Siria – Intervista a Tommaso Della Longa, portavoce della Croce Rossa Italiana

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di Valentina Verdini

Dimenticati. È questo l’aggettivo che viene associato alla popolazione e ai profughi siriani che da più di due anni vivono sotto i bombardamenti e i colpi di artiglieria delle forze governative di Bashar al Assad e dei ribelli. Un bollettino di guerra che è difficile tenere aggiornato: da marzo 2011 si contano più di 70.000 vittime, 3.5-4 milioni di sfollati interni. Lo scorso marzo è stato il mese che ha registrato il numero maggiore di vittime: 6.005 morti, di cui quasi 300 bambini. Sembrano essere realtà così lontane dal nostro quotidiano, distanti culturalmente e geograficamente. Eppure, guardando una cartina la Siria è più vicina di quello che si può immaginare: bagnata dal mar Mediterraneo, al confine con la Turchia. Il conflitto siriano viene tuttavia ignorato, dimenticato, nel migliore dei casi la comunità internazionale condanna le violenze, con le parole, e niente più.

Mediapolitika può raccontare la situazione drammatica della popolazione siriana, del contributo fondamentale ma altrettanto rischioso degli operatori umanitari, grazie all’intervista rilasciata da Tommaso Della Longa, portavoce della Croce Rossa Italiana, da poco tornato da Damasco.

Immagino che prima di partire tu ti sia fatto un’idea della situazione che avresti incontrato. Una volta arrivato, quale è stato l’impatto che hai avuto con la Siria?

L’impatto è stato molto duro perché la prima idea che ci siamo fatti arrivando in Siria è di un paese allo stremo che non ne può più di un conflitto armato che ormai dura da più di due anni. Prima di partire seguivamo gli aggiornamenti sul conflitto tramite i dati della Mezzaluna Rossa Siriana e dell’Unhcr, e la tragicità della situazione era abbastanza chiara. Ovviamente, vedere con i propri occhi Damasco che dal tramonto in poi diventa una città fantasma, le condizioni disperate degli sfollati interni che hanno raggiunto un numero compreso tra i 3,5 e i 4 milioni, ecco questo non fai mai bene, non è mai una cosa semplice da gestire. L’idea è che ci sia veramente tantissimo da fare e che invece la questione siriana sia drammaticamente dimenticata dalla comunità internazionale.

Quale è la condizione della popolazione? Quali sono le emergenze?

Le emergenze sono le più variegate. Sicuramente la prima è il trattamento degli sfollati: parliamo di circa 1,2 milioni di profughi nelle zone circostanti, tra Giordania, Libano, Turchia, Iraq e un numero che va dai 3,5 ai 4 milioni di sfollati interni.  Alcune volte si tratta di persone sfollate due volte: ad esempio, in un sobborgo di Damasco abbiamo incontrato delle famiglie che un anno e mezzo fa erano scappate da Homs e un mese fa erano giunte a Damasco, dove subito dopo è arrivata la guerra. L’aiuto da dare ai profughi è un aiuto a 360 gradi: significa fornire un posto dove dormire, vestiti, cibo, e il trattamento sanitario ove servisse. Nella zona di Damasco abbiamo incontrato centinaia e centinaia di persone che vivono nelle scuole. Questo è un altro problema siriano: 725 scuole sono diventate luoghi di accoglienza per gli sfollati, bloccando così il sistema scolastico nazionale. In moltissimi altri casi, ci sono famiglie che vivevano in edifici non finiti, senza allaccio di luce, gas, acqua, elettricità, e in condizioni disperate. Inoltre, bisogna capire che non vi sono solo ferite di guerra ma anche malati cronici che hanno bisogno di aiuto ospedaliero. Fondamentale è anche il supporto psicosociale: bisogna pensare che dopo aver passato solo una settimana a Damasco abbiamo ancora nelle orecchie il rumore dei bombardamenti continui. Pensiamo invece ai bambini di pochi anni e agli adolescenti che vivono quotidianamente in questa situazione e che quindi hanno bisogno di un supporto psicologico molto forte.

La seconda emergenza è il rispetto della popolazione civile e dei soccorritori da ambedue le parti dei belligeranti. Sono già 18 i volontari della Mezzaluna Rossa Siriana che sono stati uccisi mentre portavano la loro opera di soccorso ai feriti senza guardare divise, età, bandiere, religione, politica o ideologia. È un fatto drammatico, di cui non si parla. Un conflitto in cui non si rispettano le Convenzioni di Ginevra e il ruolo super partes dei soccorritori è gravissimo e inaccettabile.

A tal proposito, quali sono le difficoltà che i volontari della Mezzaluna Rossa Siriana e gli operatori umanitari devono affrontare?

Il problema sostanziale è l’accesso alle aree, che significa fornire un corridoio umanitario per l’evacuazione di civili e di feriti, portare convogli umanitari, generi alimentari e di soccorso nelle zone in cui si combatte. La difficoltà è parlare con tutte le parti in causa ed assicurare la possibilità di passare: ci sono alcune zone in cui il Comitato Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa riescono ad operare, ed altre dove l’accesso è troppo difficile e pericoloso.

Prima dicevi che la comunità internazionale sembra aver dimenticato la tragedia umanitaria che si sta consumando in Siria. Credi che questo dipenda anche dalla difficoltà per i giornalisti di poter accedere in territorio siriano e quindi di poter documentare il conflitto?

Che sicuramente non sia un conflitto semplice da coprire, questo è un dato di fatto. Quello che però mi sento di dire, anche in riferimento all’appello lanciato dal nostro presidente Francesco Rocca, è un messaggio chiaro: le cancellerie internazionali e i governi occidentali perdono molto tempo a parlare dei nuovi strumenti di morte, di nuove armi che devono arrivare in territorio siriano, ma nessuno parla, se non pochissime volte, del bisogno primario della popolazione, di aiuti umanitari e della necessità di fornire sicurezza agli operatori. Poi, che accanto ci sia un problema di accesso della stampa, è indiscutibile ed è sotto gli occhi di tutti. D’altra parte in tutte le zone di conflitto armato queste sono le condizioni in cui la stampa opera. Ciò che però fa  riflettere, è che in molte occasioni le immagini a circuito internazionale ci sono. Quindi, ci sono testate internazionali che quotidianamente danno notizie sulla Siria, mentre altre, come in Italia, che dedicano solo brevi articoli sul numero delle vittime. Noi capiamo perfettamente la situazione politica italiana e la gerarchia delle notizie all’interno dei quotidiani e delle radio, però non parlare della situazione siriana è una vicenda molto grave.

Si è da poco concluso a Londra il G8 dei ministri degli esteri e ancora una volta il mondo occidentale sembra fare da spettatore a quello che sta avvenendo in Siria. Perché la comunità internazionale stenta ad intervenire in maniera decisiva?

Come Croce Rossa non entriamo nelle questioni politiche. Ciò che però facciamo notare è che al di là delle questioni di alleanze e non alleanze, di intervento o non intervento, forse sarebbe il momento di far lavorare la diplomazia e di far tacere un po’ le armi. Più sforzo diplomatico, più aiuti umanitari e sicurezza per gli operatori e meno diffusione di armi. Questo è ciò che la comunità internazionale dovrebbe far proprio.

In futuro come continuerà ad operare la Croce Rossa Internazionale insieme alla Mezzaluna siriana?

La Mezzaluna Rossa Siriana continuerà a lavorare e anche in questo momento è accanto alla popolazione sia da un punto di vista sanitario che di emergenza. Il coraggio e la generosità dei volontari della Mezzaluna Rossa è una delle cose che ci ha colpito di più: sono centinaia i ragazzi tra i 20 e i 30 anni che lasciano i propri cari in pericolo e sotto i bombardamenti per dare il proprio aiuto agli altri civili. Per quanto riguarda la Croce Rossa Italiana, un anno e mezzo fa abbiamo lanciato un appello di raccolta fondi presente anche sul nostro sito www.cri.it con cui sosteniamo direttamente le attività della Mezzaluna Rossa Siriana. L’idea è quella di raccogliere almeno un milione di euro entro l’anno da destinare ai profughi che abbiamo incontrato nella zona di Damasco garantendo cure a 360 gradi, dall’accoglienza all’assistenza sanitaria, dal cibo fino al supporto psicosociale.

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