Amarcord: Pierre Wome, quando un rigore rischia di costare la vita

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Si dice che non bisogna aver paura di tirare un calcio di rigore perchè non è da tali particolari che si giudica un giocatore, come cantava dolcemente Francesco De Gregori, ma andate a raccontarlo a Pierre Wome, terzino sinistro camerunense in attività negli anni novanta e duemila, che proprio a causa di un tiro dal dischetto ha rischiato non solo di compromettere la sua carriera ma anche qualcosa in più.

Pierre Wome nasce a Douala in Camerun il 26 marzo 1979, alto e robusto, come caratteristiche tecniche un gran piede sinistro in grado di crossare e calciare facilmente da fuori area. Di professione fa il terzino (sinistro, ovviamente) ed una delle sue peculiarità più curiose è quella di battere lunghe rimesse laterali piegandosi all’indietro e prendendo una sorta di rincorsa, col risultato che le sue battute assomigliano più a calci d’angolo veri e propri che a semplici falli laterali. Dopo un avvio di carriera in patria, Wome lascia presto il suo paese e si trasferisce in Italia a nemmeno diciott”anni, acquistato dal Vicenza nel 1996 e, dopo l’esordio in serie A a Cagliari il 16 marzo 1997, dieci giorni prima della sua maggiore età, i veneti lo prestano in serie B alla Lucchese dove si mette in mostra come una delle maggiori promesse del campionato, tanto da attirare l’attenzione della Roma che in panchina ha Zdenek Zeman, uno abituato e capace a lavorare con i calciatori in rampa di lancio. Dopo esser stato convocato pure per i mondiali di Francia, Wome vive a Roma una stagione in chiaroscuro: i giallorossi deludono rispetto alle premesse di inizio anno, c’è poco spazio per i giovani da lanciare e in più a sinistra Zeman può contare su uno come Vincent Candela a cui togliere il posto è arduo per tutti, figurarsi per un ragazzotto di neanche vent’anni. Così, dopo 8 presenze racimolate, il camerunense passa al Bologna dove rimarrà dal 1999 al 2002 realizzando pure tre reti, distribuite perfettamente una ogni stagione.

Non è un fuoriclasse Wome, ma è un terzino ordinato e molto forte in fase di spinta, anche se a volte eccede in sicurezza e si fa portare via il pallone in zone pericolose della sua difesa. Dopo gli anni al Bologna si trasferisce in Inghilterra al Fulham, squadra piccola ma con la proprietà ricchissima che offre a tutti i calciatori lauti stipendi; Wome trascorre a Londra un anno, quindi emigra in Spagna all’Espanyol, infine torna in Italia nell’estate del 2004, ingaggiato dal Brescia con cui vive una stagione sfortunata, culminata con la retrocessione dei lombardi a cui non basta l’ottimo apporto del terzino africano che segna pure tre gol, uno dei quali nel clamoroso e prestigioso pareggio di San Siro in casa del Milan a poche giornate dal termine del campionato. Un rendimento che non passa inosservato, tanto che alla porta di Wome bussa l’Inter, pronta ad aprire il ciclo più vincente della propria storia ed interessata al camerunense per ampliare l’organico ed avere un’ottima alternativa nel settore sinistro del campo. All’Inter non si può certo dire di no, ma il grande obiettivo del calciatore sono i mondiali tedeschi che si disputeranno l’estate successiva, un appuntamento a cui la nazionale camerunense non vuole mancare, nonostante non sia più quella brillante ammirata ad Italia ’90, anche se conserva ancora fascino e rispetto in tutta l’Africa. Ma il girone di qualificazione per Germania 2006 è tosto oltre ogni limite per il Camerun di Wome, inserito in un raggruppamento di ferro che, oltre alle mediocri Sudan, Benin e Libia, conta anche Egitto e Costa d’Avorio, con una sola promossa alla fase finale della coppa del mondo.

Alla vigilia dell’ultimo turno il Camerun è in testa con 20 punti, seguito dalla Costa d’Avorio a 19 e dall’Egitto, ormai eliminato aritmeticamente, terzo a quota 16. La nazionale di Pierre Wome ospita proprio gli egiziani a Yaoundé, la capitale del Camerun, mentre la Costa d’Avorio va in Sudan: gli ivoriani devono vincere e sperare che i camerunensi non facciano altrettanto, ma con poche speranze perchè sembra difficile che l’Egitto, già estromesso da ogni possibilità di qualificazione, metta troppo i bastoni fra le ruote ai padroni di casa. E’ l’8 ottobre 2005 quando va in scena una delle partite più drammatiche della storia delle qualificazioni mondiali: il Camerun si accorge infatti ben presto che avere la meglio dell’Egitto sarà più complicato del previsto, perchè i nordafricani tirano fuori orgoglio e dignità, non ci stanno a fare le vittime sacrificali. Wome e compagni iniziano ad innervosirsi più del dovuto, mentre i 38.000 spettatori presenti allo stadio rumoreggiano, soprattutto perchè dal Sudan arrivano notizie poco confortanti visto che la Costa d’Avorio sta vincendo agevolmente. Poi il Camerun sblocca la partita e le cose sembrano incanalarsi finalmente verso i binari voluti dalla nazionale in maglia verde, ormai vicinissima alla qualificazione ai mondiali per la quinta volta consecutiva.

Ma la doccia fredda è in arrivo e si materializza a 12 minuti dal novantesimo, quando l’Egitto, dopo un periodo di maggior pressione, acciuffa il pareggio: 1-1 ed ora per il Camerun si mette male perchè serve un’altra rete per sopravanzare in classifica la Costa d’Avorio che nel frattempo è in vantaggio 3-0 in Sudan ed attende con trepidazione notizie da Yaoundé. Il nervosismo della nazionale camerunense è palpabile, gli egiziani iniziano pure a provocare con perdite di tempo varie che mandano su tutte le furie i calciatori del Camerun, disperati perchè quel pareggio li sta estromettendo dai mondiali e il tempo a disposizione per rimediare è ormai pochissimo. Al minuto 93 l’ennesima palla buttata nell’area di rigore egiziana genera una mischia, interrotta dal fischio dell’arbitro maliano Coulibaly: tutti si girano, il direttore di gara sta indicando il dischetto e il Camerun ha così un’opportunità clamorosa per tornare in vantaggio e staccare il biglietto per la Germania. I calciatori quasi non ci credono, i camerunensi si abbracciano, qualcuno è sdraiato a terra, mentre quelli dell’Egitto sono furibondi con l’arbitro, gesticolano, si agitano, urlano, a stento vengono calmati dalla panchina, anch’essa comunque in subbuglio. Passano i secondi, il cronometro scorre ed è ormai arrivato a 50 minuti nel corso del secondo tempo, logico che il rigore sarà l’ultimo atto di una sfida più che avvincente e dai contorni sportivamente drammatici.

Sul dischetto c’è già Samuel Eto’o, centravanti camerunense del Barcellona, uno dei migliori attaccanti del mondo, cannoniere della nazionale. Sta sistemando la palla in attesa che le proteste degli egiziani si esauriscano e che l’arbitro gli dia il via per calciare, quando si avvicina a lui Wome che gli chiede di calciare il rigore: “Mi ha chiesto di voler battere lui – rivela Eto’o qualche settimana più tardi – era sicuro di fare gol, determinato, così gli ho lasciato la battuta”. Wome non è uno che si tira indietro, anzi, alle Olimpiadi di Sidney del 2000, a neanche vent’anni si era preso la responsabilità di calciare l’ultimo e decisivo rigore contro la Spagna che valeva la medaglia d’oro, poi conquistata dal Camerun, segnando con potenza, freddezza e precisione. Il terzino dell’Inter posiziona con cura il pallone sul punto di battuta, poi prende una lunga rincorsa e calcia alla sinistra del portiere, incrociando il tiro, spiazzando l’estremo difensore egiziano ma angolando troppo la conclusione che si stampa sul palo e si perde sul fondo. Il pubblico non ci crede, i calciatori nemmeno, Wome si mette le mani in testa per la disperazione, sa che su quel palo si sono infranti sogni e speranze di un’intera nazione, caduta nel dramma di una mancata qualificazione che brucia terribilmente. E mentre in Sudan la Costa d’Avorio brinda alla sua prima storica partecipazione ai mondiali di calcio, negli spogliatoi camerunensi volano imprecazioni e lacrime, ma nessuno si esime dal distribuire pacche di sostegno a Pierre Wome, consapevole di essere l’involontario responsabile di un fallimento.

La delusione in tutto il Camerun è fortissima, Eto’o si scusa con il popolo camerunense, poi difende il compagno di squadra: “Pierre se la sentiva – dice in conferenza stampa – ha sbagliato lui come avrei potuto sbagliare io. Siamo affranti, ma lo sport è questo e va accettato così”. Parole sagge, mature e responsabili di un atleta professionista che conosce il suo mestiere e i rischi agonistici che ne conseguono. E lo stesso, in fondo, pensa anche Pierre Wome, abbattuto come non mai, ma pur sempre orgoglioso di aver combattutto per la maglia della sua nazionale. Vuole guardare avanti e superare quel momento, ma non sa che per lui incredibilmente il peggio deve ancora arrivare. Due giorni dopo la gara contro l’Egitto, infatti, la casa dei familiari di Wome viene saccheggiata da cima a fondo, i gaglioffi che si introducono nell’abitazione non lasciano nulla, la polizia avrà il sospetto che molti dei danneggiamenti sarebbero stati effettuati a sfregio, come le martellate sui sanitari del bagno o il taglio dei divani. Ma non basta, perchè oltre alla casa, Wome subisce la devastazione della sua automobile, distrutta a colpi di bastone, mentre alla sua fidanzata viene messo a soqquadro il negozio che gestisce. Danni ricollegati e ricollegabili al calcio di rigore fallito dal calciatore nella decisiva sfida per le qualificazioni mondiali. Vive giorni di angoscia il povero Wome, assillato anche da telefonate anonime che lo minacciano di morte, lo invitano a lasciare per sempre il Camerun e a portarsi dietro anche i familiari prima che subiscano pene ancora più pesanti di quelle già messe in atto.

A scendere in campo è addirittura il governo del Camerun, preoccupato da una situazione che a loro dire rischia di degenerare perchè Wome, secondo alcuni informatori della polizia, sarebbe realmente in pericolo, se non di vita quantomeno di aggressioni fisiche già pianificate, tanto che loschi figuri vengono visti aggirarsi la sera nei luoghi spesso frequentati dal terzino africano. Caricato su un aereo di Stato da agenti del Ministero della Difesa, Wome torna in Europa dove dopo uno scalo a Parigi, tocca il suolo milanese a pochi giorni da una partita che lo ha devastato sportivamente ed umanamente, accusato di aver tradito il suo popolo e la sua nazione, ma allo stesso tempo tradito lui stesso dai suoi connazionali che lo hanno abbandonato e calpestato come l’ultimo dei reietti. Un volo solitario per un calciatore immalinconito da una vicenda surreale che poco ha a che fare con l’ambito sportivo e calcistico; ce lo immaginiamo seduto accanto al finestrino ad ammirare dall’alto le nuvole mentre nella sua testa scorrono ancora i concitati momenti di un calcio di rigore che resterà per sempre maledetto, per lui e per il Camerun.

La carriera di Pierre Wome proseguirà in Germania (Werder Brema e Colonia) ed in Gabon, fino al ritorno in patria nel 2012, la firma col club della capitale Canon Yaoundé e la riappacificazione col suo popolo, i chiarimenti con la parte sana della tifoseria camerunense che, in fondo, è sempre stata dalla sua parte. Il ritorno in nazionale e il ritiro nel 2016 dopo una breve esperienza in Francia, la nomina nel 2017 di direttore sportivo del Canon Yaoundé ed una serenità ritrovata dopo oltre dieci anni di ansie e paure, la sensazione di sentirsi ladro in casa propria e il rancore verso chi lo aveva deliberatamente sbattuto fuori dalla sua patria. Pierre Wome ha lottato e combattuto, in campo e fuori, ha amato e servito il Camerun facendo il suo mestiere, ha rischiato troppo per una semplice partita di calcio, ha avuto paura ma ha potuto sempre specchiarsi guardando riflesso nello specchio il volto di un uomo. Chi lo ha dileggiato, invece, nello specchio ha visto qualcosa di ben più sporco.

di Marco Milan

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