Amarcord: Marius Lacatus, l’erede di Roberto Baggio venuto dalla Romania

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Non è facile rendere quando ti appiccicano addosso un’etichetta pesantissima, quando le aspettative sono pressanti, forse anche oltre le tue possibilità. Se a tutto ciò si aggiunge un carattere arrogante, presuntuoso e per nulla umile, unito ad un contesto inadatto, ecco che la frittata è pronta ad incollarsi alla padella. La storia di Marius Lacatus, l’asso rumeno giunto a Firenze per far dimenticare Roberto Baggio, racconta proprio come un’attesa troppo alta possa spesso cozzare contro una realtà diametralmente opposta.

L’estate del 1990 a Firenze è infuocata e non solo per le temperature o per i mondiali d’Italia, quanto per la cessione di Roberto Baggio dalla Fiorentina alla Juventus. Un tradimento che i tifosi viola non accettano, manifestando non proprio pacificamente lungo le strade del capoluogo toscano, costringendo anche la Nazionale di Azeglio Vicini (che si allena nella vicina Coverciano per preparare proprio i campionati del mondo) a rimanere blindata nel centro sportivo. La famiglia Pontello, proprietaria della Fiorentina, cede la società al produttore cinematografico Mario Cecchi Gori e con l’affare Baggio-Juve si paga una sorta di liquidazione, beccandosi però l’ira del popolo gigliato che mai, neanche a distanza di anni, perdonerà ai vecchi dirigenti quella mossa; Baggio poteva anche andar via da Firenze, forse, da una Fiorentina ridimensionata negli obiettivi e nelle ambizioni, ma alla Juventus no, ai rivali storici bianconeri suona davvero come un tradimento. Meglio al Milan di Berlusconi, piuttosto, che pure fa di tutto per accaparrarsi il miglior calciatore italiano dell’epoca, sbattendo però contro quella strana alleanza Fiorentina-Juventus che conduce il fantasista veneto alla corte degli Agnelli.

Per Firenze è un colpo durissimo, la città si risveglia attonita e mezza rimbambita, come dopo una sbornia. L’ultima stagione ha visto i viola salvarsi dalla retrocessione a fatica e perdere la finale di Coppa Uefa proprio contro la Juventus; le premesse per l’annata 1990-91 non sono particolarmente allettanti: Cecchi Gori è appena arrivato, Baggio invece è andato via, in città serpeggia il malumore e i traguardi sportivi non sembrano andare oltre un campionato tranquillo con possibile affaccio sulla zona Uefa. In panchina arriva Sebastiao Lazaroni che ha appena guidato la nazionale brasiliana ad Italia ’90 e i nuovi proprietari del club vogliono fare un doppio regalo ai delusi tifosi viola, ovvero due rumeni, i più talentuosi della loro generazione: uno è Gheorghe Hagi, che definire fantasista è poco: visione di gioco, tecnica, senso del gol, anche se col condimento di un carattere ribelle ed indolente; l’altro si chiama Marius Lacatus (classe 1964), è un’ala vecchia maniera, tutto corsa e velocità, molto tecnico e con ottimo senso del gol. Entrambi protagonisti con la Steaua Bucarest che a metà anni ottanta ha fatto incetta di scudetti in Romania (5, più 4 coppe nazionali) e soprattutto ha vinto la Coppa dei Campioni nel 1986 battendo ai rigori il Barcellona ad Eindhoven e perdendo poi un’altra finale nel 1989 contro il Milan di Sacchi. Ben presto si capisce che per la Fiorentina acquistare Hagi sarà impossibile: al fuoriclasse rumeno fa la corte anche il Real Madrid e per lui scegliere fra i madrileni e i toscani non è così complicato. Cecchi Gori allora punta tutto su Lacatus che fin dalle prime bozze di trattativa si dimostra realmente interessato a sbarcare in Italia e a Firenze.

Fra Lacatus e la Fiorentina ci sono i mondiali italiani: il rumeno è uno dei migliori della sua nazionale, segna pure una doppietta nella sfida che la Romania vince contro l’Unione Sovietica a Bari, poi, dopo l’eliminazione agli ottavi di finale per mano dell’Eire, Lacatus si dedica completamente all’affare con Cecchi Gori che lo strappa alla Steaua per 3 miliardi di lire. A Firenze rialzano un po’ la testa, anche perchè la società completa pure l’acquisto del centravanti Stefano Borgonovo dal Milan e che torna in viola dopo una stagione, il prestito dagli stessi rossoneri del promettente tornante Diego Fuser, oltre alla conferma dei pochi pezzi grossi rimasti, primo fra tutti il capitano Dunga, faro del centrocampo fiorentino. Lacatus è l’asso della squadra, o quantomeno dovrebbe esserlo: il suo curriculum è di tutto rispetto, ha esperienza anche in Europa, è un calciatore forte ed importante, oltre a possedere (dicono almeno in Romania) carisma e personalità. Va insomma a lui il compito di far dimenticare, almeno parzialmente, il vuoto lasciato da Roberto Baggio che si appresta a far grande la Juve. Lacatus si presenta così a Firenze dall’alto delle sue vittorie in Romania e si issa da solo su un piedistallo che sarà però la sua rovina: il rumeno appare sin da subito un po’ arrogante, invece di tirare il gruppo se lo guarda, alle volte sembra insoddisfatto perchè non vede campioni su quel campo, anzi, ne vede uno solo: sè stesso.

Il tecnico Lazaroni, passato alla storia per il suo italiano stentato ed incomprensibile durante le interviste e diventato l’idolo di Mai Dire Gol grazie ai suoi “Fiorincina ha vincio” e simili, è un enorme sostenitore di Lacatus: “Sarà il nostro faro – afferma nel pre campionato – e noi riponiamo in lui tanta fiducia”. Le aspettative sul calciatore rumeno sono alte, il pubblico fiorentino ha bisogno di un simbolo a cui aggrapparsi e Lacatus sembra subito quello giusto, anche perchè continua coi suoi atteggiamenti un po’ insolenti a voler mostrare capacità migliori rispetto agli altri. L’esordio nel campionato italiano dell’ex ala della Steaua Bucarest è da dimenticare, come del resto per tutta la Fiorentina, travolta dalla Roma 4-0 il 9 settembre 1990; Lacatus si vede poco, ma quel pomeriggio allo stadio Olimpico i viola appaiono davvero piccoli e indifesi, mentre la Roma di Ottavio Bianchi è in grande giornata e si abbatte come una mannaia sulla formazione toscana. Migliori impressioni arrivano alla seconda giornata, quando la Fiorentina blocca in casa sullo 0-0 i futuri campioni d’Italia della Sampdoria e Lacatus sembra integrarsi lentamente col resto della squadra, gioca 75′ e poi viene sostituito da Nappi. Dopo il ko di San Siro contro il Milan, i viola ottengono la prima vittoria in campionato alla quarta giornata, il 30 settembre, per quella che verrà ricordata come l’unica grande prestazione al Franchi di Marius Lacatus.

Fa ancora caldo, la Fiorentina non è partita bene con 2 sconfitte ed un pareggio in tre giornate, un solo gol fatto (Fuser al Milan) e ben 6 subiti. E’ ora che la formazione di Lazaroni reagisca e soprattutto vinca, ma è ora anche che Lacatus se la carichi sulle spalle, dall’alto della sua bravura, del suo temperamento e della sua esperienza. Fiorentina-Atalanta diventa così la sfida nella sfida per l’ala rumena che mostra in effetti di che pasta sia fatto: in 40 minuti segna due volte portando i gigliati sul 2-0 ed arando la fascia destra come un trattore; lo stadio è in estasi e nella ripresa un calcio di rigore del cecoslovacco Kubik arrotonda il punteggio, prima che Caniggia accorci le distanze per i bergamaschi. Il 3-1 consente alla Fiorentina di scrollarsi di dosso una classifica deficitaria e a Lacatus di essere acclamato per quello che è, ovvero un calciatore in grado di fare la differenza in una squadra oggettivamente di medio lignaggio. Il 4-0 della settimana successiva ottenuto a Pisa illude la Fiorentina che perde in casa col Parma, poi a Napoli, quindi si fa rimontare in casa dal Genoa sul 2-2 al 90′ e si ritrova impelagata nei bassifondi della classifica. Di Lacatus si perdono improvvisamente le tracce e la rete siglata il 18 novembre a Cagliari, oltre a risultare l’ultima della sua esperienza italiana, appare come un lampo isolato nel buio più completo.

Le prestazioni del rumeno calano vertiginosamente, così come l’affetto e la pazienza della piazza che smette di acclamarlo e comincia a fischiarlo. Poi ci si mette anche Lazaroni che pure di pazienza ne ha molta ma che alla fine si arrende e lascia definitivamente fuori squadra Lacatus, a beneficio di Fuser e del giovane ma talentuoso Massimo Orlando che offrono maggiori garanzie rispetto all’asso rumeno. Già alla fine del girone d’andata Lacatus è titolare fisso della panchina, mentre all’inizio del girone di ritorno entra all’88’ a Genova contro la Sampdoria e poco dopo i doriani segnano con Branca il gol partita; un caso, certo, ma di sicuro anche il destino volta le spalle al rumeno, sempre più imbronciato e scontroso, completamente disunito dal resto della squadra. Contro il Napoli al Franchi il 10 marzo, il rumeno torna titolare e sfiora il gol dopo pochi minuti, poi scompare dalla scena e viene sostituito da Nappi. Le poche presenze collezionate sino alla fine del campionato, inoltre, mostrano un Lacatus estraneo al gruppo, mentre spifferi provenienti dallo spogliatoio dicono che il giocatore non si sia mai inserito completamente nè nella squadra e nè in città. Si dice che l’ambiente fiorentino gli vada stretto e che le poche ambizioni della Fiorentina (che chiuderà il campionato 1990-91 al 12.mo posto, proprio come l’anno prima) lo abbiano presto annoiato, fatto sta che del rumeno, dopo un avvio incoraggiante, a Firenze non si parla più.

Marius Lacatus chiude la sua prima ed unica avventura italiana col poco invidiabile bottino di 21 presenze e 3 reti, l’impressione di un elemento avulso alla squadra ed un’antipatia a pelle rilasciata nei confronti di una città che lo aveva accolto come idolo in cui riporre quasi tutte le speranze di riscossa e rivelatosi invece un po’ arrogante e mai in sintonia con le esigenze della Fiorentina che nell’estate del 1991 lo cede in Spagna, al Real Oviedo dove le cose per Lacatus non andranno meglio, prima del suo ritorno alla Steaua Bucarest nel 1993 e la chiusura della carriera nel 1999, per poi intraprendere quella di allenatore. In Romania, Marius Lacatus è ancora oggi un beniamino indiscusso, a Firenze, invece, lo ricordano come l’ipotetico erede di Roberto Baggio, primo acquisto dell’era Cecchi Gori, finito per essere un fiasco, un fuoriclasse sempre in potenza e mai in atto. Ma il calcio, in fondo, è bello anche per questo.

di Marco Milan

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