Amarcord: l’inferno del Catania fra i dilettanti

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Grandi nomi, grandi stadi e grandi piazze prestati a contesti da calcio parrocchiale o quasi. Sono tante le storie che hanno portato club e maglie blasonate a sgomitare su campetti di terra in impianti da poche centinaia di posti, da un lato tristi ma allo stesso tempo storiche, come quella del Catania che a metà anni novanta ha conosciuto i confini più bassi del calcio regionale, scrivendo la pagina più nera ma forse più leggendaria della sua storia.

Il campionato 1992-93 del Catania in serie C1 non è particolarmente affascinante per una compagine storica e blasonata come quella rossoazzurra che manca dalla serie B da quasi dieci anni e che fatica in una stagione agrodolce in campo fra un paio di 5-1 casalinghi inflitti ad Avellino e Nola, e qualche sconfitta inopinata come quella nel derby contro il Giarre (corsaro al Cibali al 90′) o il ko per 3-0 a Roma contro la Lodigiani. L’ottavo posto finale amareggia una piazza troppo esigente che sostiene colori troppo ingombranti per la serie C; peccato per loro, però, che il peggio debba ancora venire, dato che fin dalle ultime battute del campionato, attorno al Catania e al suo storico presidente Angelo Massimino iniziano a circolare brutte voci circa una situazione finanziaria sull’orlo del collasso e della bancarotta. Qualcuno parla di fallimento imminente, qualcun altro di cessione societaria che possa salvare in extremis le sorti del club siciliano. Il 31 luglio 1993 il presidente della FIGC Antonio Mataresse revoca l’affiliazione del Catania, lo esclude dalla serie C1 1993-94 e ne boccia l’iscrizione; inutile il disperato tentativo di Massimino di presentarsi a Roma con due assegni dal valore complessivo di 2 miliardi di lire, così come inutili si rivelano i ricorsi catanesi che sono costretti ad arrendersi e a ripartire clamorosamente dall’Eccellenza siciliana, ma senza fallimento societario e con Massimino ancora in sella.

La botta è pesantissima a Catania: il caldo estivo non viene neanche avvertito dai tifosi rossoazzurri, gelati da una retrocessione che significa andare a giocare in un campionato regionale, sesto livello del calcio italiano, un’onta troppo grande per una città come Catania e per uno stadio come il Cibali che può contenere oltre 20.000 spettatori. L’Eccellenza siciliana 1993-94 diventa così un torneo a cui butta l’occhio più di un tifoso neutrale, più di un giornale e più di una televisione nazionale, perché il Catania ha giocato in serie A fino a metà anni ottanta, perché c’è tanta curiosità di vedere una squadra totalmente rivoluzionata e ridimensionata calarsi in un contesto dai contorni così piccoli. Massimino prova a costruire un organico di categoria, a stringere i denti per quei 2-3 anni di sofferenza che ci vorranno a riportare i rossoazzurri almeno in C1, almeno lì dove erano fino a poche settimane prima. In panchina arriva Franco Indelicato, mentre fra i calciatori spicca il centrocampista Giorgio Biondelli, piedi buoni, ottima visione di gioco e rigorista infallibile, oggi proprietario di un ristorante assieme al fratello. Il Catania è inserito nel girone A dell’Eccellenza, forse qualcuno nemmeno legge i nomi delle rivali, forse qualcuno crede che basti il nome Catania per vincere tutte le partite. Ma non è così.

L’Eccellenza è un campionato duro, non c’è professionismo, ci sono pochi impianti a norma, anzi, sono quasi tutti in terra battuta, con recinzioni da giardino condominiale a fare da barriera fra campo e spalti, automobili parcheggiate dietro le porte, spogliatoi angusti con l’acqua delle docce che allaga i pavimenti. Ma soprattutto nessun calciatore è retribuito a tal punto dal potersi permettere di non svolgere un altro mestiere: i rimborsi spese per la benzina e poco altro, infatti, non bastano e allora spesso e volentieri gli atleti si allenano di sera dopo aver magari sgobbato in fabbrica, o nei bar o nei cantieri per il resto della giornata. Il Catania si ritrova così immerso in una realtà sconosciuta che non risparmia neanche i tifosi che solamente una decina d’anni prima invadevano lo stadio Olimpico di Roma per gli spareggi contro Como e Cremonese che avrebbero riportato gli etnei in serie A per l’ultima volta. Anche Angelo Massimino non è lo stesso di un tempo, è più anziano, più stanco, l’avanzare del diabete gli sta progressivamente abbassando la vista fino a condurlo alla quasi totale cecità, ma vuole ugualmente risollevare la sua creatura, quella stessa per cui tanto si è battuto in passato fra i campi di serie A e B quando portava la squadra in ritiro lamentandosi al ristorante perché il prosciutto aveva il sapore di pesce, non capendo che fosse salmone affumicato.

Ma la strada è lunga ed il cammino impervio e pieno di insidie: il Catania vince all’esordio a Piazza Armerina il 26 settembre 1993, 1-0 in casa del Nuova Plutia, vince le prime 4 gare stagionali battendo anche per 6-1 il Rosolini davanti a 10.000 spettatori (record per l’Eccellenza), 1-0 il Caltagirone, 2-0 il Gela e 2-0 il Libertas Palestro. Il pareggio a reti bianche contro il Paternò sembra fisiologico, ma la successiva sconfitta per 3-1 in casa del Viagrande (paesino di neanche 8 mila anime ai piedi di Catania) lancia qualche campanello d’allarme in città e nella squadra: il campionato non è così facile come sembra, anzi, contro i rossoazzurri tutti vogliono fare più del massimo, come Sant’Agata di Militello e Villafranca Tirreno che inchiodano sul pareggio la formazione etnea che a volte appare spaesata nei campetti di terra e davanti ad un pubblico di appena qualche centinaia di unità che non fa altro che urlare “Minchia u Catania!“. A farne le spese è l’allenatore, sostituito in corsa da Lorenzo Barlassina, ex centrocampista del Catania a fine anni settanta, e che nella stagione precedente aveva guidato l’Aosta alla salvezza in C2. Il Catania si riprende, chiude il girone d’andata con la vittoria per 8-0 al Cibali contro il Pachino, ma resta una formazione dall’andamento alterno, tanto che Gravina e Gela ne approfittano per rendere più avvincente del previsto la lotta promozione.

Anche nel girone di ritorno, il Catania non trova continuità, perde a Paternò, poi alterna grandi prestazioni come il 4-0 al Nuova Plutia o i 5-1 ad Aci Sant’Antonio e Taormina, a prestazioni da incubo come la sconfitta casalinga contro il Viagrande il 6 marzo 1994. Il ko per 1-0 a Gravina di Catania del 10 aprile, poi, sancisce il fallimento di una stagione infernale per i rossoazzurri, costretti al terzo posto finale in campionato con 45 punti, 7 in meno del Gravina primo classificato e 6 meno del Gela secondo. Città e tifosi sono sconcertati, non possono sopportare un’altra annata in Eccellenza, così come Massimino, sempre più provato nel fisico e nella mente, non sa più a che santo votarsi per risollevare la sua squadra, ormai relegata nei bassifondi della geografia calcistica nazionale. E’ a questo punto il destino a tendere la mano al Catania: nel rimpasto generale del calcio italiano nell’estate del 1994, a seguito di un’altra ondata di fallimenti ai piani superiori, diverse società vengono ripescate, fra cui gli stessi siciliani, ammessi al Campionato Nazionale Dilettanti (ovvero la serie D), pur non avendo vinto il proprio girone di Eccellenza. C’è poco da festeggiare, i problemi rimangono, ma un passo almeno è stato fatto, pur senza meriti sportivi.

Lasciata l’Eccellenza, il Catania si appresta a vivere la stagione 1994-95 fra i dilettanti, inserito nel girone I del C.N.D. e con una rosa da favorita assoluta, anche se l’impressione è che i corregionali di Messina, Milazzo e Ragusa possano dar filo da torcere alla compagine guidata in panchina da Pier Giuseppe Mosti. L’avvio è incoraggiante con 2 vittorie e 2 pareggi nelle prime 4 giornate, poi la clamorosa caduta casalinga al quinto turno per mano del Gravina, proprio il grande rivale dell’anno prima, che passa 3-0 in casa dei rossoazzurri. Nel girone d’andata il Catania pareggia troppo, compresi gli X negli scontri diretti contro Messina e Milazzo, anche se il 5-0 a domicilio inflitto al Comiso l’11 dicembre fa ben sperare per il futuro. C’è un bomber in squadra come Giuseppe Mosca che spesso e volentieri toglie le castagne dal fuoco nei momenti più complicati, poi Massimino cambia ancora allenatore esonerando Mosti e chiamando Angelo Busetta. In squadra a centrocampo c’è anche Pasquale Marino che qualche anno dopo sarà il grande protagonista in panchina del Catania che ritroverà la serie A e tante soddisfazioni.

Ma c’è ancora la promozione in C2 da conquistare e non è semplice perchè Messina e Milazzo lottano con le unghie e con i denti per soffiare il primo posto ad un Catania che però appare più solido di settimana in settimana. La seconda ed ultima sconfitta stagionale i rossoazzurri la rimediano ancora contro il Gravina, autentica bestia nera della fase dilettantistica catanese, ma sono i successi del 5 marzo al Cibali e del 25 marzo in trasferta, entrambi per 2-1, prima col Messina e poi col Milazzo, a scavare quel piccolo ma decisivo solco fra il Catania e la concorrenza. Dopo il ko del Cibali, infatti, i messinesi crollano, mentre il Milazzo regge l’urto fino alla fine, ma nulla può di fronte alle 10 vittorie consecutive di un Catania che oltre alle dirette rivali batte in fila anche Leonzio, Cariatese, Rotonda, Real Catanzaro, Canicattì, Agropoli, Comiso, fino ad arrivare all’ultima giornata, alla trasferta decisiva a Gangi (6 mila abitanti su un promontorio palermitano) dove davanti a 200 tifosi catanesi stipati in un impianto da meno di 500 posti e ad almeno altrettanti in trepidante attesa al di fuori, la squadra di Busetta vince 3-0 grazie ai gol di Massimo Drago, del goleador Mosca (19 centri in campionato) e di Ardizzone, certificando così primo posto e promozione diretta in C2, 53 punti contro i 51 di un Milazzo a quel punto costretto ad arrendersi.

Non è certo la serie C2 il traguardo più ambito dal Catania e da Catania, eppure la sera del 13 maggio 1995 tutta la città si riversa per le principale strade per festeggiare con bandiere e sciarpe il ritorno al professionismo, l’uscita da quei due gironi infernali che rischiavano di intrappolare il blasone e la storia catanese per tanto, forse troppo tempo. Il Catania ritroverà pochi anni dopo anche la C1, nel 2002 la serie B e nel 2006 quella serie A che farà impazzire una città a secco di gloria calcistica da un’eternità. Il tutto iniziato in una calda estate del 1993 che ha visto crollare il lussuoso appartamento del Catania da un attico caldo a umide e buie cantine.

di Marco Milan

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