laureati e nella totalità delle aree (30 su 30) dove la maggioranza dei votanti si sono identificati come “inglesi”.

A Londra, città con il più alto numero di immigrati (circa 3 milioni di nati stranieri nel 2014), come riportano le ultime statistiche dell’Osservatorio sull’Immigrazione, la vittoria del “Remain” era data per scontata. In effetti, la capitale ha rappresentato una voce fuori dal coro del Regno Unito, ma, nonostante il suo ruolo strategico e simbolico, non ha influenzato l’andamento generale del voto. Su un totale di 33 circoscrizioni 28 hanno espresso la volontà di rimanere in Europa: Barking and Dagenham, Bexley, Sutton, Havering and Hillingdon sono state le uniche zone a sostegno della Brexit. Lambeth (79%), Hackney (78%) e Haringery (76%) hanno fatto registrare le percentuali più alte per il “Remain”. La delusione per l’esito del referendum, sfociata anche in protesta, si è fatta sentire soprattutto nella capitale, facendo azzardare l’ipotesi, ritenuta comunque improbabile, di Londra città-stato indipendente, o del mantenimento di vantaggi economici per la City, cuore finanziario di Londra e fino ad ora dell’economia europea, aggirando l’esito del referendum.

Si tratta di pure supposizioni o la geopolitica del Regno Unito potrebbe davvero cambiare? Il “quando” resta l’incognita maggiore. Guardando ai dati, la maggioranza dei cittadini ha espresso la volontà di lasciare l’Europa. Tra la soddisfazione dei vincitori e la preoccupazione degli sconfitti, si inserisce un clima di incertezza, accompagnato anche da episodi razzisti che si sono verificati in Inghilterra e in Galles. Il Paese è diviso. L’elenco degli scenari possibili alimenta il dibattito all’indomani del voto e c’è già chi si mobilita per un secondo referendum. Fino al momento in cui si dovrà formalizzare l’uscita dall’UE, l’unica certezza resta quella di un risultato che inevitabilmente cambierà il futuro del Regno Unito e dell’Europa.

Fonte immagine: https://pixabay.com/it/ue-regno-unito-2016-problema-1473958/

(di Elena Angiargiu)

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