Amarcord: Mondiali 2002, il tango stonato dell’Argentina

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Si può essere sbattuti fuori dai mondiali dopo il girone eliminatorio disponendo di un attacco con Gabriel Batistuta ed Hernan Crespo? Con in squadra Javier Zanetti, Walter Samuel, Diego Simeone, Fabian Ayala e Juan Sebastian Veron? Si può, eccome se si può, basti chiedere al popolo argentino e a Marcelo Bielsa, artefice di un disastro mondiale ai limiti dell’incredibile.

C’è fermento a maggio del 2002 in Argentina, una nazione messa in ginocchio dalla crisi economica dell’anno prima e che ha riversato nel calcio molte delle sue speranze, un’evasione collettiva dalle pene del paese, coi mondiali di calcio che potrebbero spalancare alla nazionale albiceleste le porte del paradiso e far dimenticare, almeno per un po’, i gravi problemi finanziari che attanagliano un popolo intero. L’Argentina calcistica è tutt’altro che in crisi: al timone della squadra c’è da 4 anni Marcelo Bielsa come commissario tecnico, un uomo ben fuori dagli schemi, tanto da essere soprannominato Loco, ovvero matto. Bielsa è una sorta di maniaco ossessivo compulsivo, e non ce ne vogliano gli esperti di psicanalisi per una diagnosi così secca e repentina, i suoi metodi di allenamento sono rigidi, da ripetere fino alla nausea più totale, così come le sue regole a tavola e durante i ritiri. Ha un pregio, però, l’allenatore argentino: ha creato un gruppo che in campo va come un treno e che nel girone di qualificazione che conduce ai mondiali di Corea e Giappone inanella ben 43 punti, stravincendo il raggruppamento con 12 lunghezze più dell’Ecuador secondo e perdendo solo una gara, in casa del Brasile.

E l’organico? L’organico è a dir poco sontuoso: Bielsa unisce la grinta ed il carattere alle doti tecniche, creando una miscela che per gli avversari dovrebbe essere esplosiva; in difesa i rocciosi Ayala, Pochettino, Samuel, il terzino sinistro Placente che ha appena incantato in Coppa dei Campioni col Bayer Leverkusen, giunto sino alla finale di Glasgow poi persa contro il Real Madrid. A centrocampo la tempra di Almeyda e Simeone, la classe di Veron e Ortega; infine l’attacco con Batistuta, Crespo, Claudio Lopez, tutti nel pieno della maturità, della forma e con addosso la fame di chi vuole riportare la nazionale argentina ai massimi livelli, perchè l’ultimo trofeo risale alla Coppa America vinta nel 1993 e le ultime edizioni dei mondiali sono state a dir poco in tono dimesso con l’eliminazione agli ottavi di finale per mano della Romania nel 1994 e quella ai quarti nel ’98 con sconfitta per 2-1 contro l’Olanda, patita in extremis. Stavolta l’Argentina è tra le grandi favorite del torneo, forse la favorita in assoluto, più della Francia campione del mondo e d’Europa in carica ma ormai anziana, più del Brasile, più dell’Italia e più di Inghilterra e Germania, entrambe ancora alle prese con i reciproci ricambi generazionali. Il sorteggio nel dicembre 2001, però, lascia gli argentini con l’amaro in bocca perché il girone non è particolarmente abbordabile: c’è l’Inghilterra con cui i precedenti sono burrascosi, c’è l’ostica Svezia e c’è la Nigeria, non più la nazionale tosta e gagliarda delle precedenti edizioni, ma pur sempre una squadra fisica e tecnica, mai arrendevole.

Ma le aspettative intorno all’Argentina sono altissime quando Bielsa ed i suoi calciatori si imbarcano per il Giappone dove giocheranno le tre partite del girone di qualificazione, le prime tre di quello che il popolo argentino si augura sarà un cammino trionfale. Glielo urlano anche prima che i protagonisti spariscano nel tunnel che li conduce in aereo: “Vincete per il paese”. Nella conferenza stampa che precede l’esordio dell’Argentina a Kashima contro la Nigeria il 2 giugno 2002, Bielsa appare tranquillo ma carico, per nulla nervoso, perfettamente in clima col suo personaggio un po’ matto ma assai carismatico; gli chiedono se continuerà a giocare col modulo 3-3-1-3, suo marchio di fabbrica, e lui risponde seccamente: “Non mi separerò mai da questo schieramento”. La gara contro i nigeriani è spigolosa, condizionata dal terribile caldo che l’orario (14:30 locali) e il clima giapponese impongono ai calciatori; la Nigeria ha meno qualità di un tempo e allora la butta sull’agonismo, sulla forza fisica, anche se l’Argentina ribatte colpo su colpo e a mezz’ora dalla fine trova il lampo decisivo grazie a Batistuta che di testa inchioda la palla in porta e realizza l’1-0 finale. Si dice sempre che in un girone mondiale vincere la prima partita significhi avere in tasca circa il 60% della qualificazione; all’Argentina, dunque, basterà andarsi a prendere il restante 40% nelle successive sfide contro Inghilterra e Svezia che hanno intanto pareggiato per 1-1 il proprio confronto diretto.

Il 7 giugno è il giorno della grande sfida fra Argentina ed Inghilterra, uno scontro che va ben oltre il calcio, perché fra i due paesi c’è stata la guerra per le Isole Falkland, perché ai mondiali del 1986 l’Argentina ha passato il turno grazie al famoso gol di mano di Maradona e perché nel 1998 la sfida degli ottavi di finale fra le due formazioni è stata intrisa di polemiche fra provocazioni, espulsioni e la vittoria dei sudamericani dopo i calci di rigore. L’Inghilterra parte col dente avvelenato fin dalle dichiarazioni che precedono la gara, sostenendo che i calciatori giocheranno per loro, per il loro paese e per vendicare le due amarezze passate. Ed in effetti la nazionale guidata da Sven Goran Eriksson (conosciutissimo dagli argentini Almeyda, Crespo, Lopez, Simeone e Veron per essere stato loro tecnico nella Lazio fino ad un anno prima) parte forte e può contare su di un Michael Owen ispiratissimo, tanto che il suo marcatore Pochettino non sa più dove sbattere la testa e alla fine del primo tempo atterra in area l’attaccante del Liverpool causando un inevitabile rigore concesso da Pierluigi Collina. Sul dischetto va David Beckham che proprio durante Argentina-Inghilterra del 1998 aveva subìto l’espulsione dopo esser stato provocato da Simeone e dalla quale era poi, seppur indirettamente, scaturita l’eliminazione degli inglesi, tanto che il talentuoso tornante del Manchester United si era per diverso tempo sentito il primo responsabile del ko finale; stavolta, però, Beckham fa prevalere la lucidità e calcia il rigore forte, potente, battendo il portiere e sfogando nell’esultanza la rabbia repressa per 4 anni. Nessuna notizia, invece, di un’Argentina molle ed impacciata, innocua in attacco, inconsistente a centrocampo dove pure il faro Veron si spegne fino alla sostituzione con Aimar. Finisce 1-0 per gli inglesi, la Svezia batte 2-1 in rimonta la Nigeria ed ora per l’Argentina si profila il rischio di un’eliminazione clamorosa.

Già, perché ad una giornata dalla fine la classifica recita: Inghilterra e Svezia 4 punti, Argentina 3, Nigeria 0; con i nigeriani eliminati, all’Inghilterra basterà ottenere un punto nell’ultima gara contro gli africani per passare il turno, mentre l’Argentina dovrà per forza di cose vincere per non lasciare anzitempo i mondiali nippocoreani. Certo, la nazionale di Bielsa appare più forte e dunque favorita contro gli svedesi che hanno però mostrato solidità ed organizzazione nelle prime due gare e batterli per i sudamericani sarà tutt’altro che semplice. Un’intera nazione è aggrappata però a quella squadra che in fondo sta giocando anche per loro, che non vince i mondiali dal 1986 e che mai come stavolta appare in grado di poter portare il compito fino in fondo; in molti pensano che, superato lo scoglio svedese, per l’Argentina la strada sarà poi in discesa, che la paura e la sofferenza tempreranno ancor di più il gruppo, ed anche che il carisma degli uomini chiave, da Simeone a Zanetti, da Batistuta a Veron, alla lunga riuscirà a prevalere nella sfida contro una Svezia che, al contrario, sarà pure tecnicamente inferiore all’avversario, ma che a questo punto non ha nulla da perdere e potrà anche giocare con due risultati su tre a proprio favore.

Il compito non è dunque dei più semplici, ma se l’Argentina è veramente la favorita numero 1 dei mondiali è il momento di dimostrarlo coi fatti e sul campo. Il 12 giugno 2002 Argentina e Svezia scendono in campo a Rifu alle ore 15:30 locali, sui volti dei protagonisti è sin troppo chiara la tensione di una sfida che un’ora e mezzo più tardi avrà decretato un vincitore ed uno sconfitto, stampato un biglietto areo di ritorno in patria o rinnovato il soggiorno negli alberghi giapponesi. Bielsa è nervosissimo stavolta, guarda la partita accovacciato, si contorce, urla, si dispera quando Sorin per due volte nei primi minuti spreca occasioni colossali per il vantaggio, ma è discretamente soddisfatto per l’avvio della sua squadra, determinata a portare a casa la vittoria che la mantenga nella competizione portandola agli ottavi di finale. All’intervallo il risultato è ancora fermo sullo 0-0, la Svezia ha preso più coraggio e gli argentini, viceversa, appaiono sempre più disagiati, sempre più stanchi e con l’ansia del risultato da raggiungere e di una qualificazione che sta sfuggendo. All’inizio della ripresa, infatti, la compagine scandinava sembra meglio disposta in campo, attacca di più e si difende con ordine, fino al minuto 59 quando Anders Svensson indovina dal limite dell’area il tiro che trafigge il portiere argentino, porta in vantaggio la Svezia e getta nello sconforto più totale i sudamericani, ora costretti a segnare due gol in mezz’ora per capovolgere il risultato e agguantare la qualificazione.


Bielsa adesso suda, impreca, passeggia nervosamente lungo il perimetro della sua area tecnica, mentre accanto a lui regna la disperazione ed i calciatori in campo si gettano all’assalto di una Svezia ormai sempre più convinta di potercela fare. Il tempo scorre veloce, le lancette dell’orologio scandiscono inesorabilmente il crollo dell’Argentina, vicina al baratro, consapevole che la figuraccia che sta maturando verrà ricordata negli anni e nei secoli a venire, altro che nazionale più forte dai tempi di Maradona. Il commissario tecnico argentino butta dentro Crespo che era rimasto a sorpresa fuori dall’undici iniziale, poi getta nella mischia anche Kily Gonzalez che con il suo sinistro potente e preciso può colpire gli svedesi anche dalla distanza. Gli ultimi dieci minuti sono al cardiopalma: la Svezia sfiora clamorosamente il 2-0 e all’88’ Ortega si guadagna un calcio di rigore che lo stesso ex fantasista di Parma e Sampdoria si fa respingere dal portiere che però nulla può sul successivo tap-in di Crespo: 1-1, ci sono due minuti più recupero per trovare il gol della vittoria e della qualificazione, minuti in cui l’Argentina si catapulta in massa nell’area di rigore avversaria, con la difesa svedese in affanno ed ormai impegnata solamente a scaraventare il pallone più lontano possibile. Bielsa è accasciato sulle ginocchia, gli altri componenti della panchina guidano i compagni in campo come se il loro aiuto potesse in qualche modo spronarli ed innervosire i rivali. L’ultima occasione finisce sui piedi di Sorin che batte forte ma la sua conclusione colpisce l’esterno della rete; è l’ultima emozione, poi il triplice fischio dell’arbitro emiratino Bujsaim sancisce il passaggio del turno della Svezia e la clamorosa eliminazione dell’Argentina, terza nel girone con 4 punti, una vittoria, un pareggio ed una sconfitta.

Le ultime immagini della nazionale di Bielsa ai mondiali del 2002 sono le lacrime di Hernan Crespo all’uscita dal campo, la disperazione di Gabriel Batistuta in panchina e il volto gelido di Juan Sebastian Veron, steso a terra sull’erba a pochi metri dai calciatori svedesi, ebbri di felicità per un passaggio del turno inaspettato. L’Argentina saluta i mondiali rientrando in patria con le pive nel sacco e una delusione inconsolabile tanto nei protagonisti quanto nei tifosi, sprofondati in una tristezza che aumenterà con la vittoria finale del Brasile in una giornata che a Yokohama avrebbe potuto vedere in campo l’albiceleste, proprio quella squadra considerata la più forte di sempre in Argentina, favorita di un campionato del mondo che l’ha vista invece in scena per soli dieci giorni.

di Marco Milan

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