Gerusalemme capitale: le provocazioni e i risvolti politici

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“Gerusalemme è la sede del Governo israeliano” dichiara Trump, e “la scelta è necessaria per la pace”. Macron lo contesta, Mogherini chiede dialogo e proseguio dei negoziati. I Palestinesi vogliono che Gerusalemme Est sia riconosciuta Capitale della Palestina.

L’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di voler trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme può creare tensioni internazionali e peggiorare l’equilibrio geo-strategico, già precario, nell’area mediorientale. E lo fa ignorando la complessità simbolica, identitaria, religiosa nonché politica d’una città che Israele ritiene essere “capitale unita, eterna e indivisibile” e il cui status tuttavia nessuno Stato riconosce poiché, secondo l’accordo di Oslo del 1993, deve essere oggetto di negoziati fra israeliani e palestinesi.

trump-gerusalemmeLa dichiarazione di Trump è certamente un atto simbolico, come conferma la reazione tiepida dell’opinione pubblica in Israele (nonostante il trionfalismo del premier Netanyahu) ma è anche provocatoria e ha generato rabbia e violenza fra gli integralisti nei Paesi mussulmani e potrà indebolire i negoziati di pace.

Dopo la nascita dello Stato di Israele, proclamata unilateralmente il 14 maggio 1948 da David Ben-Gurion, il Paese è stato ammesso alle Nazioni Unite nel 1949 ma ciò non ha favorito né influito sullo status giuridico di Gerusalemme, che avrebbe dovuto essere ufficializzato dalla stragrande maggioranza degli Stati membri Onu. Nel 1980 Israele ha emanato la “Basic Law” attraverso cui Gerusalemme “completa e unita” veniva dichiarata “capitale di Israele”.
Come controreazione, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato la Risoluzione 476 la quale riconosce come “nulle e prive di validità, le misure che hanno alterato il carattere e lo status geografico, demografico e storico della Città Santa di Gerusalemme”.

Sulla annosa questione dello status di Gerusalemme gli aspetti giuridici non sono in grado, da soli, di spiegare la complessità della stessa. È la Storia a giocare un ruolo fondamentale, ennesima riprova di come non sia possibile prescindere da essa quando si tratta della questione medio-orientale. In particolare, la Spianata delle Moschee, sito su cui si ergeva il Tempio di Salomone, rappresentava un luogo sacro già per i cananiti, ben prima delle tre religioni monoteistiche. Fino all’inizio del XX secolo, quasi l’80 per cento degli abitanti della città conviveva pacificamente con diverse religioni. Come scrive Ya’acov Yehoshua nelle sue memorie Yaldut be-Yerushalayim hayashena (“Fanciullezza nella citta vecchia di Gerusalemme”): “[nella città] vi erano edifici abitati da ebrei e musulmani. Eravamo come una famiglia […] I nostri bambini giocavano con i loro nel cortile e, se i bambini del quartiere ci facevano male, quelli musulmani che vivevano nel nostro complesso ci proteggevano. Erano nostri alleati”.

Gerusalemme non è appartenuta né a un singolo popolo né a un unico gruppo religioso in tutta la sua intera storia. Per la sua natura, Gerusalemme è destinata a essere internazionalizzata o città condivisa. I rapporti confessionali e religiosi sono divenuti, a partire dalla nascita di Israele nel 1948 e per ragioni storico-politiche, ben complessi e Trump ha scelto di imporre una visione unilaterale della realtà locale “senza conoscere molte sfumature del suo complesso passato e presente. I movimenti più oltranzisti, dentro e fuori la regione, hanno tutto da guadagnare da questa decisione. A pagarne il prezzo più alto saranno invece quanti credono ancora in una pace equa” scrive Lorenzo Kamel su Affari internazionali.

Gerusalemme, è oggi profondamente divisa etnicamente e socialmente. Potrebbe essere una città fisicamente unita ma capitale condivisa dei due Stati (Israele e la Palestina) con un sistema di autonomie municipali e amministrative da negoziarsi fra le parti, come suggeriscono alcune Ong che operano nel Paese.

E intanto, i Palestinesi hanno sfidato le parole di Trump invocando il riconoscimento di Gerusalemme Est come capitale della Palestina.

(di Alessandra Esposito)

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