Amarcord: l’esordio della Cina ai mondiali

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Che il calcio sia lo sport più bello del mondo, ma anche il più curioso, lo testimonia anche la particolarità che le due potenze più grandi del mondo per demografia, economia, ma anche nello sport, ovvero Stati Uniti e Cina, col pallone fra i piedi abbiano sempre combinato poco e niente. Per la nazionale cinese, poi, l’unica pagina degna di nota è stata la partecipazione ai mondiali del 2002, il solo raggio di sole in una storia totalmente buia.

Quando la FIFA assegna la fase finale della coppa del mondo 2002 a Giappone e Corea del Sud, la notizia fa felice tutta l’Asia che per la prima volta avrà l’onore di organizzare i mondiali di calcio, ma allo stesso tempo mette in difficoltà le nazionali che dovranno provare a qualificarsi, perché con 4 posti totali a disposizione, 2 sono già occupati dai paesi ospitanti e solamente altri 2 saranno a disposizione di chi vorrà centrare il passaggio del turno. Lo sa bene anche la Cina che finora mai è riuscita a raggiungere la fase finale, nonostante un miliardo di popolazione e tanti soldi spesi dalla federazione che ha nel calcio uno dei pochi sport in cui i cinesi proprio non riescono ad ottenere buoni risultati. Il presidente della federazione, Nan Yung, alle soglie del 2000 contatta vari commissari tecnici, fra cui il serbo Bora Milutinovic che ha 55 anni e all’attivo la conduzione di 4 nazionali ai mondiali (Messico nel 1986, Costa Rica nel 1990, Stati Uniti nel 1994 e Nigeria nel 1998) con le quali, peraltro, ha sempre centrato la qualificazione agli ottavi di finale. E’ il tecnico perfetto e, nonostante non sia l’unico nel casting cinese, alla fine la spunta lui che avrà il difficile compito di trainare per la prima volta la Cina alla fase finale dei mondiali.

Quando Milutinovic si insedia a Pechino, in conferenza stampa gli chiedono: “Quante possibilità ha la nazionale di andare in Corea e Giappone?”, e lui risponde candidamente: “A mio avviso ci sono almeno 10 squadre migliori della nostra, ma sono convinto che avremo lo stesso buone possibilità di qualificarci“. L’allenatore slavo sa il fatto suo, ma deve imparare in fretta a conoscere un mondo completamente diverso da quello americano e da quello europeo, perché in Cina la cultura calcistica non c’è, del resto il professionismo esiste solo dal 1994 quando venne istituito il campionato nazionale, e l’unica volta che i cinesi hanno sfiorato la qualificazione ai mondiali è stato per Spagna ’82 quando persero lo spareggio con la Nuova Zelanda. Anche i calciatori sono seri, lavorano sodo, ma non ridono mai, sembra che operino in fabbrica e non su un campo di calcio; allora Milutinovic prova a trovare un compromesso: lavorate allo stesso modo ma apprezzando ciò che fate. E il colpo gli riesce perché già dalle prime uscite la nazionale (detta Guòzù) sembra far meglio rispetto al passato, anche perché il nuovo commissario tecnico è pure una vecchia volpe a livello tattico e cerca di coprire il più possibile l’inesperienza dei suoi. Un’altra strategia ordita da Milutinovic è quella di inserire moltissime amichevoli prima dell’inizio delle qualificazioni mondiali, cercando nazionali di livello progressivamente crescente, in modo da preparare la sua squadra con costanza.

I giocatori a disposizione del tecnico serbo hanno pochissima esperienza internazionale, a parte Sun Jihai e Fan Zhiyi che sono due difensori con un breve passato in Inghilterra, l’attaccante Chen Yang che ha militato in Germania ed il centrocampista e capitano Ma Ming-Yu che è passato per l’Italia nel 2000 quando fu acquistato dal Perugia di Gaucci senza però mai giocare. In meno di un anno la Cina gioca quasi 30 amichevoli e in più disputa un’ottima Coppa d’Asia in Libano dove viene eliminata solo in semifinale dal Giappone. Alla vigilia delle qualificazioni, dunque, Milutinovic è discretamente ottimista, al punto che annuncia che se la Cina fallirà l’approdo ai mondiali, lui si getterà dalla Grande Muraglia. In cuor suo, il commissario tecnico vuole solo caricare il paese intero, fargli sentire un po’ più di amore, di passione e di trasporto verso il calcio, perché è convinto che una nazione come quella cinese possa supportare meglio di altri la nazionale, andando anche oltre qualche evidente lacuna tecnica e tattica dei suoi giocatori a cui, però, tutto si può imputare fuorché l’impegno, la dedizione ed il sacrificio. Quando iniziano le qualificazioni, dunque, la Cina si candida come possibile rivelazione, dando l’assalto a quel posto che alla casella “partecipazioni” vede ancora lo zero accanto alla bandiera rossa a stelle gialle.

Il primo girone di qualificazione è semplice, anche più del dovuto: la Cina si sbarazza agevolmente di Indonesia, Maldive e Cambogia, vincendo tutte e 6 le partite e divertendo anche il pubblico di Sian con il 10-1 rifilato alle Maldive il 22 aprile 2001. Più duro sarà, però, passare il secondo raggruppamento, quello decisivo, quello che consegna il lasciapassare per Giappone&Corea 2002. Le avversarie sono Emirati Arabi, Qatar, Uzbekistan ed Oman, una sola si qualifica per la fase finale; il rivale più accreditato per i cinesi sembra essere la nazionale degli Emirati Arabi che ha peraltro già partecipato ai mondiali nel 1990 in Italia. Ma il 25 agosto 2001 la Cina supera 3-0 in casa proprio gli Emirati e mette il primo importante tassello verso il suo sogno, poi sei giorni dopo vince anche in Oman (2-0), per poi pareggiare in Qatar e battere l’Uzbekistan 2-0. L’impressione è che la nazionale di Milutinovic abbia realmente ottime possibilità di qualificarsi, soprattutto perché, al netto di qualche evidente mancanza, non sembra che le rivali siano tanto migliori. La gara della svolta è quella del 27 settembre 2001 ad Abu Dhabi quando i cinesi vincono 1-0 in casa degli Emirati Arabi e stampano il colpo probabilmente decisivo per la qualificazione; a quel punto manca solo il sigillo della matematica che giunge il 7 ottobre quando la squadra asiatica si impone per 1-0 sull’Oman e stacca il biglietto per la sua prima, storica partecipazione ai mondiali. E, in barba al disinteresse per il calcio, quel giorno gli uffici chiudono con mezza giornata di anticipo per permettere alla gente di correre a casa a guardarsi la partita; alla fine gli spettatori saranno 600.000 mila, più del doppio del Super Bowl.

La Cina è ai mondiali, Bora Milutinovic viene portato in trionfo, è di nuovo l’eroe dei due mondi, colui che ovunque vada riesce a ricavare e ad ottenere il massimo. Ora l’intera nazione gli chiede un’altra impresa, forse il miracolo: portare la nazionale agli ottavi di finale. E quando a dicembre 2001 vengono sorteggiati i gironi, l’impresa non sembra neanche così proibitiva: la Cina è inserita nel gruppo C assieme al Brasile, alla Turchia e al Costa Rica, insomma poteva probabilmente andar peggio. L’euforia generale contagia tutti nell’immensa area asiatica che è la Cina, c’è addirittura chi è convinto che la nazionale vincerà la coppa del mondo, anche perché in generale nel paese c’è poca conoscenza circa la reale differenza fra la compagine cinese e le altre. E’ un vulcano di eccitazione la nazione, tanto che a pochi giorni dal debutto mondiale, i calciatori più rappresentativi della nazionale emettono un comunicato pubblico in cui pregano la gente di non aspettarsi troppo dal loro rendimento. Milutinovic approva, capisce che attorno alla sua squadra si sta creando un’atmosfera di attese troppo elevate e che la dimensione della Cina è ancora troppo inferiore alle rivali, già esserci a quei mondiali è un risultato incredibile, oltre le aspettative, e l’ipotesi più realistica è che i suoi ragazzi puntino ad ottenere almeno un punto nelle tre partite del girone, magari addirittura una vittoria. Sarebbe il massimo, nonostante il clima euforico del paese.

L’esordio assoluto della Cina ai mondiali avviene il 4 giugno 2002 nella città coreana di Gwangju contro il Costa Rica, la vecchia squadra di Milutinovic che ha come allenatore Alexandre Guimaraes che a Italia ’90 giocava proprio nella nazionale allenata dal serbo. I cinesi tengono discretamente il campo per oltre un’ora, sanno che quella è forse la partita più indicata delle tre per portare a casa punti, ma fra il 65′ ed il 70′ subiscono due reti e soccombono per 2-0. I media di Pechino e dintorni sono delusi, non capiscono come una nazionale che rappresenta un popolo di 3 milioni di abitanti possa averne sconfitto una che ne ha oltre un miliardo. Milutinovic, invece, lo capisce benissimo: in Costa Rica c’è tradizione ed esperienza calcistica che in Cina invece non c’è ed il risultato e soprattutto il modo in cui è arrivato è una conseguenza quasi logica di tutto ciò. L’8 giugno è in programma Brasile-Cina, sempre in Corea del Sud, stavolta a Seogwipo. E’ la partita più importante nella storia del calcio cinese, ma certamente anche la più difficile: i brasiliani, che hanno sconfitto 2-1 la Turchia nella prima gara, sono ovviamente tra le favorite dell’intera manifestazione e poco gli interessa del desiderio di emergere dei cinesi. Dopo i primi 45 minuti, infatti, il Brasile è già sul 3-0 grazie alle reti di Roberto Carlos, Rivaldo e Ronaldinho. La differenza tra le due compagini è abnorme, i sudamericani nel secondo tempo tirano il freno a mano e giocano al piccolo trotto, raccogliendo anche il 4-0 con Ronaldo.

Dopo due giornate, la situazione della Cina è già compromessa con due sconfitte in altrettante gare ed una pallidissima speranza di qualificazione in caso di successo sulla Turchia nell’ultimo turno e concomitante ko del Costa Rica contro il Brasile. Il 13 giugno a Seul va in scena dunque Cina-Turchia, ma i residui sogni cinesi sbattono immediatamente contro la solida Turchia (che a fine torneo arriverà terza) che dopo appena 9 minuti vince già 2-0; la gara si trascina via stancamente fino all’84’ quando i turchi trovano pure il 3-0 con cui si conclude partita e avventura della Cina ai mondiali. La classifica finale recita: Brasile 9, Turchia e Costa Rica 4, Cina 0; brasiliani e turchi si qualificano per gli ottavi, la Cina torna a casa con zero punti, nessun gol fatto e ben 9 subiti, anche peggio delle più torbide aspettative. Milutinovic ci rimane male, non tanto per l’eliminazione, quanto per i due zero, perché la sua squadra per impegno e sacrificio avrebbe meritato almeno un punto, anche solo un gol. Se la cava, come al solito, con una battuta il serbo: “Prima dell’inizio dei mondiali – dice ai giornalisti – avevo espresso il desiderio che la mia squadra segnasse gli stessi gol della Francia e ci ho indovinato“. I campioni in carica transalpini, infatti, chiudono clamorosamente il loro girone con 1 punto e nessuna rete all’attivo.

La Cina, da quell’ormai lontano 2002, non si è più qualificata per la fase finale dei mondiali, nonostante da allora il campionato sia cresciuto di livello ed abbia annoverato tra le sue fila allenatori e calciatori di primissimo piano. Tanto, però, non è bastato per riportare la nazionale a giocare la coppa del mondo, perché esperienza e cultura non si comprano né al mercato e né nelle leghe europee del calcio. Tutti motivi che rendono ancora più speciale ed indimenticabile quell’avventura della Cina di Milutinovic che per la prima ed unica volta si è affacciò nel grande mondo del calcio che conta.

di Marco Milan

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