La ‘ndrangheta è la mafia italiana più “internazionalizzata”

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Una vera multinazionale del crimine: la sua struttura e il potere economico sono i punti di forza della ‘ndrangheta: lo rivela la relazione annuale della procura antimafia

Da Nord a Sud l’Italia è coinvolta in operazioni antimafia. Decine di sentenze, arresti, scandali segnano il nostro Paese:  da Milano a Reggio Calabria, da Crotone a Reggio Emilia gli accordi con i colletti bianchi prevalgono sulle uccisioni, che pure ci sono. Un modo inedito di agire delle mafie votato al perseguimento della “strategia dell’inabissamento” piuttosto che a crimini sanguinosi con i quali potrebbero attirare l’attenzione delle forze investigative.

Mercoledì 2 marzo è stata presentata la relazione annuale della procura nazionale antimafia sulle attività svolte dal Procuratore Nazionale Antimafia e dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo guidata da Franco Roberti. Alla conferenza stampa erano presenti Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e anche i giornalisti Giorgio Zanchini, giornalista Rai e conduttore di Radio Anch’io, Giovanni Tizian e Arcangelo Badolati, giornalista del quotidiano “Gazzetta del Sud”. Al centro del dibattito lo stato di salute del crimine organizzato italiano.

Cosa Nostra, Camorra, le mafie pugliesi, la ‘ndrangheta con le sue infiltrazioni nel centro Nord: sembra che le mafie italiane facciano a gara per condentesi il primato di mafia più cruenta e potente. Una battaglia persa in partenza per uno Stato dove a ogni tentativo da parte della magistratura di colpire il problema corrispondono dieci passi indietro sul piano sociale. L’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia ne è una prova. Gli insediamenti della mala calabrese, nelle città italiane, seppure con diversi livelli di profondità, come emerge soprattutto dall’ultima indagine denominata “Aemilia” costituiscono una riprova del potere di queste cosche: Il dato da sottolineare è relativo alla presenza, sempre più massiccia ed incisiva, sia quantitativamente che qualitativamente, della ‘ndrangheta in praticamente tutte le regioni del centro-nord, accanto alle storiche presenze in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Lazio, sono attestate con chiarezza cellule solidamente impiantate in Liguria, Umbria, Veneto, e Marche”, così si legge nella relazione della DNA. E questo è quello che emerge dagli ultimi due processi “Crimine” e “Infinito” nonché dalla sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria il 2 maggio 2014, nel processo denominato “Meta” a carico di Pasquale Condello, detto “U supremu”, e altri da cui il forte radicamento sul territorio: “Essa è insediata nella provincia di Reggio Calabria, dove è suddivisa in tre macroaree (tirrenica, Città e Jonica), nel cui ambito insistono società e locali, composti a loro volta da’ ndrine e famiglie….”.

Sodalizi tra famiglie, legami atavici e riti “sacri” si ripropongono fedelmente nell’organizzazione e gestione non soltanto nel traffico di stupefacenti ma anche attraverso un diretto controllo del territorio e di tutte le relative attività economiche, realizzato attraverso affiliati stabilmente insediatisi in diverse aree, soprattutto della Germania e della Svizzera, organizzati secondo le regole e le gerarchie proprie delle famiglie calabresi, il cui modello viene fedelmente riproposto. Infatti, una diversa attività investigativa ha consentito di acclarare l’operatività in Germania di un’articolazione territoriale della ‘ndrangheta, dalle connotazioni in tutto e per tutto analoghe a quella svizzera, denominata “Locale di Rielasingen,” con l’arresto, il 7 luglio 2015, di 10 tra capi ed affiliati di tale sodalizio.

La cocaina, in particolare, rappresenta la prima fonte di introiti ed è in grado di condizionare l’intera economia legale del mondo, grazie anche al controllo del porto di Gioia Tauro. Una fonte di approvvigionamento “border line” capace di varcare i confini dell’economia legale attraverso il filo sottile della corruzione. Tutto questo fa della ‘ndrangheta la mafia più internazionalizzata.

Una vera e propria multinazionale del crimine calabrese come indicano i magistrati della procura nazionale: sequestri di beni confiscati alla ‘ndrangheta per oltre mezzo miliardo di euro dal primo luglio 2014 al 30 giugno 2015. Un dato che si riferisce alla sola procura di Reggio Calabria, al quale si devono aggiungere i sequestri ottenuti in Emilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Lazio. Se poi si sommano i due miliardi sequestrati nell’operazione Gambling lo scorso luglio, superiamo abbondantemente i tre miliardi di euro, tra immobili, società, imprese, automobili, conti bancari, polizze, assicurazioni, trust e svariate altre cose.

Gli insediamenti della mala calabrese si estendono dal traffico internazionale di stupefacenti e delle armi all’attività estorsiva, praticata con modalità diverse e sempre più sofisticate, fino ai settori dell’”economia legale”: appalti pubblici, attività imprenditoriali, fino ai settori del commercio, dei trasporti, dell’edilizia e in quello di giochi e scommesse, soprattutto on line.

La forza di questa organizzazione, dunque, risiede nella sua struttura ma anche nel potere economico e, di conseguenza, condizionamento della politica, nel senso che la ‘ndrangheta è interlocutore per la politica nella misura in cui riesce a mantenere il controllo del consenso, cosa che deriva, a sua volta, dalla grande capacità di essere presente nella realtà economica, spesso con società, controllate attraverso uomini di fiducia, se non addirittura con affiliati, con cui accedere anche alle procedure pubbliche di appalto.

Un muro imponente che affonda le sue radici di cemento in una terra “madre” e fertile come la piana di Gioia Tauro in Calabria, che ospita silenziosamente e senza tradire; un muro quasi impossibile da abbattere, contro il quale una volta che ti sei schiantato non puoi che lasciarci la pelle. Questa riflessione, evidentemente, riguarda non solo la Calabria, ma l’intero territorio nazionale.

(di Anna Piscopo)

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