Amarcord. La storia della Lodigiani, l’amatissima terza squadra di Roma

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LodigianiChiunque viva a Roma e abbia una pur vaga competenza calcistica, sa benissimo che nella capitale non esiste altro Dio pallonaro al di fuori della devozione biancocelestegiallorossa. Lazio o Roma, sponda nord o sponda sud del Tevere, per il resto c’è poco spazio e anzi quando qualcuno sventola timidamente la bandiera con altri colori, le reazioni sono infastidite: “Ma che sei de Roma e te piace er Milan?”. “Si, perchè?”. “Boh, me pare strano”.

A Roma sembra strana qualsiasi altra fede calcistica, rispettata sì, ma non compresa fino in fondo, tanto dalla parte laziale, quanto da quella romanista. Eppure c’è stato spazio per qualcun altro nella capitale, qualcuno che è stato piccolo e silenzioso, ma che ha fatto rumore lo stesso: la Lodigiani. I lodigiani sono da sempre gli abitanti della città lombarda di Lodi, la cui squadra di calcio si chiama Fanfulla e con la Lodigiani non ha nulla a che spartire. La Lodigiani Calcio nasce nel 1972 per volere di Giuseppe Malvicini ed è inizialmente la squadra della Lodigiani Costruzioni, una delle società edilizie più potenti degli anni settanta. Gli inizi sono nelle categorie inferiori e la scalata alla serie C arriva solo all’inizio degli anni ottanta, quando sulla panchina del club che ha scelto di giocare con la maglia rossa e i calzoncini bianchi, siede un allenatore abruzzese, scorbutico e di poche parole, ma con un risvolto umano fuori dal comune: Guido Attardi. Dopo la vittoria dei mondiali nel 2006, Luca Toni avrà proprio per Attardi (suo allenatore nella Lodigiani) la prima dedica per il trionfo iridato: “La prima persona che mi viene in mente in questo momento – dirà un emozionato Toni – è Guido Attardi, mio allenatore alla Lodigiani ed ora putroppo scomparso. Grazie a lui ho imparato tantissimo, tatticamente e umanamente, un secondo padre per me”. Attardi guida una squadra giovane che ha proprio nel settore giovanile il suo punto di forza, una caratteristica che la squadra romana manterrà per tutta la sua esistenza; i ragazzi lo seguono, lui insegna calcio e vita, pane, pallone ed esperienza. La Lodigiani approda in serie C2 al termine del campionato 1982-83, ma a Roma neanche ci fanno caso, con i romanisti ubriachi di gioia per uno scudetto vinto ed atteso per 40 anni, e i laziali impegnati ad arrancare in serie B fra cambi di presidenti e di allenatori. Curioso che Attardi guidi la Lodigiani alla promozione beffando proprio la squadra della sua città natale, L’Aquila, battuta sul filo di lana nel campionato di serie D. I primi anni di C2 sono di apprendistato per una formazione giovane, inesperta e col grande handicap di non avere pubblico: lo stadio è il Flaminio (oltre 20.000 posti), i sostenitori della Lodigiani sono poche centinaia, spesso sovrastati da quelli ospiti che arrivano a Roma in svariate migliaia, veri e propri esodi da città calde come Siracusa e Perugia, ma anche da centri più piccoli ma con tifosi agguerriti e numerosi, come quelli della Turris o della Nocerina. Verso la metà degli anni ottanta, quando la compagine di Attardi stazionava costantemente fra il settimo ed il decimo posto di classifica, la Lodigiani Costruzioni iniziò ad avere un lento declino, chiudendo i cordoni della borsa che alimentava il sostentamento della squadra biancorossa; la decisione dei dirigenti romani, allora, fu quella di puntare quasi esclusivamente sui talenti del vivaio che fu potenziato e divenne la principale risorsa del club che svezzava i piccoli campioni per poi rivenderli al miglior offerente. Anche il futuro capitano della Roma, Francesco Totti, fu inserito nel progetto giovani della Lodigiani, militando negli esordienti e venendo acquistato nel 1989 dalla squadra giallorossa che ne intravide subito i crismi del fuoriclasse. Nel frattempo la Lodigiani ha cambiato tecnico, affidando la panchina a Rosario Rampanti che sfiora nella stagione 1987-88 la promozione in C1, persa per un punto e a causa di una serie infinita di pareggi. Ma la promozione è rimandata solamente di qualche anno: nel 1991-92 la panchina viene affidata a Specchia, tecnico esperto della categoria, e la Lodigiani giunge seconda in campionato dietro al Potenza e davanti al Trani, approdando per la prima volta in C1.

Roma scoprì così questa piccola realtà cittadina, mai considerata più di tanto negli anni precedenti ed ora invece simpaticamente accolta sia dai tifosi laziali che da quelli romanisti. La mossa della dirigenza di far disputare al sabato pomeriggio le gare della Lodigiani, fu poi molto intelligente, perchè tanti romani, impegnati la domenica a seguire Lazio e Roma, si ritagliarono quelle due ore al sabato per sostenere al Flaminio la terza squadra della capitale. Il primo anno in C1 fu di assestamento, quindi nel 1993-94 la Lodigiani fece il botto: nel primo campionato di serie C con la regola dei 3 punti a vittoria e dei playoff promozione, la società romana puntò in alto, richiamando in panchina Attardi e potenziando notevolmente la squadra con gli arrivi degli esperti attaccanti Matticari e Baglieri a sostenere i più giovani compagni; il Flaminio fece registrare record di spettatori per la Lodigiani (circa 3 mila spettatori a partita) arrivando a fine campionato a disputare i playoff per la promozione in serie B, traguardo impensabile per una realtà con poche risorse economiche ed un seguito ridottissimo di sostenitori. Il Perugia fu imbattibile e vinse il campionato, ma la Lodigiani sapeva che negli spareggi non partiva battuta in nessun caso; in semifinale la squadra di Attardi incontrò la Salernitana, uno squadrone attrezzato per il salto di categoria e che fece pervenire a Roma una richiesta di 20 mila biglietti per i suoi tifosi! La Lega decise così di far disputare Lodigiani-Salernitana allo stadio Olimpico che si riempì di circa 25 mila tifosi, 15 mila provenienti dalla Campania e 10 mila appassionati romani che volevano spingere la piccola Lodigiani verso la finale per la serie B. La gara fu combattuta, la Lodigiani spavalda e concreta si portò in vantaggio con Chirico ma fu raggiunta dai granata. L’1-1 finale fu ovviamente meglio accolto dalla sponda salernitana che si preparò al ritorno nel fortino dello stadio Arechi, infuocato da un tifo da serie A, altro che C1. La gara di Salerno non ebbe storia e la Salernitana trionfò per 4-0 tornando in serie B dopo tre stagioni e sotto la sapiente guida di un giovane Delio Rossi, tecnico in rampa di lancio che conobbe pochi anni dopo la ribalta della serie A. Nella stagione successiva la Lodigiani non riuscì a ripetere le imprese dell’anno precedente, ma si tolse la soddisfazione di incontrare la parte nerazzurra di Milano nel primo turno di Coppa Italia ad agosto, con telecamere e fotografi e la diretta televisiva; il 3-0 finale per i milanesi non scalfì l’impegno e l’orgoglio di una Lodigiani che però in campionato non seppe trovare quelle risorse che l’avevano condotta ad un soffio dal sogno della serie B. A fine anno ci fu una nuova separazione da Guido Attardi e fu chiamato Maurizio Viscidi, uno dei più grandi esperti di tattica del panorama calcistico italiano, consulente di Arrigo Sacchi e futuro commissario tecnico della nazionale under 21. Con 10 risultati utili consecutivi la Lodigiani di Viscidi uscì dai bassifondi della classifica nella stagione 1995-96 ottenendo la salvezza in un torneo che comprendeva nobili decadute come Lecce ed Ascoli, e che registrò il miracolo della promozione in B del minuscolo Castel di Sangro, una delle pagine più belle della storia del calcio italiano. Nel campionato successivo, la Lodigiani sfiorò i playoff mettendo in mostra un calcio spettacolare e lasciando il pubblico con l’amaro in bocca perchè l’annata, grazie al portiere Bordoni e all’attaccante Biancone, avrebbe potuto riportare i romani a giocarsi l’accesso alla serie B fino alla fine. La stagione 1998-99, con l’ennesimo ritorno di Attardi in panchina, fu l’ultima degna di nota e in cui i biancorossi si tolsero qualche soddisfazione: in attacco c’era Luca Toni che avrebbe segnato 15 gol conquistandosi la maglia del Treviso in serie B e l’ascesa della sua carriera; a centrocampo il tornante Luca Vigiani che avrebbe conosciuto la serie A con Reggina e Livorno, in difesa l’esperto capitano La Scala. La squadra non giocava male e otteneva ottimi risultati soprattutto in casa dove le partite venivano disputate allo stadio Tre Fontane, piccolo impianto del quartiere Eur, dal momento che il Flaminio era diventato la patria della nazionale di rugby che, al contrario della Lodigiani, aveva tanto seguito ma otteneva risultati disastrosi (ruolino peraltro mai migliorato negli anni a venire dagli eroi della palla ovale). La Lodigiani ottenne in quella stagione risultati prestigiosi come la vittoria casalinga sull’Ascoli e la gara tutto orgoglio e passione contro il milionario Palermo che uscì dal Tre Fontane con un 1-0 determinato da un calcio di rigore inesistente e tanti fischi dei pochi sostenitori biancorossi presenti sugli spalti del piccolo stadio cittadino. Fu quello il canto del cigno di una società che cadde in C2 nel 2002 (prima retrocessione della sua storia) e non seppe più rialzarsi; la gente di Roma perse interesse verso la squadra biancorossa che oltretutto iniziò a cambiare stadio ogni mese, senza continuità. La fusione con la società dilettantistica Cisco nel 2005, la cessione del marchio al neonato Atletico Roma che sfiorò la serie B nel 2011, segnarono poi la scomparsa del marchio Lodigiani, nonchè il disamore della città di Roma, affezionata al vecchio simbolo, attivo dal 2012 solo con il settore giovanile e senza essere più iscritta ad alcun campionato nazionale o regionale.

La finale di ritorno dei playoff del girone B della serie C1 nel giugno 2011 disputata al Flaminio fra Atletico Roma e Juve Stabia e vinta 2-0 dai campani, ebbe un discreto seguito di pubblico, ma molti romani confessarono di provare quasi astio nei confronti dell’Atletico che si giocava la serie B, una gelosia verso le maglie della Lodigiani che non esistevano più. Qualcuno disse: “Se una terza squadra di Roma doveva fare il salto in serie B doveva essere la Lodigiani; non ci è riuscita ed è giusto che non ci riesca nessun’altro”. Una grande prova d’amore da parte di una città che ha sempre e solo tenuto in considerazione Lazio e Roma, e che solo una volta ha tradito i colori del cuore per un’altra maglia, una piccola scappatella chiamata Lodigiani.

di Marco Milan

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