Amarcord: gli stravizi della bellezza. Maurizio Scarsella, un talento volato via

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Calcio e stravizi: un binomio purtroppo troppo spesso presente nelle cronache sportive, soprattutto da quando i calciatori sono diventati autentici divi dello spettacolo, alla pari di cantanti, attori e personaggi televisivi. A volte tutto si conclude con prime pagine, clamori mediatici e riflettori spenti quasi subito, in altre occasioni, purtroppo, la realtà si configura in modo assai più drammatico, come nel caso di Maurizio Scarsella che ha pagato ad un prezzo altissimo la sua passione per i vizi.

Quella di Scarsella si potrebbe definire semplicemente una breve storia triste, perché effettivamente le cose da raccontare sono poche nei pochi anni vissuti dallo sfortunato calciatore romano, nato nella capitale il 28 marzo 1962 e dotato di un fisico possente e di un piede sinistro di rara potenza e precisione. Maurizio Scarsella inizia presto a giocare a pallone, le doti sono invidiabili, le intravedono gli osservatori del’Urbe Tevere, una delle squadre di Roma che fino agli ottanta era fra le più rinomate per scoprire e svezzare talenti. La piccola società ne parla alla Lazio, il club biancoceleste lo fa seguire da Volfango Patarca che è una sorta di istituzione a Formello poiché è colui che ha portato al club le maggiori promesse del calcio romano senza quasi mai sbagliare. Gli segnalano questo mancino dal gran fisico, Patarca va a visionarlo e ne resta incantato, al punto che quando fa rapporto alla società dice: “Magari tesserate solo lui, ma non bisogna farselo sfuggire“. Anni dopo, Bruno Giordano (che di Scarsella diventerà amico) paragonerà il sinistro di Maurizio Scarsella a quello di Sinisa Mihajovic: un paragone non certo da poco.

La Lazio si assicura Scarsella già nel 1973 quando il ragazzino frequenta ancora le scuole medie. I biancocelesti se lo coccolano, si rendono conto di essere di fronte ad un talento naturale come pochi altri e il piccolo calciatore si fa strada in tutto il settore giovanile, si irrobustisce fisicamente, affina le doti tecniche ed apprende la tattica, di solito un incubo per i ragazzi che pensano solo ad avere il pallone fra i piedi. Giunto alla Primavera, Scarsella vince la Coppa Italia di categoria nel 1979 e l’anno dopo, complice anche il Calcioscommesse che miete vittime nella prima squadra della Lazio, esordisce in serie A al Comunale di Torino in un Torino-Lazio 1-0. E’ il 4 maggio 1980 e la compagine romana sta per disputare le sue ultime gare in massima serie, prima della retrocessione in B proprio a causa del Totonero. Passa un’altra settimana e Scarsella gioca pure Lazio-Milan, in molti sono convinti che la Lazio abbia trovato un gioiellino da coltivare e far crescere in attesa di tempi migliori per una squadra destinata a ripartire dalla serie B. Resteranno, invece, quelle due le uniche presenze di Maurizio Scarsella in serie A.

Già in estate, infatti, il nuovo allenatore laziale Ilario Castagner non lo convoca per il ritiro pre campionato e lo fa retrocedere di nuovo nella squadra Primavera. Scarsella si lamenta, vorrebbe essere ceduto in prestito altrove, magari anche in categorie minori, ma ha bisogno di giocare e, soprattutto, di guadagnare, perché ciò che non tutti sanno è che il ragazzo ha entrambi i genitori che soffrono di patologie che non consentono loro di lavorare o, comunque, di lavorare con continuità e gli stipendi da calciatore di Maurizio Scarsella diventano così fondamentali nell’economia familiare e nella gestione delle cure di mamma e papà. Ma la Lazio non ci sente, gli nega il prestito, lo “incatena” a Formello ad allenarsi e a giocare con la Primavera, lo stipendio diventa un semplice rimborso spese, sufficiente appena a coprire qualche spesa più urgente. Nel frattempo, Scarsella si è trasformato da bambino a uomo, anche fisicamente, e la sua bellezza non passa inosservata fra le ragazze; chi lo conosce assicura che sotto casa abbia la fila di appassionate. Il giovane calciatore, insomma, di allenamenti inizia a farne anche a casa…

Nel 1981 la Lazio lo gira in prestito in serie C al Teramo: 15 presenze ed un gol, non abbastanza per tornare a Roma in pianta stabile. Scarsella inizia a vagabondare per l’Italia, sempre ceduto a titolo temporaneo: Varese, Reggiana, Messina, Puteolana, Frosinone, Lodigiani, Chieti, Foligno e Cuneo. Come per i marinai, Scarsella lascia più di una donna ad ogni porto, coltivando tale “passione” parallelamente a quella del calcio, anche se il treno della serie A è ormai passato da un pezzo e non si capisce cosa abbia tarpato le ali a quello che tutti definivano un talento fin da quando andava ancora a scuola. Quando ancora è a Pozzuoli a giocare nella Puteolana, Scarsella si divide fra il campo, i letti delle tante amanti e gli uffici della società che di punto in bianco comincia a non pagare più gli stipendi dei calciatori. E’ in questo periodo che chiama al telefono l’amico Bruno Giordano che lo accoglie in casa e gli consiglia di tornare a giocare vicino Roma, tanto che Scarsella firmerà prima col Frosinone e poi con la Lodigiani. Ed è anche in questo periodo che lo stesso Giordano conosce lo stile di vita dell’amico, di certo poco consono a quello di un atleta: donne come se piovesse, nottate fuori casa e rientri a giorno fatto. Ecco, forse, perché il treno del grande calcio è partito senza di lui.

Scarsella appende gli scarpini al chiodo nel 1990, al termine di una carriera che non ha rispettato per nulla le attese su di lui, anzi, è stata altamente al di sotto di esse. Tanti articoli scritti prima dell’esordio in serie A, pochissimi dopo, col talento a sgomitare in serie C e con l’unica apparizione in B col Messina quando anche uno solitamente rude come Franco Scoglio era rimasto a bocca aperta di fronte a cotanta qualità. Maurizio Scarsella non fa nemmeno in tempo a guardarsi indietro e decidere se rammaricarsi o essere comunque soddisfatto, che la vita gli si sbriciola fra le mani senza quasi farglielo capire. E’ l’inizio degli anni novanta, infatti, quando contrae l’AIDS, figlio di uno stile di vita sregolato e fuori controllo, nonché delle sue molteplici avventure fra le lenzuola, spesso e volentieri neanche protette dall’uso di contraccettivi. Accanto alla sua malattia cala un silenzio simile a quello che ne aveva accompagnato i suoi ultimi anni di carriera, forse il solo Bruno Giordano ne è a conoscenza e va a fargli visita regolarmente. L’ultima volta va a trovarlo il 23 settembre 1993, Scarsella quasi non parla ormai più, Giordano dirà a suo figlio: “Maurizio mi è sembrato un uomo di 150 anni su quel letto“.

Maurizio Scarsella muore tre giorni dopo, il 26 settembre 1993, ad appena 31 anni, a causa di quella malattia definita “la peste del 2000” e troppo spesso sottovalutata negli anni ottanta. Sui giornali esce forse qualche trafiletto, i più informati sono ovviamente gli organi di stampa vicini alla Lazio, ma la notizia ha comunque un risalto piuttosto basso. E’ forse la fotografia della vita di Scarsella su cui i riflettori degli stadi si sono spenti troppo presto, lasciandolo solo con la sua bellezza e le sue donne con cui si sentiva sicuro, illudendosi di essere diventato maturo e capace di gestirsi. Proprio da questo mondo, invece, il bambino prodigio della Lazio è stato distrutto.

di Marco Milan

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