Amarcord: Joachim Fernandez, la solitudine degli ultimi

0 0
Read Time16 Minute, 33 Second

C’è un film del 1983 che si chiama Un Povero Ricco, ha come protagonista Renato Pozzetto che è un industriale ossessionato dalla paura di finire sul lastrico e che si allena a vivere in strada come un vagabondo per capire cosa si provi e farsi trovare così pronto nel malaugurato caso in cui ciò si verifichi effettivamente. E’ un film che appartiene al classico filone all’italiana degli anni ottanta, leggero, abile a strappare più di una risata. C’è assai poco da ridere, invece, nella simile, non voluta e purtroppo realistica storia di Joachim Fernandez, uno che povero lo è diventato davvero.

Joachim Fernandez nasce in Senegal, a Ziguinchor, il 6 dicembre 1972, da famiglia povera e numerosa. La sua città, 150 mila abitanti circa, diventerà nel tempo un importante snodo portuale africano, ma negli anni settanta è semplicemente una delle tante zone aride, polverose e misere del continente nero, a cui neanche la (inesistente o quasi) brezza marina ristora le afose giornate. Per chi ha pochi soldi non c’è molta speranza per una vita felice, a meno che non si investano i risparmi in un viaggio verso l’Europa, soprattutto in Francia dove la lingua è la stessa e la colonia senegalese è una delle principali, un po’ come quella turca in Germania. La famiglia Fernandez può permettersi un solo viaggio verso la Francia e lo utilizza per Joachim che appena adolescente viene spedito a Bordeaux a casa degli zii. L’impatto è forte, la vita e le abitudini completamente diverse, i ritmi forsennati, le strade piene e rumorose, la gente che si spintona per salire sugli autobus, la scuola organizzata con classi in cui regna il silenzio e in cui spesso fa freddo, condizione del tutto nuova per il piccolo Joachim, abituato al caldo torrido del Senegal. E poi c’è il pallone, perché Joachim Fernandez si accorge fin da subito di nutrire una passione sconfinata per quell’oggetto sferico che i suoi piedi fanno muovere con grazia. E che sia bravo lo capiscono anche i compagni e primi osservatori degli oratori in cui gioca questo spilungone magro e dalle lunghe leve: “Ci sa proprio fare“, si dicono sottovoce, attoniti ed affascinati, tutti coloro che lo ammirano mentre sgambetta sul campo come una gazzella.

Ben presto uno dei responsabili del settore giovanile del Bordeaux va a vedere questo ragazzone alto 1 metro e 80, taciturno, silenzioso ma terribilmente efficace col pallone fra i piedi. L’allenatore dei ragazzini del Bordeaux lo piazza in difesa, con quella stazza e migliorando fisico e peculiarità tattiche può trasformarsi in un ottimo marcatore, a pensarci oggi verrebbe da dire sul modello di Lilian Thuram. E’ il 1993 quando il Bordeaux spedisce Fernandez a fare esperienza a Sedan, in serie B. Il ragazzo senegalese si ambienta benissimo nello spogliatoio, anche se soffre terribilmente il clima rigido della città, scopre, suo malgrado, pure la neve che per gli altri è un divertimento, ma per lui una sofferenza; i compagni lo ricordano prendere timidamente in mano qualche palla di neve, salvo poi scagliarla immediatamente a terra e soffiarsi freneticamente sulle mani per riscaldarle. Un freddo con cui, purtroppo, Fernandez dovrà fare ancora molti conti. Una stagione a Sedan, 37 presenze ed un gol, poi ancora in prestito in seconda divisione, stavolta all’Angers, dove colleziona altre 27 presenze ed un’altra rete. E’ l’estate del 1995, di esperienza ne ha fatta abbastanza ed è ora il momento di tornare a Bordeaux, stavolta per confrontarsi coi grandi e, soprattutto, col calcio dei grandi, anche perché il club crede molto nelle sue qualità, lo ha seguito nei due anni in serie B e ne ha apprezzato serietà e voglia di imparare, oltre ad aver valutato positivamente i miglioramenti tecnici e tattici.

Il Bordeaux 1995-96 è una delle squadre più interessanti del calcio francese: in squadra c’è un talento purissimo come Zinedine Zidane, ma anche gente come Lizarazu e Dugarry che diventeranno colonne della nazionale transalpina campione del mondo poco più di due anni dopo. L’allenatore è il serbo Slavo Muslin, mentre Fernandez viene aggregato inizialmente alle riserve dove sembra che Muslin non posi mai i suoi occhi. Il difensore senegalese inizia a seccarsi, ogni tanto il tecnico lo chiama e gli fa guardare gli allenamenti della prima squadra. “Mister, scusi, ma quando potrò almeno partecipare?“, chiede timidamente Fernandez. “Arriverà anche il tuo momento, ragazzo“, gli risponde seccamente Muslin. Fernandez intanto si gode le prodezze di Zidane in allenamento ed assiste a colpi che mai si sarebbe sognato di vedere, il fantasista accarezza la palla con la suola, la fa viaggiare toccandola ad ogni passo, tiene la testa alta e quando si libera della sfera sembra calciarla con dolcezza, quasi a lasciarla andare con dispiacere dopo averla coccolata. Sarebbe un onore poter scambiare palla con lui, pensa Fernandez, che continua a guardarsi gli allenamenti da bordocampo, avvolto in enormi giacconi con tanto di cappuccio. Fino agli inizi di novembre, quando un’improvvisa defezione generale in difesa costringe Muslin ad attingere alle riserve per la gara contro il Lens. A Fernandez non sembra vera la prima e tanto sospirata convocazione, che va anche oltre le sue aspettative poiché l’allenatore non solo lo porta con sé ma gli dà anche una maglia da titolare.

E’ l’8 novembre 1995 e per Joachim Fernandez il sogno si avvera. Gioca con piglio e sicurezza, senza strafare, proprio come gli hanno insegnato nei due anni di prestito in seconda divisione. La partita termina 0-0 e per lui ci sono solo complimenti, tanto dalla squadra quanto sui giornali dove qualcuno si azzarda a paragonarlo a Zidane: “Il Bordeaux sforna talenti a non finire“, scrivono le testate francesi il giorno dopo. Il campionato del Bordeaux è però altamente sotto le aspettative e la formazione di Muslin riuscirà appena a raggiungere la salvezza, facendo però molta strada in Coppa Uefa, competizione forse più adatta a sprigionare il talento dei gioielli della squadra. Agli ottavi di finale i francesi incontrano gli spagnoli del Betis Siviglia e vincono per 2-0 all’andata; per la sfida di ritorno il tecnico del Bordeaux si affida a Fernandez e lo spedisce nuovamente in campo dal primo minuto. Prima della gara, alcuni cronisti intercettano il difensore e gli chiedono: “Non hai paura di debuttare in Europa?”. Lui risponde con candore: “Loro hanno le magliette, noi abbiamo le magliette. Loro hanno le scarpe, noi abbiamo le scarpe. Perché aver paura?“. E’ una dichiarazione meno banale di quanto sembri e denota serenità, forse incoscienza, ma anche una buona dote di carattere in quel ragazzo gentile, educato ma assai determinato. Fernandez gioca benissimo quella che diventa a tutti gli effetti una battaglia: il Betis segna e va all’assalto, il Bordeaux resiste, rintuzza gli attacchi, alla fine strappa la qualificazione e Fernandez si becca pure un cartellino giallo. Biglietto staccato per i quarti di finale, prossima fermata: Milan.

Il Milan, un altro sogno, una delle migliori squadre d’Europa, completa in ogni reparto ed allenata da Fabio Capello, uno che solo a sentire il nome fa venire i brividi. E i brividi vengono pure al Bordeaux che nella gara di andata a San Siro se ne esce con uno 0-2 sul groppone che non lascia ben sperare per il ritorno. E’ il 19 marzo 1996, in panchina non c’è più Muslin, sostituito da Rohr, ma soprattutto in campo sembrano esserci un altro Bordeaux e un altro Milan: i transalpini pareggiano i conti con l’andata portandosi sul 2-0, i rossoneri appaiono in palese difficoltà, fanno fatica a reagire e sembrano sul punto di crollare; la spinta decisiva la dà loro Dugarry che insacca il 3-0 e porta il Bordeaux ad un soffio dalla pazzesca rimonta e, soprattutto, dalla semifinale. A pochi minuti dal termine, Rohr manda Fernandez a scaldarsi, poi lo butta nella mischia per gli ultimi 5 minuti di fuoco in cui il Milan attacca a spron battuto e il Bordeaux serra le fila per portare a casa la qualificazione. “Attento a Weah“, gli dice l’allenatore prima di spedirlo in campo. Capirai, Weah, proprio lui, George Weah, che in Francia ha giocato per anni ed è un idolo quasi assoluto! Ma Fernandez non si lascia intimidire dal gigante liberiano, combatte, un paio di volte spara la palla in tribuna, poi festeggia insieme agli altri al fischio finale dell’arbitro: il Bordeaux è in semifinale dopo aver battuto il grande Milan di Capello, un’euforia che nella città francese si vivrà ancora per giorni. La squadra arriverà sino alla finale Uefa, poi persa col Bayern Monaco, anche se Fernandez non scenderà più in campo, collezionando comunque 8 presenze totali fra campionato e coppa.

A sorpresa, però, il Bordeaux lo vende, decidendo di far cassa con tutti i suoi talenti: Zidane finisce alla Juventus, Dugarry proprio al Milan, Lizarazu all’Athletic Bilbao, Fernandez resta in Francia e va al Caen dove l’obiettivo è salvarsi. Il senegalese fa coppia in difesa con Gallas, ma spesso il tecnico lo utilizza anche a centrocampo in un ruolo inedito che comunque Fernandez svolge discretamente; a fine anno la squadra retrocede, ma l’ex calciatore del Bordeaux riesce a ritagliarsi il suo spazio collezionando 26 gettoni di presenza e segnando pure un gol. Ma la retrocessione del Caen non è il solo cruccio della stagione per il giocatore africano, alle prese pure con una crisi matrimoniale che inizia a farsi largo in un rapporto che non sembra più lo stesso. La moglie è incinta, ma non basta a rinsaldare un’unione in declino; la coppia non si confronta, Fernandez è poco avvezzo al dialogo, è silenzioso, spesso malinconico e chiuso in sé stesso. Soltanto in campo riesce a tirar fuori la personalità ed è stimato da allenatore e compagni, tanto che di lui si accorgono i dirigenti dell’Udinese, un club che negli anni novanta sa scovare come pochi altri i talenti in giro per il mondo, acquistandoli a prezzi bassissimi, valorizzandoli e rivendendoli qualche anno dopo a cifre da capogiro. Inutile fare nomi, da Amoroso a Jorgensen, da Helveg a Bierhoff, calciatori arrivati a Udine da perfetti sconosciuti o quasi e finiti per diventare pezzi pregiatissimi del calciomercato. E se stavolta fosse il turno anche di Joachim Fernandez?

Il senegalese sbarca in Italia nell’estate del 1997, è l’Udinese di Alberto Zaccheroni, quella che porterà Oliver Bierhoff sul trono dei cannonieri con 27 reti e la squadra al terzo posto in classifica, ad oggi il miglior risultato dei friulani in serie A. Fernandez ce la mette tutta, innanzitutto ad imparare l’italiano, poi a capire le metodologie di allenamento e le indicazioni tattiche di Zaccheroni che ha nel 3-4-3 il suo mantra calcistico. Non è facile, ma il ragazzo ha ormai esperienza e maturità per confrontarsi con quello che è in quel periodo il calcio più completo d’Europa; a 25 anni Fernandez può dire la sua in Italia e l’Udinese sembra il posto giusto al momento giusto. Diventerà invece la tappa fondamentale della sua carriera e della sua vita, ma in negativo. Il 31 agosto 1997 si gioca Udinese-Fiorentina, prima giornata di campionato; i friulani giocano bene e all’80’ sono in vantaggio per 2-1, sembrano stanchi e la Fiorentina attacca alla ricerca del pareggio. Al minuto 82 Zaccheroni richiama in panchina un attaccante, Paolo Poggi, ed inserisce proprio Joachim Fernandez a far da diga in difesa, quasi come in quel celebre Bordeaux-Milan. Stavolta, però, al senegalese le cose vanno male, anzi, malissimo: il difensore appare spaesato e sfortuna vuole che di fronte a lui ci sia Gabriel Batistuta a cui basta un centimetro libero per colpire. Il centravanti argentino non ha pietà di Fernandez, approfitta dell’indecisione del difensore africano e segna due volte, all’89’ e al 90′ in rovesciata, uno dei gol più belli del campionato e dell’intera carriera del bomber sudamericano. L’Udinese passa in un minuto dal 2-1 al 2-3, Fernandez non è certo l’unico responsabile della sconfitta, ma è evidente a tutti (e in primis a Zaccheroni) che gli manchi ancora qualcosa per affermarsi. Peccato, però, che da allora il senegalese non veda mai più il campo, l’allenatore trova la quadra, l’amalgama giusto col suo gruppo, i friulani iniziano a marciare spediti e per Fernandez non rimangono neanche le briciole, tanto che nel mercato autunnale l’Udinese, grazie anche alla mediazione del Milan che coi bianconeri sta già trattando in segreto l’arrivo di Zaccheroni, Bierhoff ed Helveg, lo cede in serie B al Monza.

In Lombardia Fernandez non gioca mai, nonostante i brianzoli cambino ben tre allenatori (Radice, Bolchi e Frosio), ma per il difensore non c’è spazio. In più, oltre al declino professionale, ecco anche quello sentimentale: sua moglie lo pianta in asso da un giorno all’altro, portandosi via suo figlio e lasciandolo solo in una casa vuota, in una città che non conosce e con un lavoro che non gli concede più occasioni. Monza non gli piace, c’è troppa nebbia e non ha nessun amico, tuttavia non può far altro che restare e provare ad ogni costo ad avere una possibilità per rilanciarsi. La stagione 1997-98 scorre via e per Fernandez non ci sono più presenze da segnalare, solo qualche panchina e tanta tribuna, oltre ad una malinconia che lentamente si fa largo nella sua anima; il calciatore passa le serate a guardare il buio fuori dalla finestra e ricordando la pesca in Senegal da ragazzino e gli anni spensierati da promessa del calcio in Francia, quando tutti avevano una buona parola per lui e quando anche con sua moglie il rapporto era felice. Nell’estate del 1998 a Monza in panchina resta Frosio, ma stavolta Fernandez è più considerato dal tecnico; nulla di speciale, per carità, ma l’attenzione dell’allenatore verso il difensore africano sembra più marcata, anche perché nel frattempo Fernandez ha acquisito un po’ di malizia nella concezione del difficile calcio italiano. Il campionato 1998-99 termina con un’altra salvezza per il Monza, ma per Joachim Fernandez ci sarà comunque poca gloria: appena 5 presenze fra serie B e Coppa Italia, nessuna dal primo minuto, e la cessione già a gennaio quando il Monza lo gira al Milan che a sua volta lo rispedisce in Francia.

Fernandez strappa un contratto col Tolosa, ma appare sempre più introverso e malinconico, gli mancano moglie e figlio (che non sente quasi mai) e non riesce a dare il meglio neanche in campo dove le premesse di inizio carriera stanno ormai definitivamente naufragando verso un oblio calcistico senza ritorno. A Tolosa gioca una partita soltanto e nell’estate del 1999 ha già rifatto le valigie per volare in Scozia dove lo acquista il Dundee; una fuga dettata anche dallo sgretolarsi del rapporto con la moglie che gli dice chiaro e tondo che di lui non vuole più saperne nulla. La Scozia è accogliente, ma la vita di Fernandez è sempre più solitaria e anche in campo il sereno non torna: col Dundee colleziona 6 presenze senza lasciare il segno e al termine della stagione 1999-2000 lascia pure il Regno Unito e rimane senza squadra. Nell’estate del 2000, senza saper neanche lui perché, accetta di trasferirsi in Indonesia e va a giocare con la squadra del Persema Malang, senza conoscere una parola di indonesiano, senza conoscere quel calcio. Riceve uno stipendio discreto e dopo tanti anni ritrova un clima caldo, anche se il campionato indonesiano è davvero ai limiti del dilettantismo. Fernandez è ormai scarico mentalmente e fisicamente, tira calci controvoglia in mezzo alla mediocrità di un calcio allestito alla buona, con spettatori che ridono in tribuna e gente intorno che parla senza che lui capisca nulla. Dopo una manciata di partite ed un gol che non entusiasma nessuno, a partire dal lui stesso, Fernandez si fa male ad un ginocchio, torna in Europa a farsi curare e non mette più piede in Indonesia, chiudendo col calcio giocato fra l’indifferenza di tutti.

Quel che accade dopo è alquanto misterioso, non si sa come e perché, non si sa neanche in quanto tempo, fatto sta che Joachim Fernandez si ritrova senza soldi, senza famiglia e senza amici, è troppo schivo per chiamare qualcuno ad aiutarlo, forse neanche lo vuole e pian piano si lascia andare. E’ difficile raccontare ciò che gli accade dal 2001 e per i successivi 15 anni, di certo si sa che si stabilisce in Francia a Domont, un sobborgo povero non lontano da Parigi. Quando i soldi finiscono, Fernandez si aggira per il mercato rionale dove si offre per qualche lavoretto di manovalanza, poi finisce a chiedere qualche spicciolo in strada, educatamente, tanto che la gente del posto ormai lo conosce e, pur senza saper nulla del suo passato di calciatore, non gli nega mai qualche moneta, vestiti usati ed una bevanda calda d’inverno. Fernandez stringe amicizia con altri senzatetto, neanche a loro racconta di aver fatto il calciatore un tempo, anche se loro si accorgono delle sue doti quando per divertimento e per scacciare la depressione, organizzano qualche partitella nei giardinetti pubblici in cui l’ex giocatore tocca il pallone di fino, al punto che i suoi amici si chiedono: “Ma perché costui è finito qui in mezzo alla miseria?“. Fernandez è preso in simpatia da quel quartiere che lo riconosce e lo aiuta, la padrona di una trattoria gli offre un pasto al giorno, ma lui dignitosamente rifiuta il regalo, dice che accetta ma a patto di pagarlo, seppur con le poche monetine di cui dispone. La donna è stupita, certo gli spicci di cui quell’uomo dispone basterebbero a malapena per pagare un tozzo di pane, ma il gesto la colpisce a tal punto che rifocilla l’ex calciatore accettando quella misera mancia come se fosse un conto da grand’hotel.

La vita di Joachim Fernandez prosegue nella desolazione di un mondo spesso durissimo da affrontare, così come difficili sono gli inverni, freddi, ghiacciati, fastidiosi per chi vive con tutti i comfort, figurarsi per un senzatetto, costretto ad arrangiarsi nei vagoni dei treni in riparazione o nei palazzi abbandonati. Negli ultimi tempi Fernandez si ripara di notte in un vecchio magazzino in disuso, avvolto in coperte di fortuna, non sufficienti a proteggere un corpo debole e malnutrito nel gelo di una città silenziosa. E’ così che gli amici lo ritrovano la mattina del 19 gennaio 2016, ancora avvolto in quelle coperte sporche, rannicchiato nel disperato tentativo di ripararsi da un freddo troppo forte per lui. Nei suoi ultimi istanti di vita, forse Fernandez ha ricordato i bei tempi da calciatore, la vittoria in Coppa Uefa del suo Bordeaux contro il grande Milan, gli allenamenti con Zidane, e forse avrà provato gioia, o magari l’ennesimo accumulo di malinconia, chissà, addirittura rancore per un mondo di privilegiati che lo ha escluso come un reietto facendolo finire a dormire in un sudicio magazzino come l’ultimo dei disgraziati. Nessuno può dirlo, così come nessuno può raccontare con certezza cosa abbia causato a Joachim Fernandez la fine di tutto ed una morte triste a soli 43 anni. La notizia della sua scomparsa è apparsa qualche settimana dopo ma, a parte qualche giornale francese che gli ha dedicato un paio di pagine di approfondimento, è stata trattata in una quindicina di righe per essere immediatamente dimenticata, così come era stato dimenticato l’uomo negli ultimi 15 anni.

Il gesto più bello nei confronti di Joachim Fernandez lo hanno compiuto proprio i suoi ultimi amici, la comunità di Domont, che ha pagato di propria tasca il rimpatrio della salma dell’ex calciatore in Senegal dove è sepolto nel cimitero della sua città. Gli unici ad aver avuto un pensiero per lui, per quell’amico sfortunato di cui, in fondo, sapevano poco e che hanno forse imparato a conoscere dopo la sua morte. Moglie ed un figlio ormai ventenne non hanno rilasciato dichiarazioni, chiudendo per sempre la storia di un uomo che la società ha rinnegato e dimenticato troppo brutalmente. Di questa vicenda può rimanere un unico sollievo: Joachim Fernandez riposa oggi nel suo Senegal, finalmente al caldo dopo che un mondo indifferente l’ha lasciato morire di freddo.

di Marco Milan

Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleppy
Sleppy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *