Amarcord: Pierluigi Orlandini, l’incompreso genio del Golden-Gol

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Si può rimanere famosi solo per un gol, anche a fronte di una carriera comunque discreta? Se il gol è storico, unico e particolare, beh, probabilmente sì. Per ulteriori chiarimenti andate pure a chiedere a Pierluigi Orlandini, vi confermerà la storia che andiamo ora a raccontare.

Pierluigi Orlandini nasce in provincia di Bergamo, a San Giovanni Bianco, il 9 ottobre 1972 e fa parte di una delle tante nidiate di talenti del settore giovanile dell’Atalanta dove apprende tutto, o quasi, di come si giochi a calcio da professionista. Lui che, in fondo in fondo, il pallone lo ha sempre amato, fin da quando era un bambino e marinava la scuola per scappare all’oratorio; i preti chiudevano un occhio, gli altri ragazzi lo guardavano come si guardano i marziani, tanto era bravo. Ruolo di Orlandini: ala. Idolo: Roberto Donadoni, uno che proprio a Bergamo e con la maglia nerazzurra aveva spiccato il volo verso i successi e l’affermazione da fuoriclasse del ruolo qual era. Pierluigi Orlandini corre e sbuffa in allenamento, ha qualità e voglia di sfondare, nell’estate del 1990, subito dopo aver seguito i mondiali di calcio alla televisione, riceve la notizia che l’allenatore atalantino Frosio (che per combinazione si chiama Pierluigi proprio come lui) lo vuole portare in ritiro con la prima squadra. Se sarà solo un premio lo diranno i mesi, il campo e l’atteggiamento del ragazzino.

Orlandini prova a capire, chiede, si impegna, non fa mai tardi la sera e mangia bene, aspetto che lo staff tecnico tiene molto in considerazione vista la tendenza del ragazzo a mettere su chili. 20 gennaio 1991, ultima giornata del girone d’andata: al Comunale di Bergamo si affrontano Atalanta e Torino, è il giorno del ritorno a Bergamo di Emiliano Mondonico (tecnico granata ma grande ex amatissimo) in una gara che deciderà un altro ex, Giorgio Bresciani, giustiziere della sua vecchia Atalanta. Passa così inosservato l’esordio in serie A di quel diciottenne, Pierluigi Orlandini, che corona il suo sogno di bambino calcando per la prima volta i campi della serie A. Il tornante bergamasco collezionerà altre 4 apparizioni nella stagione 1990-91 e verrà riconfermato in organico anche per l’anno successivo quando in panchina c’è già da un po’ un altro allenatore, Bruno Giorgi. Campionato 1991-92: 9 presenze ed altra esperienza buttata in cascina, tanto più che Orlandini viene notato pure dai selezionatori delle nazionali giovanili ed incomincia ad essere convocato con l’Under 21 allenata da Cesare Maldini.

Nell’estate del 1992 l’Atalanta lo cede in prestito al Lecce in serie B dove potrà farsi le ossa e giocare da titolare. L’annata è esaltante, i pugliesi di Bruno Bolchi giocano bene e stazionano per quasi l’intero campionato nelle prime posizioni della classifica fino a raggiungere a giugno del 1993 la promozione in serie A. Orlandini gioca 29 partite e segna pure 3 gol, tanto basta per tornare a Bergamo e partire alla pari degli altri alla vigilia della stagione 1993-94 che sarà pessima per l’Atalanta ma eccitante per lui. Il cammino in serie A dei lombardi è infatti decisamente negativo e la squadra non eviterà la caduta in B, ma Orlandini sarà uno dei pochi a salvarsi in un’annata grigia: 5 reti in 23 partite, primo centro in serie A il 5 dicembre 1993 nell’1-1 fra Atalanta e Lazio. L’ala atalantina interpreta benissimo il suo ruolo, è bravo col pallone fra i piedi, è uno dei pochi ad essere risparmiato dalla contestazione di un pubblico inferocito con una squadra che soltanto l’anno prima aveva sfiorato l’ingresso in Coppa Uefa.

Ma il bello per Pierluigi Orlandini deve ancora materializzarsi ed avviene, inaspettato, il 20 aprile 1994 quando è in Francia a Montpellier dove si gioca la finale del campionato europeo Under 21 tra Italia e Portogallo. E’ la prima volta in cui si sperimenta l’innovazione (pessima, a dire la verità) del golden gol, ovvero se si arriva ai tempi supplementari, chi segna ha vinto, a prescindere dal minuto. La gara è tirata, si va proprio ai supplementari, subito dopo che Orlandini ha preso il posto di Filippo Inzaghi. Passano 8 minuti scarsi dall’inizio dei tempi supplementari, il tornante dell’Atalanta prende palla nella metà campo portoghese, spostato sulla destra, si accentra e all’improvviso lascia partire un fendente di sinistro che si infila all’incrocio dei pali: l’Italia è in vantaggio, anzi no, l’Italia ha vinto partita ed Europei perché c’è il golden gol e Pierluigi Orlandini verrà per sempre ricordato come l’uomo del primo golden gol, come colui che ha regalato agli azzurrini il titolo tirando fuori quel colpo a sorpresa dal cilindro, un jolly che gli verrà stampato sulla pelle come un marchio indelebile, lui non sarà più Pierluigi Orlandini il calciatore, ma Pierluigi Orlandini quello del gol partita con l’Under 21.

Naturalmente, tutto ciò il giovane esterno atalantino non lo sa ancora, come ancora non sa che l’Inter fa carte false per lui e tratta già con l’Atalanta per portarlo a Milano nell’estate del 1994 su precisa indicazione di Ottavio Bianchi che è ormai in procinto di firmare per sedersi l’anno dopo sulla panchina interista. Da nerazzurro a nerazzurro, dunque, sembra cambiare poco ma per Orlandini cambia tutto: Milano, l’Inter, un ambiente totalmente diverso da Bergamo, una piazza che a malapena si accorge di lui, anche se il suo nome e la sua faccia ormai in Italia li conoscono quasi tutti. Il cartellino costa poco meno di 5 miliardi di lire, Orlandini parte come riserva ma si pone l’obiettivo di entrare a far parte dei 13-14 titolari del gruppo. Nella prima stagione all’Inter segna 4 gol, tutti nel girone di ritorno: il primo su rigore e vale il successo per 2-1 contro il Torino al 90′, il secondo a Firenze, il terzo a Napoli e il quarto al Padova a San Siro nell’ultima giornata ed è la rete che dà al via alla rimonta poi completata dal gol di Delvecchio in pieno recupero e che per i nerazzurri vale l’accesso in Coppa Uefa. Inoltre, Orlandini si toglie pure la soddisfazione di segnare 2 gol contro il Milan, uno all’andata e uno al ritorno, nel doppio 2-1 con cui l’Inter elimina i rossoneri dalla Coppa Italia.

Una stagione assai positiva per uno dei talenti più promettenti d’Italia, dunque, e l’Inter se lo tiene ben stretto, anche perché Ottavio Bianchi se lo coccola come un figlio. Peccato, però, che il tecnico venga esonerato dopo poche partite nella stagione 1995-96 in cui i nerazzurri partono male e vengono pure sbattuti fuori dalla Coppa Uefa al primo turno per mano dei modesti svizzeri del Lugano. Dopo il breve interregno di Suarez arriva l’inglese Hodgson e per Orlandini le porte del campo si chiudono, o quasi, e le presenze si assottigliano. Nessun gol e l’inevitabile cessione in estate quando lo prende il neo promosso Verona su precisa indicazione dell’allenatore, Luigi Cagni. In un’annata più o meno disastrosa per gli scaligeri (penultimi per quasi l’intero campionato e retrocessi con diverse domeniche di anticipo rispetto alla fine del torneo) Orlandini è uno dei pochi a salvarsi, segna 6 gol in 30 partite, uno bellissimo contro il Milan al termine di una volata partita da metà campo, spera addirittura nella convocazione in Nazionale quando a dicembre del 1996 Arrigo Sacchi lascia la panchina azzurra per tornare al Milan dopo l’esonero di Tabarez e la Federazione promuove Cesare Maldini dall’Under 21.

Orlandini spera nella convocazione, ma alla fine l’azzurro dei grandi resta solo un sogno. Intanto il Verona retrocede mestamente, ma l’ex interista ha mercato, lo acquista il Parma e non è un Parma qualsiasi, è il Parma di Ancelotti che lotta per lo scudetto e che gioca pure la Coppa dei Campioni. Orlandini non sarà titolare, lo sa, ma il tecnico emiliano lo tiene parecchio in considerazione. A fine anno le presenze sono 21 fra campionato e coppe, con annessa conferma per la stagione successiva quando ad Ancelotti subentra Alberto Malesani. I gettoni si riducono (appena 11 apparizioni in campionato), ma Pierluigi Orlandini può fregiarsi dei suoi primi trofei con squadre di club: a fine anno, infatti, il Parma conquista Coppa Uefa e Coppa Italia, un bottino non certo da poco. Ma l’ex atalantino capisce che in Emilia gli spazi si sono ormai chiusi, nell’estate del 1999 lo acquista a titolo definitivo il Milan campione d’Italia, Orlandini quasi non ci crede, ma all’allenatore Alberto Zaccheroni piace l’idea di avere in rosa un calciatore con le caratteristiche del tornante bergamasco, ottimo nel 3-4-3 utilizzato dalla formazione milanista. Sin da subito, però, si capisce che per Orlandini gli spazi a Milano sono ancora meno rispetto a Parma, anche perché spesso e volentieri Zaccheroni gioca col fantasista dietro alle due punte e possibilità di schierare ali ce ne sono sempre pochissime.

Il 7 novembre 1999, tuttavia, Orlandini torna al gol in serie A siglando una delle reti con cui il Milan batte a San Siro il Venezia per 3-0: Shevchenko calcia un rigore che il portiere respinge, la palla arriva ad Orlandini che la inchioda di sinistro sotto la traversa. Dopo 2 presenze e quel gol, comunque, il calciatore fa le valigie e a gennaio del 2000 si trasferisce proprio al Venezia dove colleziona 10 presenze ed una rete, l’ultima della sua carriera in serie A (il 13 febbraio 2000 al Penzo contro il Cagliari), anche se non riesce ad evitare la retrocessione dei veneti in serie B. La carriera di Pierluigi Orlandini termina in pratica qui, perché dopo un brevissimo passaggio a Brescia nella stagione 2000-01 (appena 4 presenze), torna a Bergamo e gioca la sua ultima annata in serie A con la maglia dell’Atalanta, forse per chiudere inconsciamente un ciclo aperto circa dieci anni prima. Esperienza tutt’altro che felice nonostante la salvezza dei bergamaschi, Orlandini colleziona appena 4 apparizioni e a 30 anni lascia la serie A per chiudere la sua vita sportiva in C2 al Brindisi, nei dilettanti a Nardò e poi in campionati regionali lombardi fino al 2007.

Una carriera discreta, si diceva all’inizio, che forse poteva essere migliore, soprattutto perché in alcune circostanze (vedi le difficoltà avute nella seconda stagione all’Inter) Orlandini si è chiuso in sé stesso ed ha reagito con il silenzio alle panchine, con un atteggiamento chiuso all’indifferenza degli allenatori. Una carriera fatta di alti e bassi ed inevitabilmente legata a quel gol con la nazionale Under 21, uno dei più belli della categoria, di certo quello che ancora oggi fa esclamare: “Ah, Orlandini, quello del golden gol!”.

di Marco Milan

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