Usa-Ue. Dopo il datagate è tensione sul libero scambio

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di Emiliana De Santis

Lo scorso giovedì, stesso giorno in cui nelle sale italiane usciva “Il Quinto potere” pellicola dedicata a Julian Assange e Wikileaks, i capi di Stato dell’Unione riuniti a Bruxelles rimanevano basiti di fronte alle rivelazioni del quotidiano britannico Guardian, che ha pubblicato un memo riservato dell’archivio di Edward Snowden nel quale si dice, senza rivelare i nomi, che sono 35 i leader mondiali intercettati dalla National security agency americana (Nsa), tra cui spicca quello della cancelliera di ferro, Angela Merkel.

La scossa è stata talmente forte che il vertice ha focalizzato su questo tutta l’attenzione, trattando solo a margine il vero tema sul quale l’incontro era stato convocato l’emergenza sbarchi a Lampedusa e la politica di immigrazione comunitaria. In un botta e risposta serrato, toni da guerra fredda ormai in disuso da un ventennio tra alleati atlantici, Barack Obama e Angela Merkel non se la sono mandata a dire, il primo in forte imbarazzo, la seconda in evidente posizione di vantaggio diplomatico.  Il sottosegretario tedesco Steffen Seiber, ha detto che c’è la quasi assoluta certezza che la cancelliera sia stata spiata dalla Nsa, specificando: “Esigiamo spiegazioni immediate, è inaccettabile un comportamento simile tra i nostri due paesi, amici, partner e alleati dal dopoguerra”. Ha cercato poi di rimediare il presidente americano prima smentendo le rivelazioni poi ammettendo l’avvio di una verifica interna per controllare il rispetto della privacy. Una risposta che non è stata giudicata soddisfacente dai tedeschi, né dagli altri leader europei: “La cancelliera ha detto al presidente che esige chiarimenti immediati ed esaurienti – ha proseguito Seiber – e che se queste notizie fossero confermate si tratterebbe di pratiche assolutamente inaccettabili e inammissibili, di una gravissima rottura e strappo del rapporto di fiducia bilaterale nato dal dopoguerra, e che occorre dall’America la garanzia che tali operazioni, se sono o sono state condotte, cessino immediatamente”.

Il primo nodo che viene al pettine è quindi il già travagliato accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti, in gioco da febbraio e più volte bloccato dalle reciproche diffidenze oltre che dal pericolo dello shutdown americano all’inizio di ottobre. Lo aveva comunicato il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso in una conferenza stampa contemporanea all’annuncio da Washington del presidente Obama. «Quando l’accordo di libero scambio tra Ue e Usa sarà pienamente operativo darà uno stimolo dello 0,5% al Pil europeo» aveva dichiarato Barroso, descrivendo i negoziati sugli accordi commerciali transatlantici e la partnership sugli investimenti, la cosiddetta Trans-atlantic trade and investment partnership. La durata dei negoziati, stimata in due anni, rischia a questo punto di allungarsi sensibilmente e non solo per gli attacchi del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. La strada per la creazione di un’area di libero scambio tra Usa e Ue è ancora molto lunga e incerta.

La nascita di una zona di libero scambio significa la caduta dei dazi doganali sui beni che viaggiano tra una sponda e l’altra dell’Oceano. Già oggi, tuttavia, questi dazi ammontano a circa il 3% e non sono quindi particolarmente incisivi sul prezzo finale delle merci. Più cospicuo invece il risultato in caso di abbattimento delle barriere extra-doganali. Per far circolare le merci, gli Usa chiedono infatti di modificare le regole assai restrittive che oggi, in Europa, colpiscono molti beni in commercio – alimenti, prodotti agricoli e farmaci – e impediscono l’accesso sul mercato di molti esportatori statunitensi.  Molto andrà a beneficio dei conti delle aziende che, oltre a non pagare i dazi, eviteranno costose procedure amministrative e doganali. Secondo le stime dell’Ue, la zona di libero scambio farebbe risparmiare alla imprese europee diverse decine di miliardi di euro all’anno. Se i risparmi ottenuti dalle aziende si trasformeranno in nuovi investimenti produttivi, vi saranno immediatamente dei benefici per l’economia di entrambe i continenti. Secondo le previsioni più accreditate, la zona di libero scambio farà crescere il pil europeo di 120 miliardi di euro.

Non mancano i rischi, soprattutto per l’Unione. L’eventuale caduta delle barriere extra-doganali è proprio uno dei fattori che preoccupa di più chi, come i deputati verdi al Parlamento Europeo, si dichiara contrario ad un allentamento di alcune restrizioni importanti per la tutela della salute, come quelle in vigore nel settore dei medicinali  e nella coltivazione di prodotti agricoli contro l’utilizzo di organismi geneticamente modificati (Ogm). Poiché americani ed europei tentano un simile affondo dagli anni ’60 ed al momento il flusso commerciale è talmente buono da non giustificare un ulteriore armonizzazione delle legislazioni commerciali, sono in molti a credere che la Partnership Transatlantica sia solo in mezzo per preparare al meglio l’Europa e l’America alla guerra di mercato contro i Bric (Brasile, Russia, India, Cina) e le altre potenze economiche emergenti, Sud Africa, Corea, Cile. Insomma uno strumento politico volto anche a rassicurare i circa 25 milioni di attuali disoccupati continentali e le rispettive famiglie gravate dal peso della crisi e sempre più lontane dal considerare gli Stati Uniti come un alleato cruciale per la sopravvivenza. Ci si interroga quindi sul destino del sistema commerciale multilaterale che americani ed europei hanno creato alla fine della seconda guerra mondiale, la World Trade Organization (Wto), oggi in difficoltà nell’adeguarsi al dominio commerciale asiatico e che potrebbe, proprio in virtù del patto transatlantico, passare sotto il controllo di Pechino e New Delhi dando così vita a due sistemi commerciali bipolari mutuamente escludenti.

È probabile che Edward Snowden non pensasse a tutto questo quando annotava sul taccuino la rete di spionaggio con cui l’establishment americano tiene sotto scacco i governi di tutto il mondo ma certamente ci ha pensato chi, dietro di lui e accanto a lui, fa ogni giorno trapelare queste notizie. “Non esiste l’America, non esiste la democrazia! Esistono solo IBM, ITT, AT&T, Dupont, DOW, Union Carbide ed Exxon. Sono queste le nazioni del mondo, oggi. Di cosa crede che parlino i russi nei loro consigli di Stato? Di Carlo Marx?” (Arthur Jensen, Quinto potere, 1976, Sidney Lumet)

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